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Un gruppo di ricercatori della Statale di Milano ha scoperto che l’inquinamento ambientale riduce l’età gestazionale e aumenta il rischio di parto cesareo, forse a causa di cambiamenti nella proteina del colesterolo Ldl.
Si aggiunge una nuova voce alla lista degli effetti negativi delle polveri sottili sulla salute delle donne che aspettano un bambino: è l’aumento del colesterolo “cattivo”. Il fenomeno potrebbe dipendere dalla reazione anomala di una specifica proteina all’inquinamento dell’aria e le conseguenze per la gravidanza non sono banali.
Chiara Macchi e i suoi colleghi dell’Università degli Studi di Milano hanno monitorato i livelli circolanti della proteina responsabile della produzione di colesterolo Ldl, la Pcsk9, in 134 donne sane alla dodicesima settimana di gestazione. Lo scopo era valutare se questa potesse essere un marcatore biologico precoce, ovvero una sorta di campanello d’allarme per eventuali complicanze.
“Il colesterolo è fondamentale per la crescita fetale. Ci siamo chiesti se l’inquinamento ambientale potesse influire sulla presenza della proteina che ne regola i livelli nel sangue e se questi effetti si potessero tradurre in un impatto negativo sulla crescita intrauterina”, spiega Macchi.
Con il suo gruppo di ricerca, coordinato da Alberto Corsini e Massimiliano Ruscica del dipartimento di Scienze farmacologiche e biomolecolari, ha analizzato i valori di Pcsk9 presenti nei campioni ematici di tutte le partecipanti.
Le centraline Arpa disseminate in Lombardia hanno fornito i dati per il secondo step: il monitoraggio quotidiano della qualità dell’aria. Dall’incrocio dei due diversi parametri, è stato possibile calcolare il livello di esposizione ambientale di ciascun soggetto nel proprio luogo di residenza per l’intera durata della gravidanza.
Per Macchi, il risultato dimostra un chiaro legame tra l’inalazione di polveri sottili e i rischi per i nascituri: “Abbiamo dimostrato che nelle donne esposte a una concentrazione più alta di particolato si associano livelli circolanti di Pcsk9 più elevati, con un accorciamento dell’età gestazionale e un rischio maggiore di dover ricorrere al parto cesareo”.
Nel dettaglio, l’età gestazionale alla nascita si riduce di circa una settimana per ogni incremento pari a 100ng/mL dei livelli circolanti della proteina, specialmente a contatto con polveri sottili PM2,5. Questi dati sono stati supportati dall’aumento del rapporto di probabilità per i parti cesarei d’urgenza per ogni incremento di 100ng/mL di Pcsk9, tendenze osservate sia quando si è considerata l’esposizione al PM10 sia quella al biossido di azoto (NO2).
Perché succede? Impossibile rispondere con esattezza, non si conoscono ancora i meccanismi molecolari che determinano queste reazioni. Tuttavia Macchi avanza un’ipotesi: “Sia l’inquinamento che la proteina Pcsk9 potrebbero stimolare un processo infiammatorio localizzato nella placenta, con conseguente necessità di ricorrere al cesareo. Ma è solo idea e siamo già a lavoro per dimostrarla”.
Per saperne di più serviranno ricerche più approfondite. Nel frattempo, lo studio italiano è stato pubblicato sulla rivista di settore Environment International e ha ricevuto di recente una borsa di studio nell’ambito del prestigioso Prix Galien Italian 2022. Un riconoscimento che apre le porte a nuove, preziose, collaborazioni e che si spera porterà ancora una volta l’attenzione della comunità scientifica internazionale e delle istituzioni sullo stretto legame tra crisi climatica, salute e giustizia sociale.
Spesso, infatti, sono le minoranze a subire le conseguenze più gravi, come nel caso delle mamme afroamericane e dei loro bambini prematuri, sottopeso o nati morti. Il messaggio è chiaro, ripetono anche dal team milanese: non esiste una soglia di sicurezza. Solo dove finiscono le emissioni di gas serra, inizia la nostra salute.
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