Carbon bombs, cosa sono le “bombe climatiche” e chi vuole sganciarle

Sono state definite bombe climatiche: progetti devastanti in termini di emissioni di CO2. A sfruttarli, i soliti noti. Inclusa l’italiana Eni.

Si chiamano carbon bombs, bombe climatiche, e sono dei progetti che potrebbero condannare il nostro Pianeta. Con tale espressione sono stati identificati quei progetti di esplorazione ed estrazione di combustibili fossili capaci di emettere in atmosfera almeno un miliardo di tonnellate di CO2 nell’arco del loro intero ciclo di vita. Per avere un termine di paragone, basti pensare che si tratta di quasi tre volte le emissioni che l’Italia produce in un anno (376 milioni di tonnellate). Le stesse che si genererebbero facendo il giro del mondo in auto per 90 milioni di volte.

Le bombe climatiche sono 195: se sfruttate, ci condannerebbero

Il calcolo è presente in uno studio pubblicato dal quotidiano britannico Guardian che ha elencato 195 bombe climatiche. Se sfruttate appieno, provocheranno emissioni di CO2 pari a 646 miliardi di tonnellate (gigatonnellate, Gt). Il 60 per cento è legato a progetti già in funzione, mentre il restante 40 per cento non è ancora partito. E non dovrebbe farlo, se si vogliono centrare gli obiettivi climatici indicati dall’Accordo di Parigi del 2015.

Uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature nel settembre del 2021 ha indicato in questo senso che per avere il 50 per cento di probabilità di contenere il riscaldamento globale entro gli 1,5 gradi centigradi, alla fine del secolo, potremo permetterci di disperdere nell’atmosfera al massimo 580 miliardi di tonnellate di CO2. Ciò significa che, per la stragrande maggioranza, i combustibili fossili dovranno rimanere dove sono. Cioè sottoterra. Indipendentemente dal fatto che siano destinati a essere bruciati o meno, non vanno nemmeno estratti. Per la precisione, dovremo rinunciare all’89 per cento delle riserve di carbone (826 miliardi di tonnellate), al 59 per cento delle riserve di gas naturale (92mila miliardi di metri cubi) e al 58 per cento delle riserve di petrolio (744 miliardi di barili).

Stati Uniti, Arabia Saudita e Russia le nazioni con più bombe climatiche

Le bombe climatiche individuate dal Guardian superano dunque il carbon budget complessivo che l’umanità ha ancora a disposizione. È del tutto evidente, in questo senso, la loro totale incompatibilità con la salvaguardia del clima sulla Terra. Gli interessi in gioco, però, sono enormi. Tra i paesi che guadagnerebbero la maggior parte di questa fetta ci sono gli Stati Uniti con 22 bombe e 140 miliardi di tonnellate, l’Arabia Saudita con 107 miliardi e 23,5 bombe, la Russia con 83 miliardi e 25 bombe. Poi ci sono il Qatar con 43 miliardi e l’Iraq con 28. E la Cina? Si attesta al settimo posto con 27 miliardi di tonnellate di CO2 e 11 bombe: molte meno di quante ci si aspetterebbe considerando la sua popolazione. La stessa quantità di Canada e Brasile, per intenderci.

Le carbon bombs in Mozambico e Qatar

Tra le bombe climatiche peggiori ne spiccano in particolare due. Entrambe legate allo sfruttamento del gas. Ed entrambe che vedono coinvolta anche l’italiana Eni. Quella considerata dal Guardian come la peggiore in assoluto è situata in Qatar. Si tratta di un immenso giacimento di gas naturale, chiamato North field east, che si ritiene possa conservare il 10 per cento delle riserve mondiali. Di recente Doha ha comunicato i nomi dei partner internazionali che aiuteranno la Qatar Energy a sfruttarlo: la francese TotalEnergies, l’americana ConocoPhillips e, appunto, l’Eni.

Un altro progetto potenzialmente disastroso per il clima è quello di Cabo Delgado, in Mozambico, dove è stato scoperto un immenso giacimento sottomarino di gas, al largo delle coste settentrionali della nazione africana. Parliamo di 5mila miliardi di metri cubi. Una quantità che farebbe pagare un prezzo immenso al Pianeta in termini di gas ad effetto serra, oltre a porre rischi per l’ambiente locale, a cominciare dalla biodiversità marina. Tra i finanziatori, oltre all’Eni, figurano la statunitense Exxon Mobil e di nuovo la francese TotalEnergies. Quest’ultima avrebbe previsto un investimento pari a 25 miliardi di dollari.

In generale, dietro alle bombe climatiche ci sono i soliti noti: oltre alle compagnie citate, tra le altre, anche Gazprom, Saudi Aramco, Petrobras, Turkmengaz, Chevron, Shell e Bp. Assieme, hanno intenzione di spendere fino a un totale di 387 milioni di dollari al giorno – circa 346 milioni di euro – per l’esplorazione di petrolio e gas da qui al 2030.

Alle fonti fossili 387 milioni di dollari al giorno

Circa un quarto di questa immensa mole di denaro, 103 milioni di dollari (92 milioni di euro) andrebbe a finanziare l’estrazione di combustibili fossili che non potrebbero essere nemmeno bruciati se vogliamo evitare gli effetti peggiori dei cambiamenti climatici. Soldi, quindi, che andrebbero dirottati immediatamente verso lo sviluppo di fonti di energia pulita e rinnovabile. Se il mondo fosse lungimirante.

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