Comprendere la biodiversità con il Dna ambientale

Dna ambientale, intrappolato nei filtri delle stazioni di controllo della qualità dell’aria, potrebbe essere il futuro del monitoraggio della biodiversità

  • I filtri per il monitoraggio della qualità dell’aria intrappolano Dna ambientale
  • Analizzare Dna ambientale raccolto nei filtri consente di monitorare la presenza di molte specie
  • Questa metodologia necessita tuttavia di essere perfezionata

La biodiversità mondiale sta precipitando. Gli scienziati stanno lottando in tutti i modi per tenere traccia dei cambiamenti in corso negli ecosistemi e dei tassi di declino delle specie. Purtroppo riuscire a monitorare la biodiversità su larga scala risulta un lavoro molto difficile e complicato. Ma oggi, le solite pratiche come il fototrappolaggio o il campionamento a tappeto potrebbero avere un fedele, e indiretto, alleato. È stato infatti osservato che, utilizzando i normali filtri delle stazioni di monitoraggio dell’inquinamento atmosferico, è possibile catturare Dna ambientale (e-Dna) – ovvero piccole quantità di materiale genetico rilasciato dagli esseri viventi – disperso nell’aria.

Monitorare la biodiversità con il Dna ambientale

Gli scienziati potrebbero essere in grado monitorare la flora e la fauna del mondo analizzando il Dna degli organismi presente nell’aria, l’e-Dna. Questa conclusione arriva da uno studio pubblicato il 5 giugno su Current Biology, nel quale un gruppo di ricerca è riuscito a identificare più di 180 diversi organismi tra cui: piante, funghi, insetti e animali. Secondo i ricercatori, entusiasti della scoperta, grazie all’ubiquità delle stazioni di monitoraggio dell’inquinamento si potrà trasformare il monitoraggio della biodiversità globale, con la possibilità di scoprire anche specie nuove e rare. Attualmente, uno dei pochi monitoraggi estendibile su larga scala è la valutazione della copertura forestale. Ma grazie al e-Dna raccolto automaticamente dalle stazioni potrebbe contribuire a colmare questa mancanza, come afferma Elizabeth Clare, ecologa molecolare e autrice principale dello studio.

L’e-Dna non è nuovo alla scienza

E-Dna tuttavia non è nuovo al mondo scientifico. Da circa 20 anni gli scienziati utilizzano e raccolgono campioni di Dna ambientale dal suolo e dall’acqua per scovare specie rare o in via d’estinzione, come il tritone crestato (Triturus cristatus) nel Regno Unito, oppure per controllare il proliferarsi delle specie invasive come fa il Fish and Wildlife Service degli Stati Uniti per monitorare la carpa argento (Hypophthalmichthys molitrix) all’interno dei Grandi Laghi. Mentre a partire dallo scorso anno, diversi scienziati tra cui Clare, hanno iniziato a valutare la possibilità di catturare l’e-Dna presente nell’aria per monitorare la biodiversità terrestre.

Come si è svolto lo studio

Lo studio portato avanti da Clare e colleghi ha preso in esame due stazioni di monitoraggio della qualità dell’aria presenti nel Regno Unito, vicino a Londra e vicino a Edimburgo. Queste stazioni sono progettate per controllare la presenza di inquinanti atmosferici come il piombo che rimane intrappolato negli appositi filtri dei dispositivi. I ricercatori hanno così prelevato campioni a diversi intervalli di tempo, in modo da poter capire anche per quanto tempo il Dna potesse essere conservato nei filtri. Dopodiché hanno estratto e sequenziato gli e-Dna trovati, confrontando i loro risultati con il database della GenBank dell’istituto di sanità statunitense. Ciò che hanno scoperto li ha lasciati senza parole, poiché non avrebbero mai pensato di trovare così tanti gruppi di organismi diversi, tra cui: 34 specie di uccelli come scriccioli comuni (Troglodytes troglodytes), cinciallegre (Parus major), oppure piante come i frassini (genere Fraximus), ortiche (del genere Soleirolia) e funghi.

e-dna
Il grafico mostra i risultati dello studio sull’analisi delle specie trovate grazie all’e-Dna©E. Clare et al./Current Biology

Non siamo ancora pronti

Sicuramente uno dei vantaggi principali delle stazioni di monitoraggio è che sono già presenti e attive in molti paesi del mondo, in nord e centro America, Europa, Asia e nell’emisfero meridionale. L’invito degli autori è appunto quello di conservare i filtri dopo l’analisi dell’aria e donarli agli ecologi per poterli studiare e, come afferma Clare: “Finché non capiremo il loro vero valore ecologico, dobbiamo smettere di buttarli via”. Uno strumento del genere, se unito all’automazione, potrebbe spingere il monitoraggio ambientale diritto nel ventunesimo secolo, cambiando e migliorando il campionamento e la raccolta dati a lungo termine.

Tuttavia, sono presenti ancora molte incognite sull’utilizzo di tale strumentazione, principalmente poiché ancora in fase di sviluppo e scoperta. Ad esempio i tempi di raccolta del materiale secondo gli studiosi sono un punto chiave sia per la corretta raccolta che per il suo mantenimento prima della degradazione. Difficilmente si riuscirà a comprendere l’effettiva densità di una specie, ma si potranno comprendere ad esempio eventi straordinari come la migrazione degli uccelli e di come essa sia influenzata dai cambiamenti climatici. Quindi non possiamo buttarci a capofitto in questa nuova metodologia, ma potrebbe far compiere passi da gigante alla conservazione.

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