Veterinaria dell'animale

Cistite, rimedi e consigli dell’esperto per il tuo amico a quattro zampe

Un disturbo comune che affligge i nostri cani: la cistite.Un disturbo comune che affligge i nostri cani: la cistite. Ecco consigli e rimedi della veterinaria. Ecco la disamina della veterinaria.

È passato poco tempo dall’ultimo giretto della giornata e il nostro amico a quattro zampe dovrebbe essere nelle migliori condizioni per godersi una buona ronfata, di quelle che durano sino al mattino. Invece sembra un po’ inquieto, gironzola nervoso per la casa e sembra voglia indicarci la porta. Insomma, il suo comportamento sembrerebbe proprio dire che ha bisogno nuovamente di uscire, quasi spinto da una inaspettata, imperativa necessità fisiologica. Una volta all’aperto, subito assume la postura della minzione, ma la quantità di urina emessa è scarsa, molto scarsa. E il fenomeno si ripete altre volte nel giro di poche decine di metri. E sempre, allo stimolo della minzione, non si accompagnano che poche gocce di urina torbida e particolarmente maleodorante. Di solito tutto comincia più o meno così e la diagnosi generica del veterinario è quasi invariabilmente una sola: cistite.

 

Le origini della cistite nei cani

Spiega la dottoressa Cinzia Cortelezzi, medico veterinario di Milano: “Nel linguaggio medico, il termine cistite significa letteralmente ‘infiammazione della vescica urinaria’, cioè lo stato infiammatorio di quella struttura anatomica cava deputata a raccogliere l’urina prodotta dai reni e in attesa di essere espulsa. In realtà si tratta di un termine generico che non dice molto sulla origine del ‘problema cistite’. A questo riguardo i testi di patologia veterinaria distinguono le cistiti a seconda della loro origine anatomica oppure della causa primaria che le ha determinate. Avremo così cistiti tossiche, metaboliche, meccaniche, neoplastiche e batteriche”. E nella stragrande maggioranza dei casi sono proprio queste ultime che colpiscono i nostri animali. Lo avreste mai immaginato?

 

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Un golden retriver

 

Una recente statistica americana indica la cistite da cause batteriche come la più comune malattia di origine microbica che colpisce la specie canina. In altre parole, sembrerebbe che almeno il 14 per cento dei cani domestici abbia a che fare, almeno una volta nella vita, con questo fastidioso disturbo. Ma come può accadere che dei batteri patogeni si localizzino sulla parete di un organo e poi, da dove provengono? Domande che hanno risposte, almeno in teoria, relativamente semplici. Cominciamo dall’ultima di esse.

 

I batteri patogeni possono raggiungere la vescica per via discendente, cioè possono provenire dal rene attraverso gli ureteri e poi moltiplicarsi attivamente dove trovano le condizioni più adatte, nella vescica appunto. All’opposto, essi possono penetrare direttamente dall’esterno, seguendo, attraverso l’uretra (quel condotto che parte dalla vescica e sbocca all’esterno), un percorso inverso a quello naturale dell’urina. Una volta raggiunta la vescica, se le condizioni “ambientali” lo permettono e se la specie cui appartengono è particolarmente aggressiva, i batteri aderiscono saldamente alle pareti dell’organo e cominciano a moltiplicarsi. È l’inizio dell’infezione. Sarà proprio questa moltiplicazione batterica a determinare più o meno direttamente tutti i sintomi clinici della cistite.

 

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Un border collie

Alterazioni dell’urina 

Abbiamo visto come i sintomi di questa malattia siano abbastanza caratteristici per permettere al veterinario una diagnosi generica di cistite. Ma il quadro clinico di questa malattia comprende anche importanti alterazioni fisico-chimiche dell’urina. È  proprio la valutazione di queste alterazioni che metterà in condizioni il veterinario di istituire una terapia mirata, assicurando una più alta probabilità di successo terapeutico. In condizioni normali l’urina è sterile, cioè priva di batteri, limpida e leggermente acida. Normalmente non vi si ritrovano che poche cellule provenienti dall’ultimo tratto delle vie urinarie e pochi detriti cellulari. In condizioni patologiche invece tutto cambia.

 

A seconda della gravità e del grado di coinvolgimento dell’organo si possono ritrovare nell’urina globuli bianchi, globuli rossi, emoglobina libera (la sostanza di colore rosso che deriva dalla rottura degli eritrociti), batteri e detriti cellulari in grande quantità. Come non bastasse risultano decisamente alterate anche altre caratteristiche importanti come il grado di acidità (il pH), il contenuto proteico e il peso specifico. Nel caso poi si voglia accertare definitivamente la presenza di batteri patogeni, occorre sottoporre il campione di urina agli esami batteriologici, lavoro questo demandato di solito a un laboratorio specializzato. È questa la determinazione più importante. Dal suo esito dipende la scelta di impiegare o meno un farmaco antibiotico e, se del caso, di quale impiegare.

 

Terapia lunga e recidive facili

Accertata la presenza di batteri patogeni e individuatone il genere, al veterinario spetta il compito di scegliere l’antibiotico più adatto. E nonostante tutti i dati che ha a disposizione, non si tratta mai di una scelta facile. Già, perché la vescica è un “ambiente” difficile. Basti pensare che per agire efficacemente il farmaco dovrà essere diluito in un liquido, l’urina, che ha caratteristiche fisico-chimiche ben diverse dagli altri fluidi corporei. Questa considerazione ha come conseguenza l’obbligo di utilizzare alte dosi di farmaco il quale, ovviamente, dovrà avere caratteristiche di alta attività e bassa tossicità. Non solo, lo stesso farmaco dovrà essere impiegato per un periodo abbastanza prolungato e cioè per almeno due, tre settimane, fatto questo che invariabilmente complica ancora un po’ le cose.

 

Fortunatamente la moderna farmacologia veterinaria ha dotato il medico degli animali di strumenti altamente efficienti ma che pur sempre richiedono, per il loro utilizzo razionale, cognizioni tecniche non indifferenti. L’importanza di un trattamento antibiotico adeguato è pure dettata dalla notevole tendenza alle recidive che questo tipo di patologia presenta. Recidive che, quasi in un crescendo esponenziale, risultano sempre più difficili da trattare e sempre più resistenti alla terapia. E se è certamente vero che in qualche circostanza il proprietario attento può sostituirsi al veterinario, in casi come questi molto meglio è il parere di un vero esperto, capace di gestire con professionalità una evenienza quasi mai drammatica, ma da guardare sempre con grande attenzione.

 

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Un cucciolo

Sintomatologia locale

Come abbiamo già ricordato, la cistite, sia essa di origine batterica o meno, ha una sintomatologia abbastanza caratteristica: ripetuti tentativi di urinazione, urine colorate in vario grado di rosso per la presenza di sangue o di emoglobina oppure torbide, dense e particolarmente maleodoranti. Nella stragrande maggioranza dei casi manca completamente un interessamento generale dell’organismo. Raro l’evidenziarsi di febbre o di altri sintomi riferibili al coinvolgimento di organi diversi dalla vescica. Se mai il paziente mostra una certa agitazione, un certo disagio che origina dal conflitto tra la sua acquisita inibizione ad urinare in luoghi (per noi) non adatti e la sua necessità imperativa di farlo.

 

Un barattolino da tenere con cura 

Se il nostro cane ha una forma di cistite, sicuramente il veterinario vorrà un campione di urine da sottoporre a diversi test diagnostici. Perché l’esito di questi ultimi sia il più preciso ed affidabile possibile, occorre mettere in atto qualche piccolo accorgimento. Per prima cosa occorre raccogliere l’urina assolutamente prima che tocchi terra. La cosa è relativamente facile in entrambi i sessi, bastano un paio di guanti a perdere, un apposito barattolino reperibile in farmacia e un po’ di destrezza. Se la prima volta il tentativo fallisce, occorre riprovare sino ad ottenere lo scopo.

 

Raccogliere l’urina da terra rende l’esito di qualsiasi test, chimico o batteriologico che sia, assolutamente privo di valore. Una volta raccolto il campione, va portato immediatamente dal veterinario oppure al laboratorio. Se questo non è possibile, esso può essere conservato per non più di qualche ora nel frigorifero domestico e comunque mai nel reparto congelatore. Sull’etichetta del barattolino infine, oltre ai soliti dati anagrafici, va riportata pure l’ora in cui è avvenuta la raccolta. Rispettando questi piccoli accorgimenti saremo sicuri di ottenere un risultato affidabile, una diagnosi accurata e, di conseguenza, una terapia mirata ed efficace.

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