Il Venezuela ha messo le mani sull’Esequibo, per la propaganda di Maduro e per il petrolio

Oltre il 90 per cento dei venezuelani ha votato “sì” ad uno storico referendum per annettere il territorio dell’Esequibo, da oltre un secolo oggetto di contesa con la vicina Guyana.

Il Venezuela ha votato per annettere l’Esequibo. Domenica l’autorità elettorale venezuelana ha riferito che oltre 10,5 milioni di persone – cioè, la quasi totalità degli elettori venezuelani – ha votato “sì” al referendum consultivo tenutosi domenica per l’annessione dell’Esequibo, regione sottratta nel 1899 dall’Impero britannico e da allora divenuto territorio conteso con lo stato vicino della Guyana. Una percentuale schiacciante che ha subito attirato accuse di elezioni falsate, tanto da costringere lo stesso ente a ritirare l’annuncio, ma che non cambia lo stato delle cose per il presidente venezuelano Nicolás Maduro: “La decisione che voi avete preso dà una spinta vitale poderosissima”, ha detto dalla sede del Consiglio nazionale elettorale (Cne) commentando l’esito della consultazione popolare. I cinque quesiti di cui si componeva il referendum avevano come obiettivo la creazione di uno stato federale da includere nel territorio del Venezuela, estendendo la cittadinanza a tutti gli abitanti dell’area. Un’intenzione unilaterale, priva di qualunque coinvolgimento diplomatico e anzi, stante la ferma opposizione dello stato confinante della Guyana, che fa sembrare l’esito del referendum più una spilla appuntata al petto di Maduro prima delle elezioni presidenziali attese nel 2024.

referendum Venezuela

La doppia campagna di Maduro, tra reggaeton e magliette

Maduro si è affidato all’estetica e al potere persuasivo della cartografia per innescare una doppia campagna elettorale, che guardava tanto alla questione dell’Esequibo quanto alle presidenziali del 2024, in cui molti sondaggi lo danno in svantaggio. L’annuncio dei 10,5 di voti a favore del sì è stato presto smentito dallo stesso capo dell’autorità elettorale, alimentando dubbi e polemiche sulla trasparenza del voto. Bharrat Jagdeo, ex presidente della Guyana, ha definito il voto “truccato” e ha messo in dubbio i dati sull’affluenza alle urne, mentre Reuters ha raccontato dei molti seggi elettorali andati quasi deserti nella giornata di domenica. Ma i dubbi sulla regolarità del referendum non hanno fermato Maduro, che lunedì ha decretato a parole l’inizio di “una nuova era nella lotta per la nostra Guayana Esequiba”. Maduro era stato rieletto presidente nel 2018, al termine di elezioni molto contestate contraddistinte da una bassissima affluenza e da un contesto di grave crisi economica e sociale. L’esito stesso delle elezioni era stato contestato da molti paesi.

Sull’enorme consenso ottenuto dal referendum – appena il 4 per cento dei votanti ha detto “no” ai quesiti referendari – ha sicuramente inciso l’intensa campagna mediatica capeggiata proprio da Maduro e sintetizzata dallo slogan “Venezuela Toda”. Un poderoso dispiegamento di forze impregnato di toni nazionalistici che si è espresso ricorrendo ai mezzi più accattivanti e quasi ludici, per rendere la rivendicazione territoriale una volontà popolare. Concerti di reggaeton infarciti di slogan patriottici, eventi culturali e artistici, la produzione di un merchandising e la diffusione di contenuti sui social media dedicato sono stati utilizzati per diffondere il messaggio politico di un “Venezuela unito”, che non può prescindere dalla sua Zona en Reclamación; “Adesso recupereremo i diritti storici del Venezuela nella Guayana Esequiba, adesso facciamo giustizia”, ha aggiunto celebrando la vittoria.

Ciò che a detta di molti osservatori è completamente mancato è la spiegazione di un percorso per condurre all’allargamento del territorio e all’estensione della cittadinanza a tutti coloro che ora risiedono nella Guayana una volta ascoltata la volontà popolare. Maduro e i suoi ministri non hanno spiegato come intendono creare uno Stato entro i propri confini, dal momento che il Venezuela è una repubblica federale. Per non parlare della totale assenza di dialogo con la Guayana, vero convitato di pietra in questione, che si è sempre rifiutata di scendere a qualunque tavolo negoziale e ha già fatto sapere che non intende riconoscere l’esito del voto. Il presidente Irfaan Ali ha addirittura aggiunto che la Guyana punta a stabilire nella regione nuove basi militari sotto la protezione degli Stati Uniti.

Exxon è il primo azionista del sottosuolo della Guyana

Sull’importanza di questo territorio tanto per il Venezuela quanto per la Guyana gioca un ruolo determinante il fattore economico, dal momento che il territorio dell’Esequibo è ricco di risorse naturali e di minerali – su tutti l’oro – da estrarre. Una grossa parte di queste ricchezze proviene dalla miniera di Omai, fra le più grandi dell’America Latina settentrionale. Inoltre, al largo delle coste della Guyana Esequiba si trovano alcuni giacimenti di petrolio in un’area di 26mila chilometri quadrati conosciuta come Stabroek Block. Sull’estrazione di petrolio nel territorio della Guyana ci sono gli interessi del colosso statunitense ExxonMobil.

Secondo quanto scritto dal Post, “la società di consulenza Refinitiv Eikon ha riportato che, nel primo trimestre del 2023, la Guyana ha esportato 338.254 barili di petrolio al giorno, più del triplo rispetto al 2021, e prevede di arrivare a produrre 1,2 milioni di barili al giorno entro il 2027. Numeri che la renderebbero il terzo produttore di petrolio dell’America Latina dopo il Brasile e il Messico, superando il Venezuela“.  Una straordinaria occasione per succhiare nuove risorse dal terreno e attrarre investimenti stranieri, dunque, che ancora una volta rischierebbe di devastare la straordinaria biodiversità delle foreste dell’Esequibo. Si stima che, solo l’estrazione legale e illegale dell’oro, abbia causato una perdita di 31mila ettari di foresta negli ultimi 20 anni, erodendo habitat indispensabile per la vita di 10mila specie di piante e centinaia di specie animali.

La disputa storica sull’Esequibo

La Guayana Esequiba o Esequibo è un territorio di 159.500 chilometri quadrati, che fa parte dello stato sudamericano della Guayana. Da oltre un secolo la sovranità sull’Esquibo – che i venezuelani chiamano per l’appunto Zona en Reclamación – è messa in discussione proprio dallo stato vicino, apertamente in contrasto con un arbitrato internazionale che l’ha decretata parte della colonia della Guayana britannica nel 1899.

Guyana
Un insediamento di migranti venezuelani a Port Kaituma, Guyana © Photo by Patrick Fort/Afp via Getty Images

Facendo un passo indietro, la questione dell’Esequibo è infatti da far risalire all’epoca del colonialismo spagnolo quando il territorio era parte della colonia spagnola nell’odierno Venezuela. Nel 1814 un’altra potenza coloniale, la Gran Bretagna, entrò per la prima volta in possesso dell’Esequibo, fino a poco tempo prima appartenuto ai Paesi Bassi. Insieme ai territori di Demerara, Berbice divenne parte ufficiale della Guayana britannica nel 1831. In quella fase il Venezuela – che stava costituendo uno stato a sé stante dopo aver dichiarato l’indipendenza dalla Spagna – non oppose grande resistenza. Le prime tensioni iniziarono a partire dal 1834 quando venne tracciata una linea di confine tra Venezuela e Guayana Britannica dal fiume Moruca fino all’Esequibo. Questa linea – detta Linea Schomburgk dal nome dell’esploratore britannico che la tracciò – diventò causa di tensione con il Venezuela quando i coloni britannici cominciarono ad oltrepassarla per stabilirsi oltreconfine.

Nel 1899 un arbitraggio neutrale tenutosi a Parigi per risolvere la controversia decretò l’Esequibo parte della Guayana britannica. Una decisione che allora venne accettata ma che non placò le rivendicazioni sul territorio. La prima richiesta ufficiale di revisione dell’arbitrato venne formulata dal Venezuela – che nel frattempo era diventata una democrazia – nel 1963 davanti alle Nazioni Unite. Di lì a poco la Guyana britannica avrebbe ottenuto l’indipendenza e, quando avvenne nel 1966, la neonata Guayana ottenne l’Esequiba sulla base dell’articolo 7 dell’Accordo di Ginevra ratificato proprio il giorno dell’affrancamento dagli inglesi. L’accordo riconosceva le rivendicazioni del Venezuela sull’Esequibo, ed è proprio per questo che i venezuelani lo considerano “l’unico strumento giuridico valido” per la risoluzione della disputa.

Il Venezuela al voto nel 2024

Resta tuttavia complicato e forse prematuro capire come e se la presidenza di Maduro intenderà dare sostanza al voto dei venezuelani, applicando concretamente quando contenuto nei quesiti del referendum per l’annessione dell’Esequibo. Ciò che appare evidente, se non altro riguardando i numeri bulgari del “sì”, è il vasto sostegno popolare ad una causa che Maduro ha cercato di intestarsi con il voto di domenica, e sul quale punta a ripartire in vista delle prossime elezioni presidenziali, che si terranno probabilmente nella seconda metà del 2024.

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