Moda sostenibile, i brand hanno bisogno di una certificazione credibile per consumatori consapevoli

Il consumo responsabile “va di moda”, per questo c’è bisogno di una certificazione credibile per comunicare al consumatore in modo trasparente e affidabile come sono prodotti i capi d’abbigliamento.

Sono stata contattata mesi fa da Cesare Saccani che voleva raccontarmi di un sistema di certificazione per le aziende italiane che producono nel Sudest asiatico.

Saccani mi ha chiesto se avessi voluto far parte del comitato scientifico per supportare l’iniziativa. Mi sono fatta spiegare quali sarebbero state le attività di questo ente certificatore e ho deciso di aderire a questa iniziativa che aiuterà a portare trasparenza e a monitorare seriamente le produzioni dei brand italiani all’estero.

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Questo è un tipo di servizio di cui c’è un bisogno estremo in un momento in cui i consumatori chiedono a gran voce di sapere dove e come sono stati prodotti i loro vestiti. ll 5 luglio si tiene a Milano, presso l’Associazione italiana commercio estero (Aice), un convegno aperto a tuttial titolo Responsible labelling sulla trasparenza nella filiera tessile e il lancio del sistema di monitoraggio Get it fair.

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I consumatori hanno bisogno di una certificazione affidabile e di un’etichetta trasparente

La necessità di certificazione dei brand italiani di moda che producono all’estero e in particolare nel Sudest asiatico è sempre più attuale. La mancanza di regole e leggi che obbligano i brand a comportarsi in modo responsabile sia nei confronti delle persone che dell’ambiente fa sì che si crei la necessità di enti certificatori indipendenti.

Esistono già molte certificazioni come Gots e Icea che si riferiscono prevalentemente alla certificazione di prodotti biologici nel tessile. I controlli eseguiti direttamente dai marchi (clienti) sui fabbricanti (fornitori) hanno mostrato debolezza e non funzionano. C’è troppa differenza di peso all’interno delle aziende tra la direzione Corporate social responsability (Csr, la Responsibilità sociale d’impresa) e la direzione acquisti: vince sempre il prezzo, quindi la seconda. I controlli effettuati dalle direzioni Csr sono poco considerati dalla direzione acquisti nelle scelte e valutazioni dei fornitori.

Occorrono controlli di terze parti indipendenti.

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Non esistono norme obbligatorie che coprono tutti gli aspetti della responsabilità sociale, ovvero diritti umani, salute e sicurezza, ambiente ed etica). Vi sono, tuttavia, a livello internazionale alcuni punti di riferimento. L’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ha pubblicato una linea guida generale sulla condotta di business responsabile e alcune linee guida per la valutazione dei fabbricanti. Così l’Iso (International standardization organization) che ha pubblicato la norma Iso 26000 con linee guida per la responsabilità sociale. Norme importanti, che però hanno un limite: non sono formulate come requisiti oggettivi e quindi non sono certificabili.

La direttiva europea 2014/95 obbliga le società quotate e le imprese di grandi dimensioni a fornire informazioni extra finanziarie al mercato da allegare al bilancio. La direttiva è già legge dello stato dal 2016, ma ancora del tutto inapplicata.

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Rendere consapevoli i consumatori sul vero costo della moda è il primo passo verso il cambiamento © fashionrevolution.org

La Francia ha introdotto nel 2017 il Devoir de surveillance, ossia l’obbligo per i grandi marchi e le catene della distribuzione di affidarsi a controlli di terze parti indipendenti. Sulla stessa linea si sta muovendo l’Unione europea, che sta predisponendo una proposta di direttiva per introdurre controlli obbligatori che facciano riferimento alle linee guida dell’Ocse.

I tempi sono maturi per un progetto come Get it fair che fa riferimento sia all’Ocse che agli standard della Iso 26000.

Esistono molti schemi di valutazione dei fabbricanti, ma sono troppo spesso sbilanciati su un solo aspetto. Get it Fair copre, in modo bilanciato, tutti gli aspetti. Questo sistema di certificazione è basato sul coinvolgimento di tutte le parti interessate. Il comitato scientifico sta crescendo e vuole essere rappresentativo di tuttegli aspetti della filiera della moda.

Geti it Fair è promosso nel mondo della rete delle Camere di commercio italiane all’estero che hanno deciso di promuoverlo nei rispettivi Paesi come un servizio per garantire le imprese Italiane sulla serietà delle valutazioni.

L’obiettivo strategico è migliorare l’affidabilità, il rigore e la trasparenza delle valutazioni sui fornitori lungo le filiere di fornitura per trasformare questa informazione in strumento di comunicazione verso i consumatori finali (etichetta), gli azionisti (bilancio sociale) e altri stakeholder.

Millennial e generazione Z desiderano acquistare informato e responsabile e vorrebbero trovare sull’etichetta informazioni affidabili e credibili sulla sostenibilità del prodotto e sulla responsabilità sociale delle fabbriche in cui sono realizzati.

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