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Il membro americano del Cio, Comitato olimpico internazionale, suggerisce la squadra coreana di hockey come prossima candidata al Nobel per la pace.
Stanno scrivendo la storia, stanno vincendo ancora prima di scendere in campo. Sono le giovani atlete coreane del team unificato di hockey femminile delle due Coree. Delle quali si parla ora addirittura come prossime candidate al premio Nobel per la pace.
E a ventilare l’ipotesi è stata un’americana.
Con una splendida esclusiva, l’agenzia Reuters lancia un’idea che potrebbe nelle prossime settimane farsi strada, anche sull’onda dell’attenzione mondiale che questi Giochi olimpici invernali a PyeongChang stanno ovviamente catalizzando.
Una famosa esponente americana del Comitato olimpico internazionale (Cio) Angela Ruggiero, ha lanciato domenica un appello riguardante la squadra di hockey su ghiaccio femminile della Corea del Nord e del Sud.
La quattro volte campionessa mondiale di hockey su ghiaccio e medaglia d’oro olimpica Usa ha dichiarato alla Reuters che avrebbe chiesto agli altri membri di nominare per lo storico riconoscimento la squadra congiunta, che comprende dodici giocatrici della Corea del Nord. Paese che – ricordiamolo – è ancora tecnicamente in guerra con il Sud.
“Mi piacerebbe che la squadra ottenga il premio Nobel per la pace – ha dichiarato Angela Ruggiero il giorno dopo la prima partita del team coreano unificato alle Olimpiadi di PyeongChang – seriamente, la squadra. Qualcosa che valga come riconoscimento del sacrificio che stanno facendo per adattarsi alle loro rivalità”.
È stata la Corea del Sud a suggerire un mese fa la formazione di una squadra congiunta come parte degli sforzi per utilizzare i Giochi per ricominciare a impegnarsi e spianare la strada per nuovi colloqui sul programma bellico del Nord.
La Corea del Nord è tuttora soggetta a pesanti sanzioni Onu e statunitensi volte a costringere lo stato recluso e monopartitico ad abbandonare i suoi assurdi piani di sviluppo di missili nucleari e balistici.
“In forza del fatto che ho gareggiato in quattro Olimpiadi – ha detto Ruggiero – posso dire che non si tratta di personalismi, della tua squadra o del tuo Paese, si tratta di qualcosa di più grande: e ho percepito il potere di quello che è successo la scorsa notte”.
Leggi anche: Pyeongchang 2018, l’impresa “olimpica” di Moon Jae-in per unire le due Coree
I due Paesi sono ancora tecnicamente in guerra da quando il conflitto del 1950-53 si è concluso con una tregua, ma senza un trattato di pace.
Tuttavia, la Corea del Sud è storicamente stata più propensa a impegnarsi nuovamente a intrattenere un dialogo con il Nord rispetto per esempio allo storico alleato di guerra, gli Stati Uniti, che invece vogliono che Seoul continui ad esercitare pressioni diplomatiche ed economiche sul suo vicino.
Ma il mese scorso, la Corea del Nord ha concordato con la Corea del Sud di inviare 22 atleti e una squadra di 230 cheerleader ai Giochi invernali.
Non hanno mai smesso di cantare e ondeggiare sincronizzate sugli spalti al ritmo della musica le cheerleader mandate al Sud dal regime di Kim Jong-un. In mano la bandiera che ha esordito ai Giochi invernali di PyeongChang, la sagoma azzurra del loro Paese unito, su sfondo bianco, senza confini. Così, sulla pista ghiacciata del Kwandong Center, a Gangneung sulla costa, il 10 febbraio 2018 è stata impaginata una bella immagine di storia.
In due giorni Seul ha vissuto una piccola grande rivoluzione: Kim Yo-jong, giovane sorella del leader del Nord, dopo incontro e pranzo nella Cheong Wa Dae, la Casa blu residenza del presidente sudcoreano Moon Jae-in, si è trasferita allo stadio dell’hockey per assistere alla prima partita del team unito delle ragazze coreane. In tribuna al suo fianco anche il novantenne Kim Young-nam, capo delegazione dei coreani oltre il 38/o parallelo, lo stesso presidente Moon e il numero uno del Cio, Thomas Bach. Tutt’intorno spalti gremiti, perché per questa gara i 6.000 biglietti erano già andati esauriti.
Così la squadra di hockey femminile delle Coree unite ha fatto il suo debutto: ha perso 8-0 con la Svizzera ma questo conta poco, o forse niente. Perché dopo la stretta di mano in mondovisione che ha riaperto un capitolo chiuso settanta anni fa, la Corea si è risvegliata con la speranza che i passi verso una riappacificazione vera non tornino indietro dopo la fine dei Giochi.
Dicono che la carica delle ventenni in tenuta rosso fuoco abbia inondato ogni angolo del palazzetto. Un grande entusiasmo durante le coreografie al grido, all’unisono, di “Korea!”. Come un’unica voce e, chissà, come un unico Paese.
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