Nel primo mese di cessate il fuoco a Gaza l’esercito israeliano ha condotto bombardamenti per 25 giorni, uccidendo almeno 242 palestinesi.
Centinaia di persone sono scese in strada per chiedere la fine della guerra israeliana su Gaza e fare pressione su Hamas.
Negli ultimi giorni centinaia di palestinesi della Striscia di Gaza hanno dato vita a una serie di proteste contro Hamas. Le manifestazioni si sono tenute nella parte settentrionale del territorio palestinese, quello più devastato dagli attacchi israeliani che vanno ormai avanti da un anno e mezzo e che hanno causato almeno 50mila morti. Le persone hanno urlato slogan contro la guerra e contro l’organizzazione politico-militare che governa in modo autoritario la Striscia, accusandola di non volersi fare da parte per mettere fine agli attacchi israeliani.
Il corteo principale si è tenuto nella giornata di martedì 25 marzo nel centro di Beit Lahia, tra le macerie dei prolungati bombardamenti israeliani. Centinaia di persone palestinesi hanno sfilato per le vie urlando slogan contro la guerra, dopo che nelle ultime settimane l’esercito israeliano ha unilateralmente messo fine a due mesi di cessate il fuoco riprendendo la sua offensiva sulla Striscia di Gaza, che dal 7 ottobre 2023 ha causato oltre 50mila morti e provate accuse di genocidio. Altre proteste, meno partecipate, si sono tenute anche a Khan Yunis e Jabalia, mentre su Telegram sono circolati inviti a replicare le proteste anche nei giorni successivi. Cosa che è successa nella giornata di mercoledì 26 marzo, quando gruppi sparuti di persone sono nuovamente scese in strada, in particolare a Gaza City.
Oltre che contro la guerra, nel corso della due giorni di proteste diversi manifestanti hanno gridato slogan contro l’organizzazione palestinese Hamas, che dal 2007 governa la Striscia di Gaza. Qualcuno li ha accusati di essere terroristi, altri hanno invocato la sua fuoriuscita dal territorio palestinese, considerata come una possibile soluzione per mettere fine ai bombardamenti di Israele, che da un anno e mezzo annuncia come obiettivo la distruzione della stessa Hamas. Altri ancora hanno denunciato una sua corresponsabilità nella distruzione israeliana della Striscia di Gaza, per il suo attentato in suolo israeliano il 7 ottobre 2023 e per il successivo costante lancio di razzi in risposta agli attacchi israeliani.
Alcuni manifestanti hanno denunciato che i miliziani di Hamas sono intervenuti per mettere fine ai cortei di proteste.
Hamas ha preso il potere nella Striscia di Gaza alle ultime elezioni, quelle del 2006, sconfiggendo Al-Fatah. Nel corso degli anni con la sua interpretazione rigida della legge islamica ha ristretto notevolmente lo spazio per i diritti e le libertà della popolazione, già stremata dalle politiche di apartheid messe in atto da Israele.
Una sentenza del 2021 ha stabilito che le donne hanno bisogno di un permesso e di un tutore maschile per poter viaggiare, una difficoltà che si aggiunge alle limitazioni al movimento imposte dallo stato israeliano, che ha reso la Striscia di Gaza la più grande prigione a cielo aperto del mondo. La legge impone canoni rigidi per l’abbigliamento femminile, il consumo di alcolici è vietato per tutta la popolazione, così come i rapporti omosessuali. Come sottolinea un rapporto dell’organizzazione Human Rights Watch, a Gaza non c’è spazio per il dissenso. Gli oppositori politici subiscono aggressioni e arresti arbitrari anche solo per i loro post sui social network e anche l’attività giornalistica è limitata. Nel 2017 nella Striscia di Gaza scoppiarono alcune proteste antigovernative per la crisi dell’elettricità e Hamas rispose arrestando decine di manifestanti. La stessa è successa nel 2019 con le proteste del movimento Bidna N’eesh.
Alla luce di questi elementi, le manifestazioni di protesta e il dissenso contro Hamas sono molto rari nella Striscia. Questo va di pari passi con il forte consenso di cui gode l’organizzazione palestinese, tanto più dopo il 7 ottobre 2023 e il genocidio messo in atto da Israele.
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