![20 grandi aziende fossili sono responsabili di oltre un terzo delle emissioni di CO2](https://cdn.lifegate.it/WQzGdlT_czR3vhXyRijZyNjB1Lo=/470x315/smart/https://www.lifegate.it/app/uploads/carbone-emissioni.jpg, https://cdn.lifegate.it/_wzLoNEGgJhRcwW0srbyG1JicLQ=/940x630/smart/https://www.lifegate.it/app/uploads/carbone-emissioni.jpg 2x)
Un report punta il dito su 20 colossi dei combustibili fossili: a loro è imputabile il 35 per cento delle emissioni che hanno portato all’emergenza climatica.
Non possiamo più permetterci di bruciare combustibili fossili, e nemmeno di estrarli. Gli scienziati si sono espressi in modo netto.
La temperatura media globale può aumentare al massimo di 1,5 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali. Se supererà questa soglia, le conseguenze per il nostro Pianeta saranno catastrofiche e irreversibili. L’hanno messo bene in chiaro gli scienziati del Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (Ipcc), l’ha riconosciuto anche la comunità internazionale firmando l’Accordo di Parigi. Ma cosa bisogna fare, nel concreto, per rispettare questa promessa? I combustibili fossili potranno ancora essere sfruttati per produrre energia o dovranno essere accantonati una volta per tutte? A dare una risposta è uno studio pubblicato su Nature.
Per avere il 50 per cento di probabilità di contenere il riscaldamento globale entro gli 1,5 gradi centigradi, spiegano gli autori, da qui al 2100 si potranno emettere non più di 580 gigatonnellate di CO2. Ciò significa che, per la stragrande maggioranza, i combustibili fossili dovranno rimanere dove sono. Cioè sottoterra. Indipendentemente dal fatto che siano destinate a essere bruciati o meno, non vanno nemmeno estratti. Per la precisione, dovremo rinunciare all’89 per cento delle riserve di carbone (826 miliardi di tonnellate), al 59 per cento delle riserve di gas naturale (92mila miliardi di metri cubi) e al 58 per cento delle riserve di petrolio (744 miliardi di barili). Potrebbe avere senso sfruttare soltanto quelle particolarmente economiche, non certo le sabbie bituminose del Canada, i giacimenti di gas e petrolio nell’Artico o le miniere di carbone australiane.
I ricercatori hanno preso il via da uno studio analogo, risalente al 2015, che arrivava a conclusioni meno drastiche. Suggeriva infatti di tenere nel sottosuolo un terzo delle riserve di petrolio, metà di quelle di gas naturale e oltre l’80 per cento di quelle di carbone, con forti differenze tra stato e stato. In quel caso, però, si puntava a contenere il riscaldamento globale entro i 2 gradi centigradi. Un obiettivo però che non appare più accettabile, perché corrisponde a un riscaldamento “incredibilmente significativo”, precisa il primo autore Dan Welsby della University College London.
A prima vista, questo studio più aggiornato sembra una condanna a morte per l’industria petrolifera. In realtà la stima è da ritenersi prudente: per avere maggiori chance di salvare il clima dovremo imporre limiti ancora più stringenti.
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