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Abitare il deserto significa congedarsi anche solo per brevi momenti dal mondo per riscoprire l’essenziale. Esperienza che va comunicata agli altri
Leggiamo senza indugio il passo di Drewermann, per fare, poi, alcune riflessioni:
“È lì, in mezzo alle difficoltà e alla rinuncia, che ogni goccia d’acqua, ogni attimo di vita diventa prezioso oltre misura. Il deserto stesso insegna ad apprezzare di nuovo il valore delle cose […], in modo che l’energia del desiderio si risvegli e spezzi il rivestimento soffocante che avvolge il cuore. Perché il fine che dà significato alla vita non è mai una cosa, ma il senso che collega le cose – qualcosa di invisibile, che è possibile vedere solo con gli occhi del cuore”.
Nell’epoca delle città-officine, tutto strepitio, efficienza, dinamismo esasperato, linguaggi omologanti, conformismi esistenziali, occorre davvero richiamare la saggezza del deserto, luogo aspro, inospitale, racchiuso nella fissità del suo orizzonte, dilatato nei suoi spazi minacciosi, ma anche terra vergine, metafora viva di quella parte della nostra anima non contaminata dalle grammatiche serializzanti delle città-officine, dai “si dice, si fa…”.
Abitare il deserto significa, allora, prendere congedo anche solo per brevi momenti dal mondo, per fare i conti con noi stessi, ascoltare la saggezza del cuore, riscoprire l’essenziale, riarticolare un discorso di senso capace di dare voce ai nostri sentimenti più autentici.
Insomma, occorre desertificare la nostra anima per riattivarne gli occhi interiori, i soli capaci di cogliere l’invisibile, la Forma originaria delle cose, il significato di fondo di cui sono intessute.
Questa è la saggezza del deserto, dove il termine saggezza rinvia alla capacità di “pesare” il nostro stare al mondo, sperimentare fecondi tragitti interiori, scandagliare le profondità dell’anima per attingere energie esistenziali alternative a quelle dell’efficientismo e del produttivismo tecnologici.
L’esperienza del deserto non va però conservata gelosamente per sé, bensì va comunicata agli altri, in modo tale che i deserti entrino nelle città e si possa dar vita ad un’umanità adulta, capace di coniugare la necessità dei ritmi produttivi con la forza del pensiero ideante e il linguaggio genuino dei sentimenti.
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