Arredamento e Design

Comfort e creatività nella casa degli street artist

Sebbene trascorrano il loro tempo ad abbellire e decorare spazi urbani, gli street artist preferiscono abitare dimore dai muri intonsi, con atmosfere essenziali e spazi aperti facilmente riconfigurabili secondo l’estro creativo del momento.

Per accostarsi all’arte urbana dei nostri giorni vale la pena di accantonare lo stereotipo trasgressivo ma ormai datato del graffitaro o writer incappucciato che, nella clandestinità delle ore più improbabili, prende d’assalto il muro di una strada periferica affrettandosi a fuggire dopo avervi impresso i colori della propria arte. La maggioranza dei cosiddetti street artist contemporanei – come preferiscono oggi autodefinirsi – ha voluto assumere un’identità piuttosto distante dal cliché originario ed un profilo ben più istituzionale e complesso di quello che immagineremmo.

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L’arte urbana contemporanea ha ormai assunto un profilo istituzionale e viene pianificata in accordo con le amministrazioni pubbliche locali © Lonac

Interlocutori abituali delle amministrazioni pubbliche e dell’“ufficio decoro” del comune in cui agiscono, attenti valutatori dell’impatto urbanistico delle loro creazioni, non più illegali ma ormai assimilabili a vere e proprie opere “site specific”, gli artisti urbani gestiscono anche i propri spazi privati e casalinghi sulla base di criteri altrettanto rigorosi: meticolosa pianificazione organizzativa, predilezione per muri intonsi, superfici aperte possibilmente ininterrotte e dialogo col paesaggio esterno.

Urticanti ma urbanisticamente integrati e perfino eco-friendly

 “La nostra attività assume come riferimento principale il modello europeo ormai consolidato di arte urbana, quale ad esempio quello muralistico del 13esimo arrondissement di Parigi, ovviamente declinato secondo le peculiarità del luogo”, racconta Walter Contipelli, leader del collettivo artistico Orticanoodles, il cui pseudonimo allude contemporaneamente alla pluralità di voci, alla provenienza geografica squisitamente “local”, ovvero il quartiere Ortica di Milano, ma anche alla volontà di veicolare messaggi significativi e, all’occorrenza, “urticanti”. Le 20 facciate cieche attualmente in fase di realizzazione ripercorrono infatti la memoria storica della Milano del primo Novecento: i lavoratori alla catena di montaggio, la condizione femminile etc.

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La street art esprime contenuti spesso connessi alla specifica identità del luogo in cui viene realizzata © Orticanoodles

“La mia casa coincide con la sede del nostro gruppo di lavoro” rivela Walter. “Sono 200mq di open space configurabile in base alle esigenze del momento: si possono ricavare dieci posti letto ma anche organizzare un pranzo per venti persone, oltre naturalmente ad accogliere quadri, stencil e materiali relativi ad opere in fase di realizzazione. Il mio principale elemento di comfort è rappresentato dagli innumerevoli cavalletti, ovvero quei supporti triangolari su cui si appoggiano i pianali e che consentono in tal modo di ridisegnare ogni volta gli spazi secondo le necessità contingenti”. E in tale contesto l’attenzione all’ambiente assume una rilevanza tutt’altro che secondaria: “Siamo riusciti recentemente a creare, in collaborazione con Vaillant, una nuova tipologia di vernice non inquinante, di nome Airlite” riferisce infatti Walter. “Grazie alla presenza di particolari nanotecnologie essa riesce addirittura ad assorbire le particelle inquinanti e a depurare l’ambiente circostante, in maniera tale che 100mq di murale intriso di questa tinteggiatura equivalgano a 100mq di piante a fusto alto”.

La casa dello street artist come una tela bianca che interroga la creatività  

“Se durante l’infanzia adoravo colorare la casa dei miei genitori dipingendone le pareti, oggi invece preferisco di gran lunga un’abitazione il più possibile asettica” dichiara Fabio Petani, originario di Pinerolo ed impegnato in un genere di “urban art” che coniuga la fascinazione per la natura con l’indagine sulla struttura chimica degli elementi che la compongono.

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Numerosi artisti urbani preferiscono paradossalmente risiedere in abitazioni dai muri bianchi, da cui traggono ordine mentale e stimolo della creatività.

“Preferisco non subire interferenze nei miei processi creativi” puntualizza Fabio. “Ed è per questa ragione che ho scelto muri rigorosamente bianchi e atmosfere minimaliste. Il vuoto e l’essenzialità sortiscono su di me il benefico effetto di preservarmi dal caos mentale: la mia libreria ha l’aspetto del classico mobile geometrico con i libri impilati in ordine di dimensione”. Più classiche le preferenze in materia di comfort: “Identifico i miei momenti di benessere casalingo con la sagoma del divano, che rappresenta per me l’occasione di poter assumere una postura finalmente rilassata, dato che per lavoro trascorro molto tempo tra sgabelli e scale”.

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Frammenti di street art possono armonicamente inserirsi perfino negli interni abitati dagli artisti urbani © Fabio Petani.

E le fonti di ispirazione artistica continuano ad occhieggiare dall’esterno: “Malgrado la prossimità al centro cittadino, la casa torinese della mia fidanzata è immersa in un ampio giardino provvisto di alberi ed orto, mentre la mia abitazione di Pinerolo è fortunatamente situata a 700 metri dai boschi: il contatto con la natura è per me un’esigenza imprescindibile”. 

La fluidità dell’open space e la permeabilità fra il dentro e il fuori 

“In una recente ristrutturazione della casa in cui abito, si è preferito realizzare un open space, con l’abbattimento di tutte le pareti che dividevano l’abitazione in stanzette” rivela il catanese Marco Mangioni, meglio noto con lo pseudonimo di Gummy Gue, le cui opere di arte urbana privilegiano un linguaggio astratto dominato da campiture, geometrismi e rarefazioni concettuali che tendono a sollecitare un dialogo tra gli insediamenti cittadini e i panorami della campagna, iblea e non solo.

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Il dialogo col paesaggio circostante rappresenta un elemento determinante dell’arte urbana © Gummy Gue

“Si è creato uno spazio senza blocchi, per la fluidità dei movimenti e dei pensieri” continua Marco, “con grandi aperture che favoriscono una continuità tra interno ed esterno. Per me l’idea di casa non equivale mai a chiudersi una porta alle spalle e lasciare il resto fuori. Mi piace sentire la città intorno, vederla e riconoscerla nelle forme e nei colori che abitano il mio ambiente domestico”. Sarà senz’altro per questa ragione che l’emblema della confortevolezza coincide secondo Mangioni con un’immagine che enfatizza proprio il confine tra il dentro e il fuori: “È un imbrunire magico sul terrazzo, sospeso sulle note di una musica che viene da poco lontano, mentre in casa si accendono le prime luci”. E in questo spazio aperto è ancora una volta il senso dell’incompiutezza e della provvisorietà a generare energie creative: “Amo sperimentare combinazioni insolite, accostamenti di nuove tendenze o associazioni libere che collochino sullo stesso piano un bel sasso ed un oggetto di raffinato design” precisa Mangioni. “Mi piace insomma concepire la casa come un contenitore di aspettative, dove l’avvenire è nell’aria ma deve ancora compiersi”.

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