Il mappamondo dopo Durban

L’appuntamento con la conferenza sul clima di Durban ha scombinato ulteriormente le carte sul tavolo creando un “mappamondo climatico” inedito. Proviamo a mettere un po’ di ordine.

[Internazionale]
Il mappamondo dopo Durban


Europa

Sempre più leader
Per la prima volta Bruxelles si
è mossa e ha parlato con una voce sola. Nonostante alcuni
paesi del Vecchio continente abbiano fatto fatica a non esprimere
il proprio parere “fuori dal coro”, Connie Hedegaard, commissario
europeo per il clima, è stata bravissima a portare avanti,
senza mai indietreggiare, una posizione favorevole all’introduzione
di un accordo legalmente vincolante. Non solo: a differenza di
altri paesi, l’Ue non ha subordinato il proprio impegno a quello
dei paesi emergenti. In questo modo la leadership climatica di
Bruxelles ne è uscita rafforzata. Parafrasando la famosa frase
dell’ex segretario di Stato americano Henry Kissinger, in campo
ambientale gli Stati Uniti sanno benissimo a chi devono telefonare
se vogliono parlare con l’Europa.

Australia
Il
nuovo ruolo dell’emisfero australe
Nel 1997 il governo
di Canberra sottoscrive il Protocollo di Kyoto, ma poi si rifiuta
di ratificarlo. Nel 2007, in seguito a un cambio di governo,
l’Australia torna sui suoi passi e decide di aderire in extremis ai
vincoli di riduzione della CO2 previsti dalla Cop 3 di Kyoto. Oggi,
l’Australia sembra essere totalmente passata tra i paesi più
attivi nella lotta ai cambiamenti climatici dichiarandosi
disponibile a prolungare gli effetti del Protocollo fino al 2020.
Stessa decisione presa anche da Svizzera e Norvegia.

Cina
Come un pachiderma: piano,
ma fa molto rumore

La posizione di Pechino è stata al centro dei negoziati.
Inizialmente chiusa, la Cina ha spiazzato i governi di mezzo mondo
dichiarando di essere disponibile a sottoscrivere un accordo
globale contenente vincoli di riduzione delle emissioni di gas
serra. Grazie a questa mossa si è riuscito a delineare le
tappe che dovrà rispettare il nuovo trattato: da scrivere e
sottoporre alle firme degli stati entro il 2015; entrata in vigore
nel 2020.

Canada, Russia e
Giappone
La politica del
gambero
I governi di Ottawa, Mosca e Tokyo hanno
seguito il percorso inverso rispetto all’Australia. Tra i paesi che
hanno aderito fin da subito al Protocollo, ora il trio ha deciso di
uscire dal “Kyoto bis” per la mancanza di un impegno anche da parte
di Stati Uniti e dei paesi emergenti come Cina e India. Un po’ come
fanno i fanciulli: “non gioco se non giochi prima tu”, ma con il
nostro pianeta non si può giocare.

Stati Uniti
Ancora fermi ai blocchi di partenza

Gli Stati Uniti non hanno mai ratificato Kyoto e mai lo faranno.
Avevano detto di non essere disposti a sottoscrivere alcun nuovo
accordo se la Cina non avesse fatto il primo passo, ma anche dopo
che questo è arrivato, la Casa Bianca non ha impartito nuove
disposizioni ai suoi delegati presenti a Durban. In ogni caso,
questi non hanno ostacolato l’approvazione dell’accordo finale, ma
da qui al 2020 la strada è ancora lunga e molte le elezioni
(presidenziali e di mid-term) in programma.

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