
Raddoppiare i chilometri pedalabili entro il 2030 e sostenere il settore della bicicletta con politiche industriali. Cos’è e perché è importante la Cycling strategy approvata dal Parlamento europeo.
Sviluppare le ciclovie lungo i corsi d’acqua può aiutare a valorizzare interi territori. Nel nostro Paese c’è un potenziale di ben 200mila chilometri.
Mettere in relazione la rete delle ciclovie regionali e nazionali con quella nazionale dei corsi d’acqua può favorire il turismo lento e sostenibile, aprendo nuove opportunità per la valorizzazione dei territori e per lo sviluppo di itinerari ciclopedonali lungo i fiumi e i canali d’Italia. Si tratta di un patrimonio storico e naturalistico lungo circa 200mila chilometri, già ampiamente sfruttato in Europa dalle nazioni più evolute nella costruzione delle loro reti ciclabili; ma non mancano i problemi sul fronte delle norme che ne disciplinano la gestione in sicurezza, spesso non armonizzate e difformi anche tra regioni limitrofe.
Per questo motivo l’Anbi (Associazione azionale degli enti di bonifica e irrigazione), la Fiab (Federazione italiana ambiente e bicicletta), il Centro interuniversitario di ricerche economiche e di mobilità dell’Università di Cagliari e il Politecnico di Torino – Dipartimento di architettura e design, hanno firmato un accordo per lo sviluppo di iniziative e programmi di ricerca per lo studio delle relazioni tra la rete nazionale dei corsi d’acqua e la rete delle ciclovie regionali e nazionali. La collaborazione – incentrata soprattutto sull’armonizzazione delle norme che ne disciplinano la gestione in sicurezza – punta a stabilire le linee guida di un quadro normativo nazionale che superi le attuali difficoltà; e che faciliti lo sviluppo di una rete ciclabile nazionale (e del turismo sostenibile ad essa legato) in armonia con chi già ora opera lungo la rete dei corsi d’acqua del nostro Paese.
Chi è abituato a viaggiare in bicicletta in Europa lo sa bene: in molte nazioni, per la costruzione di ciclovie hanno sfruttato da anni le infrastrutture già presenti sul territorio, utilizzando per il passaggio in bici le sponde di fiumi come il Reno o la Loira e la rete dei canali che li connettono. In Italia il patrimonio infrastrutturale rappresentato dalla rete di canali irrigui e di bonifica, gestito dai Consorzi di bonifica che provvedono alla manutenzione e alla gestione, ammonta a ben 200.000 chilometri. Peraltro la legge n.2/2018 “Disposizioni per lo sviluppo della mobilità in bicicletta” ha previsto il recupero a fini ciclabili, con destinazione a uso pubblico, delle strade arginali di fiumi, torrenti, laghi e canali, comprese le opere di bonifica, gli acquedotti, le reti energetiche, le condotte fognarie, i ponti dismessi e gli altri manufatti stradali.
In effetti nello sviluppo della rete cicloturistica nazionale degli ultimi anni, già sono stati privilegiati itinerari lungo corsi d’acqua di particolare interesse naturalistico e paesaggistico, e sono presenti ciclovie che seguono fiumi e canali in diverse regioni italiane; altre sono in corso di realizzazione, come la ciclovia VenTo che collegherà Venezia con Torino. Ma per un pieno sviluppo di questo enorme potenziale non mancano i problemi: al territorio italiano, già di per sé complesso dal punto di vista geografico, si affiancano la cronica difformità delle norme e il rapporto tra chi opera e lavora nei territori impegnati dalle vie d’acqua e chi invece le vede come occasione di turismo e cultura. Difficoltà che frenano l’utilizzo dei corsi d’acqua come infrastruttura ciclabile e turistica. Ora, con questo accordo, si cercherà di superarle.
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