Cop28

Deforestazione. Patto tra Brasile, Indonesia e Repubblica Democratica del Congo

Le tre nazioni, in piena Cop27 e alla vigilia del G20 hanno lanciato un patto anti-deforestazione. Ma già ne avevano siglato uno un anno fa.

Un’alleanza strategica con l’obiettivo di coordinare le azioni mirate a salvaguardare le foreste pluviali. Ad annunciarlo, lunedì 14 novembre, sono stati Brasile, Indonesia e Repubblica Democratica del Congo, a margine della ventisettesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite (la Cop27 di Sharm el-Sheikh) e alla vigilia del summit del G20 (che si tiene a Bali tra oggi e domani, 15 e 16 novembre). Le tre nazioni rappresentano quelle che ospitano le più grandi foreste pluviali del Pianeta, e il 52 per cento di tutte quelle esistenti. Per questo, il loro annuncio rappresenta una buona notizia. Ma anche, al contempo, un déjà vu.

“Dobbiamo cooperare per raggiungere obiettivi comuni contro la deforestazione”

“Abbiamo bisogno di cooperare con altre nazioni al fine di raggiungere degli obiettivi comuni – ha dichiarato in un comunicato il ministro indonesiano degli Investimenti, Binsar Pandjaitan -. Da soli possiamo fare poco, unendo le forze possiamo fare molto”.

deforestazione in amazzonia
La deforestazione in Amazzonia tra il 2020 e il 2021 ha toccato il record negativo degli ultimi 15 anni © iStock

Uno degli obiettivi principali dell’alleanza è di parlare con una sola voce di fronte alla comunità internazionale, al fine di chiedere finanziamenti necessari per la riduzione della deforestazione e un prezzo adeguato dei carbon credit, ovvero dei “diritti ad inquinare” negoziati sul mercato internazionale di scambio delle emissioni di CO2, previsto dall’articolo 6 dell’Accordo di Parigi ma, fino ad ora, mai implementato a livello globale.

Il cambio di rotta del Brasile di Lula

“Le nostre tre nazioni – prosegue il governo dell’Indonesia, che ospita il G20 – hanno un interesse comune a collaborare, al fine di aumentare il valore delle foreste tropicali e far sì che esse continuino ad essere benefiche per il clima e per le popolazioni locali”. Un’alleanza resa probabilmente possibile soprattutto dal cambio di governo in Brasile, nazione nella quale di recente il candidato della sinistra Lula ha battuto il presidente ultra-conservatore e dichiaratamente climatoscettico Jair Bolsonaro.

Proprio per domani, mercoledì 16 novembre, è previsto un discorso del leader progressista alla Cop27: il primo in pubblico dopo le elezioni presidenziali. E dopo la campagna elettorale nel corso della quale ha promesso un piano per azzerare la deforestazione dell’Amazzonia, che negli anni di Bolsonaro aveva vissuto un’autentica esplosione.

Occorrerà in ogni caso verificare quali saranno le azioni concrete che discenderanno dalla nuova alleanza. Sapendo che, ad esempio, la Repubblica Democratica del Congo è stata fortemente criticata per aver messo all’asta concessioni per blocchi petroliferi anche in aree che presentano ecosistemi vulnerabili.

Alla Cop26 di Glasgow fu firmato un impegno analogo

Ma soprattutto, le stesse tre nazioni in questione avevano già firmato un impegno analogo, un anno fa, in occasione della Cop26 di Glasgow. All’epoca erano state ben 100 le nazioni di tutto il mondo ad aderire al patto, con l’impegno di bloccare la deforestazione entro il 2030. Una data anche in questo coso oggetto di forti critiche poiché troppo lontana nel tempo.

I 100 governi in questione avevano anche approvato la creazione di un gruppo di lavoro composto da produttori e consumatori di prodotti legati alla deforestazione. Come nei casi di soia, olio di palma, cacao. E avevano accettato di allineare le pratiche commerciali all’obiettivo degli 1,5 gradi. Ciò nonostante, i dati di Global Forest Watch indicano che Brasile, Indonesia e Repubblica Democratica del Congo figurano tra i primi cinque paesi al mondo in termini di perdita di foresta primaria. Con milioni di ettari persi ogni anno.

Bene dunque i patti, le alleanze, le iniziative, i protocolli, le intese. Ma se non si vuole perdere completamente e definitivamente ogni tipo di credibilità, è necessario che i governi facciano seguire alle parole i fatti. O, addirittura, evitassero le prime e passassero direttamente ad annunciare i secondi, il che probabilmente rappresenterebbe la soluzione migliore.

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