La Cop28 è finita, ma bisogna essere consapevoli del fatto che il vero test risiede altrove. Dalla disinformazione al ruolo delle città, ciò che conta avviene lontano dai riflettori.
Clima, è cominciato il conto alla rovescia verso Parigi 2015
Come da tradizione, anche quest’anno la conferenza sul clima (Cop 20) delle Nazioni Unite si è chiusa in ritardo, dopo una notte di trattative e negoziati dell’ultimo minuto per tentare di stendere, in extremis, un documento che riuscisse a mettere d’accordo le delegazioni dei 195 paesi presenti a Lima, capitale del Perù. Per porre le
Come da tradizione, anche quest’anno la conferenza sul clima (Cop 20) delle Nazioni Unite si è chiusa in ritardo, dopo una notte di trattative e negoziati dell’ultimo minuto per tentare di stendere, in extremis, un documento che riuscisse a mettere d’accordo le delegazioni dei 195 paesi presenti a Lima, capitale del Perù. Per porre le basi del nuovo accordo globale sul clima che dovrà (si spera) essere sottoposto alle firme il prossimo anno, durante la conferenza di Parigi.
Come da tradizione, i giudizi su ciò che è stato presentato si dividono tra coloro che sostengono che il risultato finale sia di portata storica e coloro che lo definiscono una battuta d’arresto, un nulla di fatto.
Il presidente del Perù Ollanta Humala e il ministro dell’Ambiente peruviano Manuel Pulgar © Unfccc
Gli addetti ai lavori, i delegati che hanno lavorato fino all’alba del 15 dicembre hanno definito l’intesa come “la più importante in 20 anni perché impegna anche Cina e India, che finora resistevano a ogni tipo di impegno formale per proteggere il loro potenziale di crescita” secondo quanto riportato sul Sole 24 Ore. Al contrario, Legambiente, come altre organizzazioni ambientaliste, afferma che “a Lima purtroppo i governi sono stati incapaci di sciogliere i nodi relativi alla differenziazione degli impegni nazionali e al sostegno finanziario ai paesi in via di sviluppo che continuano a bloccare i negoziati verso Parigi”.
Quale intesa sia stata realmente raggiunta a Lima è poco chiaro. A tutti i paesi è stato chiesto di inviare alle Nazioni Unite entro il 31 marzo 2015 la loro proposta di riduzione delle emissioni di CO2 (Intended nationally determined contributions). A differenza di quanto chiesto dall’Unione europea, non è stato posto nessun obbligo di partenza e non ci sarà nessun meccanismo per mettere a confronto le proposte degli stati. Le promesse verranno pubblicate sul sito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc) ed entro il 15 novembre 2015 verrà redatto un rapporto sui risultati che si potranno raggiungere in termini di lotta al riscaldamento globale sulla base delle impegni presi.
Il presidente dell’Ipcc Rajendra Pachauri © Unfccc
Molti paesi in via di sviluppo, come l’India, hanno fatto pressione affinché vengano differenziati gli obblighi di riduzione sulla base delle emissioni storiche al fine di riuscire a ottenere obblighi meno stringenti rispetto ai paesi industrializzati. Gli Stati Uniti, dal canto loro, sostengono che il mondo sia completamente cambiato negli ultimi e che molti paesi in via di sviluppo non possano più essere considerati tali. La soluzione diplomatica adottata parla di “responsabilità comuni ma differenziate sulla base delle capacità singole, e in luce delle differenti circostanze nazionali”. Uno scioglilingua che potrà essere interpretato in cento modi diversi e su cui, molto probabilmente, si spenderanno notti intere.
L’unica cosa certa è che tutte le opzioni sono ancora percorribili e che nessun accordo verrà sottoscritto senza un impegno vincolante da parte di tutti i paesi che fanno parte dell’Unfccc. Chi sperava di lasciare Lima con un’idea più chiara e qualche punto fermo è rimasto deluso. Il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, lo ha già capito: “Avremo molto lavoro da fare”.
Nella foto in evidenza il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon © Unfccc
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