9 donne che hanno fatto (e fanno) grandi cose nel campo dell’arte

Pittrici, dj, poetesse, registe: nel variegato panorama artistico sono tante le donne eccellenti. Vi raccontiamo le storie delle nostre preferite.

Tra i meriti che forse ancora hanno ricorrenze come la Giornata internazionale dei diritti della donna, c’è quello di dare l’occasione di raccontare le vite di chi, nell’universo femminile, si è distinta in alcuni ambiti. Noi abbiamo scelto quello delle arti, in senso ampio. Anche per ricordare quanto sia stato difficile negli anni emergere ed eccellere in discipline come la pittura, la poesia, il cinema e molte altre. Quelle che vi proponiamo sono 10 donne – di ieri e di oggi – capaci e preparate nei mestieri che hanno scelto di intraprendere con successo.

Grazia Deledda

Grazia Maria Cosima Damiana Deledda (1871-1936), è stata la prima e unica italiana a ricevere il Premio Nobel per la letteratura, nel 1926. Questo dovrebbe già essere uno sprone a leggere i suoi romanzi. Ma non è il suo unico primato: nel 1909, quando ancora esisteva il regno d’Italia, Grazia Deledda venne candidata al collegio di Nuoro della Camera per il partito radicale italiano. Era la prima volta per una donna in Italia e ciò costituiva un evento assolutamente eccezionale se pensiamo che a quel tempo le donne non avevano ancora diritto di voto.

Nata in Sardegna, la sua opera è stata sempre fortemente connotata dalla sua terra e dalle sue origini: una regione, quella isolana, nella quale la vita, specie quella dell’universo femminile, era molto differente non solo da quella delle donne di oggigiorno, ma anche delle altri parti del Paese nella medesima epoca. Leggere i suoi scritti significa dunque immergersi in un mondo altro. Affascinante e pieno di contraddizioni. Consigliamo la lettura di “Cosima” perché è la sua storia più autobiografica (Cosima è uno dei nomi della Deledda) e anche perché «per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano” – motivazioni queste che le fecero meritare il Nobel.

Grazia Deledda
Grazia Deledda © Getty Images

Charlotte Perriand

Charlotte Perriand (1903-1999) è un genio dell’architettura ma non solo. Fu un’avanguardista culturale che fin dai primi decenni del ventesimo secolo promosse un profondo rinnovamento dei valori estetici. I suoi contributi più noti furono certamente quelli nel design e nell’architettura d’interni. Francese, collaborò proficuamente con Le Corbusier e nel suo studio realizzerà, insieme a lui e a Pierre Jeanneret, alcuni mobili entrati nella storia del design: come la famosa chaise longue progettata poco prima degli anni Trenta.

Charlotte Perriand aveva anche un buon talento fotografico: iniziò a scattare alla fine degli anni ’20 e per una decina di anni ha realizzato una produzione abbastanza intensa. Questi negativi sono rimasti chiusi in un armadio fino al 2014 quando la figlia Pernette Perriand Barsac, che gestisce l’archivio, ha finalmente deciso di renderli visibili al pubblico. Il suo utilizzo della macchina fotografica era spesso finalizzato a creare degli appunti visivi: fotografie di materiali o di altri oggetti che le potevano tornare utili dopo, come un bloc-notes. Ma bellissimi sono anche i suoi scatti realizzati in montagna, che lei amava. Uno dei suoi “ritratti” più iconici la immotala proprio in alta montagna. Da vedere è il documentario su di lei Créer l’habitat au XXe siècle, girato nel 1985 dal marito della figlia Pernette, lo scrittore e regista Jacques Barsac.

Charlotte Perriand
Charlotte Perriand © Robert Doisneau

Artemisia Gentileschi

Artemisia Gentileschi (1593-1653) è una pittrice italiana di scuola caravaggesca. Una delle pochissime emerse dall’anonimato. Viene spesso ricordata per la sua violenta storia personale che la vide vittima di stupro a opera di un suo maestro di pittura oltre che amico del padre. Questa vicenda la segnò personalmente e professionalmente infatti nelle sue tele le donne rappresentate si mostrano spesso determinate e addirittura violente nei confronti degli uomini, pensate ad esempio al quadro Giuditta che decapita Oloferne. Ma Artemisia è, al di là della sua storia di donna, una artista dotata tecnicamente ma non solo. I suoi dipinti hanno spesso qualcosa di teatrale capace di comunicare con grande forza e immediatezza, come un’opera viva. Il suo stile mutò con la sua maturazione e divenne poi meno “forte” ma per la sua biografia, ancora oggi, è considerata un simbolo del femminismo. Fino al 19 marzo alle Gallerie d’Italia di Napoli è in programma una mostra a lei dedicata. Se non avete mai visitato una sua esposizione, è una buona occasione.

Artemisia Gentileschi
A. Gentileschi Autoritratto come Santa Caterina d’Alessandria © The National Gallery London

Nina Simone

Nina Simone, pseudonimo di Eunice Kathleen Waymon (1933-2003) è una voce americana indimenticabile. Quando intraprese la carriera di cantante jazz decise di cambiare il suo nome: Nina viene dallo spagnolo “niña”, “piccola” soprannome datole dal fidanzato, e Simone in onore dell’attrice Simone Signoret, di cui era ammiratrice. Studiò a lungo musica classica e pianoforte ma il desiderio di divenire pianista era considerato irrealizzabile per una donna di colore a quei tempi. Così cambiò genere. Nina nacque in una famiglia numerosa e povera dell’America del sud, a quei giorni infestata da problemi razziali.

Considerata da molti come la cantante jazz più raffinata di quegli anni, dotata di una straordinaria presenza scenica e di un’enorme capacità di legarsi al suo pubblico, venne chiamata The high priestess of soul, la grande sacerdotessa dell’anima. Il suo carisma la portò anche a battersi concretamente per i diritti civili, non solo con la sua musica e la sua voce: le conseguenze della sua lotta la portarono lontana dagli Usa per molto tempo. Nina Simone racconta tutti i sentimenti contrastanti vissuti e ci piace ricordarla queste parole: “Ti dirò cos’è per me la libertà: nessuna paura.”

Nina Simone
Nina Simone © Ron Kroon for Anefo

Camille Claudel

Camille Claudel (1864 – 1943) è una scultrice parigina. La sua vita è un mix di tragedia e passione. Passione per l’arte che sin da piccola la porta a modellare la creta e la materia, e per la vita. Tragedia perché ha dovuto sopportare prove durissime, come la reclusione in un manicomio per oltre 30 anni con il beneplacito della madre e del fratello. Grazie al film del 1988 a lei dedicato dal regista Bruno Nuytten, Camille divenne un mito, anche per la bellezza di Isabelle Adjani che la interpretava. Di lei potete ammirare delle opere in una sala del Musée Rodin – che fu suo compagno per anni, o al Musée d’Orsay.

Dal 2017 è stato inaugurato anche il primo museo al mondo dedicato a lei a Nogent-sur-Seine, il luogo dove Camille ha trascorso la sua adolescenza. Oltre a invitarvi a leggere le toccanti lettere in cui chiede di essere liberata dal manicomio, è d’obbligo vedere espresso in bronzo e altre materie il suo essere. Per esempio la scultura La valse, il valzer, rappresenta una coppia di danzatori uniti in un abbraccio e in un ballo passionali: sembra di vederne il movimento fluttuante, di sentire il fruscio degli abiti e di percepirne la leggerezza. Un capolavoro. Non l’unico. Camille morì sola e abbandonata in manicomio, probabilmente di stenti. Nessuno dei suoi famigliari partecipò ai funerali. Le sue spoglie furono gettate in una fossa comune.

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Camille Claudel © Plombelec

Saffo

Nata intorno al 640 a.C. nell’isola di Lesbo, Saffo è probabilmente la più antica poetessa di cui si sia a conoscenza. La sua fama è giunta sino a noi per via dei suoi versi d’amore che spesso ne raccontano la sofferenza. I più grandi, forse anche Platone, ebbero per lei parole di grande elogio e stima e ancora oggi è ricordata come colei che ha cantato l’amore omosessuale tra donne. Ma non solo. Di lei sappiamo che era direttrice di un tiaso, una sorta di scuola/comunità di ragazze che aveva sia intenti formativi sul piano culturale, morale e religioso, che un indirizzamento verso la raffinatezza, il lusso, l’eleganza. Per lo più, della poetessa greca abbiamo solo versi sparsi.

L’unico testo integro è Inno ad Afrodite, in cui la poetessa si rivolge alla dea, chiedendo il suo appoggio per un amore non corrisposto. Riguardo a questo tema, spesso Saffo e Leopardi vengono accumunati perché entrambi vivono l’esperienza di un amore non ricambiato e per questo entrambi destinati all’infelicità.

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Saffo © Museo archeologico di Napoli

Lea Vergine

All’anagrafe Lea Buoncristiano (1936-2020) è stata una critica e una curatrice d’arte. Se il mondo dell’arte è stato per lungo tempo un ambito maschile, non diversa era la situazione in merito alla critica. Lea fu un’eccezione e cominciò la sua carriera alla fine degli anni Cinquanta quando pubblicò il suo primo saggio. A lei si devono gli studi sulla fisicità e l’azione performativa nell’arte confluiti nel 1974 in un saggio intitolato “Il corpo come linguaggio”ma anche scritti sul ruolo protagonista delle donne nell’arte che divennero il testo “L’altra metà dell’avanguardia”. È stata legata fino alla morte a Enzo Mari, noto designer, che conobbe negli anni ’60. I due sono morti a un giorno di distanza l’uno dall’altra.Tra le sue mostre, forse quella che è passata alla storia, è stata proprio “L’altra metà dell’avanguardia 1910-1940 del 1980” con allestimento di Achille Castiglioni: a Palazzo Reale a Milano Lea Vergine presentò le opere di oltre cento artiste attive all’interno dei movimenti d’avanguardia d’inizio Novecento che vennero ingiustamente cancellate dalla storiografia.

Si trattò di un’esposizione tutt’oggi ritenuta fondamentale rispetto agli studi relativi a storia dell’arte e questioni di genere. Per chi desidera saperne di più su questa grande donna dell’arte, consigliamo la lettura di L’Arte non è faccenda di persone per bene. Conversazione con Chiara Gatti”,Rizzoli: in questo libro confessione si snoda la vita travagliata e sorprendente di Lea Vergine dalla nascita nel napoletano del dopoguerra, il passaggio a Roma fra politica e gallerie e la maturità nella Milano degli anni Sessanta.

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Lea Vergine © Leonardo Cendamo/Getty Images

Lana e Lilly Wachowski

Lana e Lilly Wachowski (1965 e 1967) sono due sorelle che hanno stretto anche un sodalizio artistico lavorando nel cinema. La loro fama è dovuta principalmente a Matrix, il noto film del 1999 che hanno scritto e diretto. Sono dunque sceneggiatrici, registe e produttrici. Fu un successo epocale quello della trilogia che vedeva come protagonista Keanu Reeves: una pellicola che definì un genere (cinematografico ma forse non solo quello) e un’era e nella cui trama il dualismo e la possibilità di avere due vite parallele era assolutamente centrale. Questo tema rappresenta molto profondamente le due artiste che non solo nell’arte ma anche nella propria vita personale si sono trovate ad affrontarlo. Un’altra passione comune è quella per i comics e il mondo dei fumetti: tra gli altri lavori ricordiamo per esempio il loro adattamento per il cinema di V per vendetta per il quale si sono occupate anche della produzione.

Lana è la prima donna regista transgender a Hollywood: nel 2008 ha affrontato infatti il percorso di transizione, la sorella Lilly ha fatto lo stesso anni dopo. Entrambe hanno più volte dichiarato di non amare parlare di questo con la stampa, dunque non lo faremo nemmeno noi. Vanno citate ogni qualvolta si parli di grandi artiste nell’ambito dell’arte cinematografica.

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Lana Wachowski © Steve Jennings/Getty Images

Arca 

Alejandra Ghersi Rodríguez (1989), è una cantautrice, compositrice, produttrice discografica e disc jockey nata in Venezuela. Nel mondo musicale ha esordito come Nuuro e ora come Arca continua la sua attività di artista. Il suo stile musicale è assolutamente personale e mischia le proprie radici sudamericane a suoni estremamente moderni: grazie ad Arca l’elettronica, il reggaeton, le musiche tradizionali venezuelane incontrano felicemente la musica sperimentale. Ma definire il suo essere artista solamente nell’ambito della musica è riduttivo: Arca è infatti anche una performer e parla di sè come di una diva di nuova generazione. Per moltissimi è anche un’icona Lgbtqia+: nel 2018 ha fatto coming out come persona di genere non-binario identificandosi come donna latina trans.

 

 

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