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Un esperimento condotto in un carcere dell’Oregon ha dimostrato che la visione di immagini e video naturalistici ha un effetto calmante sui detenuti in isolamento.
Il contatto con la natura ha un impatto incredibilmente benefico sul nostro organismo e sul nostro equilibrio psicofisico, anche la scienza non ha più dubbi al riguardo. Uno studio, ad esempio, ha rilevato che gli uomini che vivono in aree caratterizzate da ampi spazi verdi, hanno un tasso di mortalità del 16 per cento inferiore rispetto ai loro omologhi che vivono in aree urbane, mentre un altro ha dimostrato che nelle aree urbane dove sono presenti alberi si registra un consumo ridotto di antidepressivi rispetto alle zone che ne sono sprovviste. Non tutti però hanno libero accesso alla natura, tra quelli che vi sono esclusi ci sono i detenuti, in particolare quelli in isolamento. Un esperimento ha però dimostrato che anche queste persone possono godere dell’effetto lenitivo della natura, semplicemente guadando immagini e video che ritraggono ambienti naturali.
Lo studio, intitolato Impacts of nature imagery on people in severely nature-deprived environments e pubblicato sulla rivista Frontiers in Ecology and the Environment, è stato condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università dello Utah su alcuni detenuti, in isolamento, in un carcere dell’Oregon. I ricercatori hanno mostrato ai prigionieri immagini e filmati di montagne, foreste, ghiacciai e cascate, rilevando come tali immagini possono ridurne la tensione e la rabbia e possono quindi rendere più facili da sopportare alcuni degli ambienti più duri di un carcere, come le celle di isolamento.
I ricercatori, guidati dal biologo Nalini Nadkarni, hanno diviso i detenuti dell’istituto correttivo di River Snake, in Ontario, Oregon, in due gruppi di 24 persone. A quelli del primo gruppo è stata offerta la possibilità di scegliere se utilizzare il tempo concesso per fare esercizio fisico o se guardare video naturalistici. Mentre ai detenuti del secondo gruppo non è stata concessa scelta ed è stato offerto solo l’esercizio. I prigionieri del primo gruppo si sono mostrati meno inclini alla violenza degli altri e, nel corso di un anno, sono stati coinvolti nel 26 per cento in meno di incidenti violenti. Il programma ha anche consentito al carcere di risparmiare migliaia di dollari in cure mediche e, secondo Nadkarni, potrebbe essere replicato con successo anche in altre strutture, come le case di cura o le caserme militari, e addirittura esteso a coloro che vivono in aree fortemente urbanizzate.
C’è però chi critica l’esperimento sostenendo che potrebbe essere utilizzato per giustificare l’uso continuato dell’isolamento carcerario. Questa pratica prevede infatti condizioni davvero dure per i detenuti, reclusi in una piccola cella senza libri e con poche possibilità di parlare con familiari e terapisti, e ha un serio impatto sulla salute psicofisica dei carcerati.
Nonostante tutto l’ideatore del progetto è convinto di aver aiutato i detenuti con i quali ha lavorato. “Come ecologista non è in mio potere cambiare l’intero sistema carcerario – ha dichiarato Nadkarni – ma una cosa che posso fare è pensare a come portare il valore terapeutico della natura alle persone incarcerate”.
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