I parchi nazionali americani sono a rischio a causa dei cambiamenti climatici

Gran parte dei parchi nazionali americani sta già subendo conseguenze definite dai ricercatori disastrose. A rischio il Gran Canyon, lo Yosemite, e molti altri, che diventeranno sempre più secchi e più caldi.

Non stanno bene i parchi nazionali americani. Anzi sono le aree degli Stati Uniti ad essere maggiormente colpite dai cambiamenti climatici. Qui le temperature sono aumentate ad una velocità doppia rispetto al resto degli Usa, nel periodo che va dal 1895 al 2010. Nell’arco temporale preso in considerazione, nove dei dieci parchi con le temperature più alte si trovano in Alaska; il Parco nazionale e riserva di Denali, ad esempio, ha fatto registrare un aumento di 4,3°C. Di contro le precipitazioni sono diminuite del 12 per cento, rispetto alla media nazionale del 3 per cento.

parchi nazionali
Uno dei vasti incendi che ha colpito il parco nazionale dello Yosemite, in California © Justin Sullivan/Getty Images

Sono alcuni dei dati più importanti che catturano l’attenzione scorrendo le pagine del “Disproportionate magnitude of climate change in United States national parks”, corposo studio realizzato dai ricercatori dell’università di Berkeley e dell’università del Wisconsin. La ricerca ha preso in esame i dati raccolti da tutti i 417 parchi nazionali americani per misurare, per la prima volta, qual è il grado di esposizione delle aree protette ai cambiamenti climatici.

Come stanno i parchi nazionali americani

“Questo aumento sproporzionato della temperatura si verifica perché gran parte della superficie dei parchi nazionali si trova nell’Artico o ad altitudini elevate” si legge nel documento. Qui l’atmosfera è più sottile e il riscaldamento accelera la fusione della copertura nevosa e riducendo allo stesso tempo la superficie riflettente. Il che si traduce in un meccanismo di feed-back che non fa altro che aumentare gli effetti del riscaldamento delle temperatura.

“Due secoli di combustibili fossili hanno prodotto il doppio di carbonio che poteva essere assorbito dalle foreste e dagli oceani, e l’eccesso di carbonio nell’atmosfera ha riflesso la luce del sole sulla Terra”, ha detto Patrick Gonzalez, a capo della ricerca al Washington Post. “È un processo naturale, ma l’attività umana ha contribuito ad aggiungere anidride carbonica all’atmosfera a livelli che non si vedevano da 800.000 anni”. Numeri certo non nuovi, ma che continuano evidentemente a non destare le attenzioni dovute dalla una certa parte della politica.


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Il futuro dei parchi nazionali americani

La situazione è grave: in uno scenario di massima emissione, da qui al 2100 le temperature potrebbero aumentare dai 3 °C ai 9 °C, con effetti difficilmente quantificabili su flora e fauna. Anche in uno scenario di riduzione delle emissioni, l’aumento della temperatura supererebbe i 2 °C nel 58 per cento dei parchi nazionali. Ciò vorrebbe dire che il Parco nazionale dei ghiacciai nel Montana potrebbe dover cambiare nome, a causa della scomparsa dei ghiacci. O che il più antico parco al mondo, lo Yellowstone, dovrebbe resistere ad incendi sempre più frequenti e devastanti, o che il Grand Canyon possa diventare inospitale, a causa delle temperature troppo elevate.

Leggi anche: Pastoralp, il progetto per salvare i pascoli alpini dai cambiamenti climatici

I cambiamenti climatici nei parchi nazionali italiani

Anche i nostri parchi nazionali stanno subendo un destino simile. Al di là del ritiro dei ghiacciai, serbatoi di acqua dolce d’Italia, l’ambiente alpino ha già subito uno spostamento di 0,5-4 metri per decennio delle specie vegetali verso altitudini maggiori. Secondo un documento del ministero dell’Ambiente del 2013, entro il 2080 è previsto un avanzamento della linea boschiva nelle zone alpine di centinaia di metri con una conseguente perdita del 62 per cento delle specie vegetali montane cui si aggiunge l’estinzione prevedibile di specie animali anche fortemente simboliche, come il lupo, l’orso e il camoscio. Ma i parchi nazionali, i boschi e le aree umide del Paese sono anche luoghi fondamentali per lo stoccaggio della CO2: si parla di 460 milioni di tonnellate di carbonio, un capitale naturale valutato in 1 miliardo e 200 milioni all’anno. Un reddito di cittadinanza dato troppe volte per scontato.

 

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