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La giornata ha l’obiettivo di far conoscere l’epilessia e aiutare le persone che ne soffrono a sconfiggere i pregiudizi sociali che ruotano attorno alla malattia.
Ciò che non comprendiamo ci spaventa, questo vale anche se parliamo di una malattia. Un tempo le persone affette da epilessia venivano stigmatizzate, evitate o addirittura imprigionate, con la convinzione che i loro spasmi fossero segno di una possessione demoniaca. Gli epilettici in numerose culture e periodi storici erano considerati malvagi, “l’anestesia che gli epilettici hanno nei loro sensi, la portano anche nel cuore”, scriveva Cesare Lombroso, il famigerato medico torinese fondatore della moderna criminologia, che associava il concetto di “pazzia epilettica” alla personalità criminale.
L’epilessia è una malattia neurologica che si presenta in forme differenti, ne soffre mediamente una persona su cento, in Europa sono sei milioni le persone affette da tale patologia mentre nel nostro Paese circa 500mila, con 30mila nuovi casi l’anno. In virtù della sua crescente diffusione l’organizzazione Mondiale della Sanità ha riconosciuto l’epilessia come malattia sociale.
Malgrado i progressi della scienza sullo studio del nostro cervello non vi è ancora una cura per questa patologia, i farmaci esistenti possono solo limitare i danni. Il 26 marzo è il Purple day, la Giornata mondiale della consapevolezza sull’epilessia. L’obiettivo della ricorrenza, istituita nel 2008, è quello di far conoscere questa malattia, contribuendo così a sfatare i miti che da sempre la accompagnano e ad abbattere i pregiudizi che affliggono i pazienti.
Il segno distintivo della giornata, come suggerisce il nome, è il color porpora, scelto perché spesso associato all’epilessia semplicemente perché è il colore legato al cervello. Il occasione del Purple day tutti coloro che sostengono la lotta all’epilessia indossano un capo o un accessorio color porpora.
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