La Cop28 è finita, ma bisogna essere consapevoli del fatto che il vero test risiede altrove. Dalla disinformazione al ruolo delle città, ciò che conta avviene lontano dai riflettori.
Al via la Cop 27 sul clima. Come ci arriviamo e cosa dobbiamo aspettarci
Comincia oggi, domenica 6 novembre, la ventisettesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite, a Sharm el-Sheikh, in Egitto.
Duecento nazioni, migliaia di delegati governativi, scienziati, rappresentanti di istituzioni internazionali e ong, centinaia di giornalisti da oggi riempiono l’International convention centre di Sharm el-Sheikh, in Egitto, per la ventisettesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite, la Cop 27 che si chiuderà tra due settimane. Obiettivo: dare finalmente attuazione concreta all’Accordo di Parigi e agli impegni della comunità internazionale in materia climatica.
Il mondo ancora lontanissimo dall’evitare una catastrofe climatica
In particolare, occorre ancora – nonostante dall’Accordo raggiunto nel dicembre 2015 nella capitale francese siano passati ormai sette anni – indicare una strada per limitare la crescita della temperatura media globale ad un massimo di 1,5 gradi centigradi, alla fine del secolo, rispetto ai livelli pre-industriali. Le promesse avanzate finora dai governi di tutto il mondo, infatti, sono lontanissime dall’obiettivo: anche ammesso che esse fossero rispettate per intero, si arriverebbe a 2,5 gradi. Il che significherebbe passare da una condizione di crisi ad una di catastrofe climatica.
“Non abbiamo ancora una road map credibile per gli 1,5 gradi – ha commentato il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep) -. Anche se gli impegni fossero mantenuti per intero, la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra sarà attorno al 10 per cento di qui al 2030. Per evitare un disastro climatico dobbiamo invece farle calare del 45 per cento”.
“Le nostre politiche, i nostri business, le nostre infrastrutture, le nostre azioni devono essere tutti allineati all’Accordo di Parigi”, ha dichiarato il nuovo segretario esecutivo della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc), Simon Stiell.
Alla Cop 27 il nodo del rapporto tra Nord e Sud del mondo
Se dunque il principale obiettivo della Cop 27 è indicare un percorso chiaro, privo di equivoci e condiviso dal mondo intero per abbattere le emissioni climalteranti, sono numerose le altre questioni sul tavolo dei delegati. In primo luogo, come ricordato dal segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres, occorre “ricostruire il rapporto di fiducia tra Nord e Sud del mondo”.
Il riferimento è all’annosa questione dei finanziamenti per l’adattamento: i paesi in via di sviluppo e più poveri della Terra sono i meno responsabili dei cambiamenti climatici, e ciò nonostante ne patiscono le conseguenze peggiori. Anche con un calo drastico e immediato delle emissioni, infatti, una parte degli impatti del riscaldamento globale sono ormai inevitabili, e colpiscono proprio le regioni meno fortunate del Pianeta: sia per ragioni geografiche, sia poiché mancano le risorse, appunto, per adattarsi al cambiamento in atto.
Adattamento, il mondo ricco deve fare la sua parte per aiutare i paesi poveri
Per questo, fin dalla Cop15 di Copenaghen, nel 2009, il mondo ricco si era impegnato a concedere 100 miliardi di dollari all’anno alle nazioni più povere e vulnerabili, al fine di consentire loro di costruire dighe, rifugi, adottare piani di evacuazione o di soccorso, rendere più sicure le infrastrutture fondamentali per le loro economie. Quella somma, tredici anni dopo, non è ancora stata stanziata per intero.
La presenza della Cop27 in Africa – benché fortemente criticata per lo scarso rispetto dei diritti umani in Egitto – rappresenterà inoltre l’occasione per tentare di dare priorità al continente. In un fondo pubblicato dal quotidiano britannico The Guardian, il presidente del Senegal Macky Wall, il primo ministro olandese Mark Rutte e il presidente francese Emmanuel Macron hanno indicato la necessità di “accelerare radicalmente l’adattamento ai cambiamenti climatici in Africa e nei paesi vulnerabili del mondo intero”. Ricordando che, per loro, il peso economico del riscaldamento globale è nell’ordine di un 15 per cento di Pil perso ogni anno.
La Cop 27 in un contesto geopolitico difficile
Il contesto geopolitico ed economico in cui si apre la Cop 27, tuttavia, non appare favorevole. Non solo per le tensioni tra Russia e Occidente legate alla guerra in Ucraina. Ma anche per via della crisi energetica, che anziché spingere ad investire in modo massiccio sulle rinnovabili, sta convincendo una serie di nazioni (Italia inclusa) a tenere in vita le fossili. O a puntare sulla costruzione di nuovi reattori nucleari, i cui tempi sono però indiscutibilmente incompatibili con la necessità di operare da subito un calo drastico delle emissioni.
Per questo è necessario rivedere gli impegni degli stati, che sono contenuti in particolari documenti chiamati Nationally determined contributions (Ndc). “Altrimenti il nostro Pianeta rischia di superare una soglia che renderà il caos climatico irreversibile e provocherà un aumento catastrofico della temperatura”, ha ammonito Guterres.
Sul tavolo anche la questione del “loss and damage”
Un’altra questione aperta è quella delle “perdite e danni” (loss and damage, in inglese). Ovvero quello che è stato immaginato come un meccanismo di assicurazione, per consentire alle nazioni povere della Terra di riparare ciò che viene distrutto, ad esempio, da eventi meteorologici estremi riconducibili ai cambiamenti climatici. Anche in questo senso, però, occorre un consenso da parte dei paesi più sviluppati: consenso che, per ora, non c’è. In questo senso un appello è stato lanciato dal presidente della Cop 27, designato dall’Egitto, Sameh Shoukry.
“Questi danni sono provocati dall’aumento delle emissioni causate dalle economiche avanzate”, ha ricordato Sidra Adil, del Collettivo per la ricerca sulle scienze sociali di Karachi, in Pakistan, nazione spesso colpita da eventi estremi. D’altra parte, secondo i dati di Our World in Data, l’America settentrionale, l’Europa e l’Australia sono responsabili da sole del 63 per cento delle emissioni mondiali di CO2, contro il 3 per cento dell’Africa e lo 0,28 per cento del Pakistan.
Road map per rendere operativo l’Accordo di Parigi, nuovi impegni di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, trasferimenti dal Nord al Sud del mondo per adattamento e ricostruzione in caso di danni, giustizia climatica. Solo se ciascuno di questi nodi verrà sciolto la Cop 27 di Sharm el-Sheikh potrà essere considerata un successo.
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