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Strage di elefanti in Botswana, cosa non funziona nella lotta al bracconaggio
Dopo il ritrovamento di 87 carcasse di elefanti in Botswana, uno dei pochi santuari rimasti sulla Terra, il fondatore di Elephant action league mette in luce cosa non funziona nella lotta al bracconaggio, sul campo.
Il Botswana era ed è ancora il rifugio più sicuro in Africa per l’elefante, ma ong come la nostra, Elephant action league, impegnate a raccogliere intelligence, informazioni, e condurre investigazioni sui crimini contro la fauna in giro per il mondo, sanno anche che in Botswana non sempre certi fatti vengono a galla, e già da tempo c’è un problema legato al bracconaggio in quel paese.
Non solo, la nostra organizzazione tre anni fa ha ripreso con una telecamera nascosta, nella capitale cinese Pechino, presso un trafficante di avorio, una zanna di elefante con il timbro governativo del Botswana, segno di un possibile furto di avorio sequestrato dai magazzini governativi proprio in Botswana. Nonostante sia una notizia preoccupante, non si tratta però di un evento unico, di un’unica strage, bensì di 87 carcasse di elefanti contate da un aereo nell’arco di qualche mese in Botswana.
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Prima del massacro in Botswana, tanti elefanti sono stati uccisi altrove
Purtroppo ci sono stati casi ancora più eclatanti negli ultimi anni. In Zimbabwe, nel 2013, per esempio, oltre 300 elefanti sono stati avvelenati con del cianuro nell’acqua. Sempre nel 2013, oltre 25mila elefanti sono stati uccisi nell’arco di un decennio in un parco nazionale del Gabon. In Tanzania quasi 70mila elefanti sono stati uccisi in soli cinque anni, decimando la popolazione. Questo tragico nuovo sviluppo in Botswana mostra ancora una volta i limiti delle azioni contro il bracconaggio sul campo, assolutamente necessarie ma non utili ad attaccare il problema in modo efficace, a causa dell’alto numero di potenziali bracconieri utilizzati dai trafficanti, tanta povertà e poca capacità di agire in modo strategico da parte dei governi africani.
Per non parlare della corruzione dilagante a tutti i livelli. Intelligence e azioni mirate sui grossi trafficanti lungo l’intera filiera illegale dell’avorio, dai porti africani alla Cina, passando da paesi chiave nel Sudest asiatico, è l’approccio che porta i risultati migliori e a più lungo termine. Purtroppo ancora poco implementato per paura e per scarsa conoscenza del problema nella sua complessità. Questo è il lavoro della nostra ong e dei nostri team sul campo, in tre continenti.
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