Elezioni in Regno Unito, i risultati: Boris Johnson confermato premier con un’ampia maggioranza

Vincono i conservatori di Boris Johnson che raggiungono comodamente la maggioranza, mentre la sconfitta è amara per i laburisti di Jeremy Corbyn: la Brexit, quindi, si fa. Segui gli aggiornamenti sulle elezioni in Regno Unito in diretta: tutti i risultati.

Get Brexit done” (portare a termine la Brexit). Queste tre paroline sono entrate nella mente degli elettori britannici come un tormentone estivo, o una canzone natalizia, canticchiata senza neanche più sapere il perché. Alla fine la strategia dei conservatori e del loro leader, l’attuale primo ministro Boris Johnson che viene confermato capo di governo, ha funzionato. Sì, hanno promesso più soldi per il servizio sanitario nazionale (Nhs), più polizia sulle strade e che non avrebbero aumentato le tasse. Ma in realtà l’unica cosa di cui volevano parlare era la Brexit. Così, non si sono votati i programmi e le ideologie dei partiti ma semplicemente la loro posizione sul tema che domina, minaccioso, la politica britannica da oltre tre anni: l’uscita dall’Unione europea.

E se quasi 14 milioni dei 47 milioni di aventi diritto hanno scelto Johnson – nonostante le menzogne, i commenti offensivi e il suo semplificare qualsiasi questione parlando solo della Brexit – è perché i britannici vogliono andarsene, anche alcuni di quelli che avevano votato per restare nel 2016, semplicemente perché sono stufi dello stallo politico che i risultati del referendum hanno creato in un sistema storicamente non abituato a crisi così profonde e senza tregua. E se il partito laburista, dopo i risultati promettenti alle elezioni europee di maggio, ha perso quasi 60 seggi è perché ai britannici il suo leader Jeremy Corbyn non piace: troppo di sinistra (nel programma si parlava anche di nazionalizzare alcune industrie), antisemitico, pasticcione sulla questione della Brexit. Alla fine tanto, si riduce tutto a quello.

Elezioni in Regno Unito, i risultati: Boris Johnson vince la maggioranza

Nonostante le lunghe code ai seggi che in molti hanno fotografato e postato sui social media, l’affluenza è stata del 67,3 per cento, un calo dell’1,5 per cento rispetto alle precedenti elezioni del 2017. Il partito conservatore emerge vincitore con 365 seggi, il 43,6 per cento dei voti e una maggioranza di 80 seggi; il secondo partito è quello laburista con 203 seggi e il 32,3 per cento dei voti. A seguire, il Partito nazionale scozzese (Snp) con 48 seggi; quello liberal democratico, 11 seggi; il Partito unionista democratico (Dup) dell’Irlanda del Nord, 8 seggi; gli irlandesi astensionisti di Sinn Féin, 7 seggi; i gallesi di Plaid Cymru con 4 seggi; il Partito socialdemocratico dell’Irlanda del Nord con 2 seggi; i Verdi mantengono invariata la loro posizione con un seggio; mentre i neo partiti Brexit party e Independent group for change (conosciuto anche come Change UK) si fermano a quota zero. 

I risultati definitivi

PartitoSeggiSeggi rispetto al 2017Voti (%)
Conservatore365+4743,6
Laburista203-5932,2
Partito nazionale scozzese (Snp)48+133,9
Liberal democratico11-111,5
Partito unionista democratico (Dup)8-20,8
Sinn Féin700,6
Plaid Cymru 400,5
Partito socialdemocratico2+20,4
Verdi102,7
Brexit0-2
The independent group for change0-0

Should I stay or should I go? Per cosa si è votato

Giovedì 12 dicembre 47 milioni di aventi diritto sono andati alle urne in Regno Unito (composto dalle nazioni costitutive di Inghilterra, Galles, Scozia e Irlanda del Nord) per eleggere i rappresentanti dei loro collegi elettorali, ovvero i 650 membri della Camera dei comuni: è la terza volta dal 2015. Il compito più immediato che spetta ora al vincitore Johnson è decidere esattamente quando il paese lascerà l’Unione europea, se prima ancora del termine fissato, il 31 gennaio 2020. Bisogna anche capire come avverrà questo processo: con l’ampia maggioranza dei conservatori, senza troppi problemi, il parlamento dovrebbe approvare l’accordo con l’Ue che Johnson è riuscito a modificare rispetto a quello di May, eliminando il tanto conteso “backstop” che avrebbe potuto costringere l’Irlanda del Nord a rimanere nel mercato comune europeo.

Secondo la tabella di marcia dei conservatori, poi, un accordo commerciale con l’Ue verrà raggiunto entro la fine dell’anno. Più facile a dirsi che a farsi, considerando che solo per arrivare a questo punto ci sono voluti oltre tre anni dal referendum del 23 giugno 2016 e che il processo per l’uscita dall’Ue, inaugurato ufficialmente con l’adozione dell’articolo 50 del Trattato sull’Unione europea il 29 marzo 2017, ha superato ampiamente il limite previsto di due anni.

elezioni in Regno Unito climate debate channel 4
Non solo Brexit. Durante la campagna elettorale si è parlato anche di clima durante il “climate debate”, dibattito organizzato dall’emittente Channel 4. Non hanno partecipato Boris Johnson, conservatore e premier in carica, e Nigel Farage di Brexit party e al loro posto sono state messe delle sculture di ghiaccio raffiguranti la Terra. I candidati presenti, da sinistra a destra: Jo Swinson dei liberal democratici, Nicola Sturgeon dell’Snp, Adam Price di Plaid Cymru, il laburista Jeremy Corbyn e Sian Berry dei Verdi © Kirsty O’Connor – WPA Pool/Getty Images

Perché ci sono già state le elezioni in Regno Unito? I can’t get enough…

L’ultima volta che gli elettori sono stati chiamati alle urne, nel 2017, l’allora prima ministra conservatrice Theresa May ha perso la maggioranza in parlamento, nonostante il suo partito sia rimasto quello principale. Per uscire dall’impasse del “hung parliament”, ovvero un parlamento senza maggioranza, Johnson, che ha preso il posto di May a luglio di quest’anno, ha voluto anticipare il voto rispetto al termine del suo mandato nel 2022; era da quasi cent’anni che le elezioni, solitamente a maggio, non si tenevano d’inverno. Dopo alcuni colpi di scena – come la sospensione del parlamento da parte del premier poi respinta dalle Corte suprema, e il passaggio di una legge per fermare l’uscita dall’Ue senza un accordo, il cosiddetto “no deal Brexit”– il premier ha ottenuto il sostegno necessario per indire le elezioni.

Cosa hanno detto i candidati dei risultati delle elezioni

“Ho un messaggio per tutti quelli che ci hanno votato ieri, sopratutto chi lo ha fatto per la prima volta. Forse pensate di averci solo ‘prestato’ il vostro voto e non vi considerate dei conservatori veri e propri”, ha detto Johnson in seguito all’annuncio della vittoria. “Con umiltà, riconosco che avete riposto la vostra fiducia in me e in noi. Non prenderemo il vostro sostegno per scontato”.

“Noi politici abbiamo sprecato gli ultimi tre anni a bisticciare sulla Brexit … Voglio porre fine a tutto questo, e faremo la Brexit rispettando i tempi, entro il 31 gennaio, senza ma, senza se e senza forse: lasciando l’Unione europea come un regno unito, riprendendo il controllo delle nostre leggi, dei nostri confini, dei nostri soldi, del nostro commercio e del nostro sistema d’immigrazione”. “Allo stesso tempo, aumenteremo sostanzialmente i nostri investimenti nell’Nhs, il servizio sanitario che rappresenta il meglio del nostro paese, fondato su un’idea precisa e bellissima: che l’Nhs c’è per tutti, non importa chi siamo, se siamo ricchi, poveri, giovani o anziani”.

“Questa notte elettorale è una grande delusione per il partito laburista a causa dei risultati che abbiamo ottenuto”, ha dichiarato invece Corbyn dopo la pubblicazione degli exit poll. “Ma vorrei dire questo: nel corso della campagna abbiamo sostenuto un programma basato sulla speranza, sull’unità e che sarebbe stato in grado di correggere i mali dell’ingiustizia e della disuguaglianza. Vorrei anche annunciare che non guiderò più il partito nelle campagne elettorali future. Parlerò con i suoi membri affinché riflettano su questo risultato e sulle politiche da adottate in futuro. Rimarrò a capo del partito durante questo periodo, per garantire che questa discussione non solo avvenga ma ci permetta di guardare avanti”.

“Milioni di cittadini proveranno terrore e sgomento nell’apprendere questi risultati”, ha detto Jo Swinson, leader dei liberal democratici, che ha perso il suo seggio di Dunbartonshire East in Scozia all’Snp. “Le persone sono in cerca di speranza. Io credo ancora che possiamo essere un paese caldo e generoso, inclusivo e aperto, e che lavorando insieme ai nostri vicini più prossimi possiamo ottenere molto di più”.

elezioni generali in Regno Unito  Boris Johnson conservatori vota
Il primo ministro Boris Johnson nel seggio elettorale di Uxbridge e South Ruislip a Londra vota nelle elezioni generali in Regno Unito, il 12 dicembre 2019 © Chris J Ratcliffe/Getty Images

I programmi dei partiti, non solo Brexit ma anche clima 

Conservatori

Johnson è il terzo primo ministro in carica da quando si è tenuto il referendum del 2016, e il terzo conservatore, e contava di vincere grazie al sostegno dei “leavers” (quelli a favore della Brexit). Il suo programma però non è limitato a questo tema, per quanto dominante. Si parla anche di voler introdurre un sistema d’immigrazione basato sull’accumulo di punti sul modello australiano, migliorare la sicurezza pubblica con 20mila ufficiali di polizia in più e bloccare l’aumento delle tasse sul reddito e dell’Iva. Tra le proposte in ambito sociale ci sono 14 miliardi di sterline in più per l’istruzione e il mantenimento dei sussidi per le fasce più povere. In materia di clima, il partito di Johnson punta a raggiungere lo zero netto di emissioni entro il 2050 investendo nelle energie pulite e nell’infrastruttura verde – l’opposizione lo accusa però di ipocrisia per avere lasciato aperta la possibilità che il fracking riprenda in Regno Unito in seguito a una moratoria annunciata il mese scorso.

elezioni in regno unito Jeremy Corbyn Partito laburista vota islington north londra
Jeremy Corbyn, candidato premier del Partito laburista, vota il 12 dicembre. È stato confermato parlamentare per il collegio elettorale di Islington North a Londra © Peter Summers/Getty Images

Laburisti 

In tema di ambiente, il partito laburista era più ambizioso e proponeva una rivoluzione industriale verde, “Green industrial revolution” (corrispettivo del Green new deal americano) per accelerare la decarbonizzazione dell’economia, creare un milione di green jobs e raggiungere lo zero netto di emissioni legate all’energia nella decade a partire dal 2030. Citando la dichiarazione dell’emergenza climatica e ambientale, mozione presentata da Corbyn e approvata dal parlamento a maggio di quest’anno, secondo i laburisti, uno dei punti cardine di queste elezioni era decidere le sorti del clima e dell’ambiente.

Ma secondo alcuni sondaggi la questione che stava più a cuore agli elettori dopo la Brexit era quella del servizio sanitario nazionale, l’Nhs, un sistema in crisi profonda: solo in Inghilterra servirebbero 100mila operatori sociosanitari in più. I conservatori hanno promesso di incrementare il budget dell’Nhs di 34 miliardi di sterline l’anno, costruire 40 nuovi ospedali (dato gonfiato secondo l’opposizione) e dare lavoro a 50mila infermieri in più, numero ridimensionato a 31mila nuovi posti in seguito ad alcune polemiche. I laburisti avevano promesso invece di incrementare la spesa sanitaria di oltre il 4 per cento ogni anno, equivalente a 26 miliardi di sterline entro il 2023/4, e contrastare la privatizzazione di alcuni fornitori voluta dai governi conservatori. In generale, il programma dei laburisti puntava a investire nei servizi pubblici, in parte aumentando le tasse sui redditi alti, combattere la povertà con un nuovo sistema di sussidi, incrementare il salario minimo da 8,21 a 10 sterline l’ora, e nazionalizzare alcune industrie nell’ambito dell’energia, dell’acqua, delle poste, delle ferrovie e delle telecomunicazioni.


Sulla questione Ue, Corbyn aveva voluto mantenere una posizione neutrale ed è finito per scontentare sia i leavers, numerosi in roccaforti laburiste come quelle nel nord dell’Inghilterra, che i “remainers” (quelli contro la Brexit), ovvero la maggioranza dei sostenitori del partito. Comunque, un piano ce l’aveva. I laburisti avrebbero voluto rinegoziare l’accordo con l’Ue nei primi tre mesi di governo ed entro metà anno tenere un secondo referendum: per approvare l’ipotetico accordo stilato da Corbyn o rimanere nell’Unione europea. Una proposta che strizzave l’occhio al 48,1 per cento dell’elettorato che aveva scelto quest’ultima strada già nel 2016, ma che non è bastata.

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Jo Swinson, leader del Partito liberal democratico, visita i volontari impegnati nella campagna elettorale © Aaron Chown – WPA Pool/Getty Images

Gli altri partiti

Più forte la posizione dei centristi del partito liberal democratico che aveva promesso di cancellare la Brexit in caso di vittoria. Diametralmente opposta la campagna degli euroscettici di estrema destra sotto Nigel Farage, il Brexit party creato meno di un anno fa, che avrebbe voluto lasciare l’Unione europea senza un accordo per una rottura netta o “clean-break”. Invece il Green party co-guidato da Jonathan Bartley e Sian Berry era a favore di un secondo referendum e di rimanere nell’Unione europea, ma il cuore della sua campagna erano i temi ambientali. Oltre a sostenere un Green new deal, i verdi britannici vorrebbero raggiungere lo zero netto di emissioni entro il 2030 (più ambiziosi dei liberal democratici che punterebbero al 2045).

elezioni in regno unito nicola sturgeon Partito nazionale scozzese (Snp)
La premier scozzese Nicola Sturgeon (sinistra), leader del Partito nazionale scozzese (Snp) che ha dominato in Scozia, dove ha vinto 48 seggi con il 45 per cento dei voti, l’8 per cento il più del 2017, quando si era fermato a 35 seggi. “Il mandato di Boris Johnson è assicurarsi che l’Inghilterra esca dall’Unione europea. Ma non ha un mandato per far uscire la Scozia dall’Ue. E se vorrà imporre il suo mandato per la Brexit, allora non potrà negare quello dell’Snp di offrire al popolo scozzese una scelta diversa”, ha detto Sturgeon, che vorrebbe un secondo referendum sull’indipendenza scozzese © Jeff J Mitchell/Getty Images)

Dei partiti rappresentati sono in alcune delle nazioni costitutive del Regno Unito, l’Snp della premier scozzese Nicola Sturgeon, terzo partito per numero di seggi, era d’accordo con l’oltre 60 per cento degli elettori che in Scozia ha votato per rimanere nell’Ue, e avrebbe voluto un secondo referendum sulla Brexit seguito da un altro sull’indipendenza scozzese, ipotesi sempre più realistica a cause dell’uscita dall’Ue. Anche il partito gallese Plaid Cymru di Adam Price era a favore di un secondo referendum e contro la Brexit, mentre il Dup dell’Irlanda del Nord con a capo Arlene Foster, partner dei conservatori nel governo uscente nel sostenere la Brexit, vorrebbe rinegoziare l’accordo di Johnson. Infine, il partito irlandese astensionista Sinn Féin – che si rifiuta di occupare i propri seggi – guidato da Mary Lou McDonald si era dichiarato contro la Brexit e a favore di un referendum per l’unificazione di Irlanda e Irlanda del Nord.

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Boris Johnson viene riconfermato primo ministro del Regno Unito alle elezioni del 12 dicembre 2019 © Leon Neal/Getty Images

Ora non basta “Get Brexit done”

Si è parlato dei giovani, delle tre milioni di persone in più che si sono registrate per votare nelle sei settimane da quando sono state chiamate le elezioni, la maggior parte sotto i 34 anni, ma non sono bastati per sfidare le previsioni. Le cose sono andate come si aspettavano i sondaggi più promettenti per i conservatori e, oltre ai laburisti distrutti dalla terribile nottata, hanno sofferto anche i partiti più piccoli, come i liberal democratici e il Brexit party di Farage. Anche loro hanno perso voti ai conservatori perché gli elettori hanno ingoiato la pillola di Brexit (avevano scelta?) e deciso che, basta, ora si fa.

Tanti ci credono, tanti no. Ormai però il destino della nazione è tracciato e bisogna guardare avanti per capire qual sarà il suo futuro. Una domanda a cui Johnson ha sempre dato una sola risposta, semplice come un tormentone. Ma portare a termine la Brexit non vuol dire solo uscire dall’Unione europea, vuol dire dare una nuova identità al paese e farlo rimarginando le ferite create non solo dal referendum del 2016, ma anche dalle politiche di austerità e dalla crisi dei servizi sociali, dalla paura del crimine e del terrorismo, dall’aumento della povertà e della disuguaglianza. Oggi Johnson gioisce, ma l’impresa è ardua e, finora, non si è ancora dimostrato all’altezza.

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