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Dopo la scelta di Joe Biden di passare il testimone a Kamala Harris, si apre un nuovo capitolo della storia degli Stati Uniti d’America. Da scrivere in soli 100 giorni.
Con la morte di Henry Kissinger, scomparso ieri all’età di 100 anni se ne va una delle più influenti figure politiche del Novecento.
Henry Kissinger è morto il 29 novembre nella sua casa in Connecticut, Stati Uniti. L’ex segretario di stato degli Stati Uniti aveva festeggiato i 100 anni lo scorso 27 maggio. Con lui, esce di scena una delle più influenti e discusse figure della politica internazionale del Novecento. La morte di Henry Kissinger lascia infatti un’eredità sterminata e pesante, che ha contribuito a delineare la reputazione mondiale della prima potenza mondiale come tutt’altro che priva di opacità e controversie. Un’eredità con cui non il presidente Joe Biden, ma la classe politica che gli succederà, dovrà decidere se e come confrontarsi.
Henry Kissinger – all’anagrafe tedesca Heinz Alfred Kissinger – era nato il 27 maggio 1923 a Fürth, in Germania da una famiglia ebrea. Nel 1938 la sua famiglia fu costretta a emigrare negli Stati Uniti, a New York, scappando dalla persecuzione nazista portata aventi da Adolf Hitler. Questo evento segnò profondamente il giovane Kissinger, che cambiò nome in Henry iniziò il suo percorso educativo negli Stati Uniti, terminato con un dottorato in scienze politiche all’Università di Harvard nel 1954. Dopo il dottorato Kissinger continuò la sua attività di ricercatore, che gli permise di lavorare con alcune agenzie governative in veste di consulente e di addentrarsi negli ambienti politici di Washington.
La vera svolta nella sua carriera avvenne quando fu nominato consigliere per la sicurezza nazionale dal presidente degli Stati Uniti Richard Nixon, nel 1969. Sotto la presidenza di Nixon, il potere di Kissinger raggiunse l’apice. La sua influenza riempì le trame delle relazioni internazionali degli Stati Uniti. Kissinger, che in quegli anni condannava pubblicamente la guerra in Vietnam iniziò a portare avanti una serie di relazioni diplomatiche attraverso un approccio più informale, spesso orientato alla segretezza e ricorrendo a canali riservati. In questo modo, conduceva una politica estera diretta a obiettivi spesso non palesati durante gli interventi pubblici e i vertici internazionali. Un esempio lampante di questo modus operanti fu la guerra in Vietnam, durante la quale l’amministrazione Nixon – consigliata proprio da Kissinger – decise di intensificare la guerra nonostante le numerose perdite nell’esercito statunitense e il vasto dissenso popolare in patria che andava crescendo.
Nel 1973 Kissinger divenne segretario di stato, carica che ricoprì fino al 1977 con il presidente Gerald Ford. In questa veste Kissinger pose le basi della sua “realpolitik”, ovvero di un approccio quasi spietatamente concreto e realista nella gestione delle relazioni internazionali degli Stati Uniti. In sostanza, proprio come era avvenuto anni prima, gli slogan ideologici e la narrazione pubblica delle relazioni diplomatiche degli Stati Uniti lasciavano il passo, in fase decisionale, ad un approccio molto più scarno di considerazioni morali e ideologiche.
Pur non definendosi un sostenitore della “realpolitik”, è proprio questo approccio che rese Kissinger un protagonista tanto controverso nella politica mondiale del Novecento. Uno dei meriti generalmente attribuiti a Kissinger riguarda il periodo della cosiddetta détente, cioè la “distensione” tra Unione Sovietica e Stati Uniti negli anni Settanta, così come le aperture verso la Cina comunista, che resero Nixon fu il primo presidente americano a visitare ufficialmente la Cina dopo la Seconda guerra mondiale.
Kissinger assunse un ruolo di assoluto rilievo anche nella negoziazione dei trattati internazionali. Il suo coinvolgimento nei negoziati di pace portò agli storici Accordi di Pace del 1973 tra Egitto e Israele, gli valsero addirittura un clamoroso e criticatissimo Premio Nobel per la Pace. Nel tempo, infatti, Kissinger aveva attirato su di sé una serie di controversie riguardanti il suo coinvolgimento in operazioni segrete e per l’uso della forza militare in varie parti del mondo, come nel caso del colpo di Stato in Cile che causò la morte del presidente Salvador Allende e l’instaurazione della dittatura di Augusto Pinochet, l’11 settembre 1973.
La morte di Henry Kissinger ci aiuta dunque a rispolverare tutte le ambiguità del suo operato, che gli sono valse i soprannomi di “Gande burattinaio” e “Machiavelli d’America”. Dopo il termine del suo incarico ufficiale, rimase attivo come consulente politico e autore prolifico, continuando a influenzare il dibattito sulla politica estera e sulla sicurezza. Anche l’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, lo ha voluto incontrare alla Casa Bianca. Negli ultimi mesi si è espresso sul conflitto in Ucraina, pungolando Washington ritenuto responsabile insieme alla Russia. La morte di Henry Kissinger costringe ora gli Stati Uniti a guardare alle luci ed ombre che hanno caratterizzato il suo operato, e che oggi costituiscono l’eredità politica di una delle più influenti figure del Novecento.
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