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Il movimento femminile indiano si batte per la difesa dell’ambiente e dei diritti umani, lotta contro l’analfabetismo, gli abusi sessuali, le violenze domestiche e la deforestazione.
Nei villaggi sperduti o nei miseri slums delle magalopoli della
“democrazia più estesa del pianeta”, le donne indiane si
battono per la difesa dell’ambiente e dei diritti umani, contro
l’analfabetismo, gli abusi sessuali, l’aborto selettivo dei feti
femminili, le violenze domestiche, le morti per l’obsoleta
consuetudine della dote, contro i matrimoni tra bambini,
l’immolazione volontaria della vedova sulla pira del marito
defunto. Digiunano, protestano, salvano le foreste dalle motoseghe
delle multinazionali, si ribellano alla povertà e alla
corruzione, al secolare e rigido sistema castale indiano di cui
sono vittime. Hanno dato vita a centri di consulenza legale
volontaria, ad associazioni che incentivano uno sviluppo
socio-economico locale, si sono organizzate in movimenti e
sindacati i cui obiettivi mirano a promuovere solidarietà e
migliori condizioni di vita. Lanciano appelli alla comunità
internazionale e catturano l’attenzione dei media divulgando
ampiamente il dibattito fuori e dentro l’India.
Sempre più spesso ricoprono incarichi politici e posizioni
amministrative di prestigio. Così l’ex attrice Jayalalitha
Jayaram, leader dell’AIADMK, oppure Manjula Chellur, che dopo 116
anni è diventata la prima donna giudice dell’Alta Corte.
Attraverso l’impegno nella difesa dell’ambiente e delle culture
native, Vandana Shiva, scrittrice, ecologista militante e
scienziata, ha invece ampliato la comprensione di nessi tra
ecologia e femminismo, studiando sviluppi alternativi sostenibili
per un mondo più equo ispirato al principio femminile. Anche
la figura fragile di Medha Patkar, pasionaria ecologista e leader
riconosciuta del Narmada Bachao Andolan, il movimento contro la
costruzione delle dighe sul fiume Narmada, è impegnata sul
fronte della lotta politica e per i diritti umani. Come Vandana
Shiva, anche la Patkar vede in un recupero delle culture locali una
possibile via di salvezza.
Tra le scrittrici, Arundhati Roy, Royna Grewal e Gita Metha hanno
scelto proprio il Narmada per una riflessione più profonda
sullo scempio ambientale e la sorte di milioni di indiani a causa
dell’allagamento di vaste terre su cui essi vivono da secoli.
Sul fronte umanitario Alice Garg ha fondato negli anni ’70 il Bal
Rashmi, un centro sociale che si occupa dei figli più poveri
dell’India. Con l’aiuto del marito, della sua famiglia e di alcuni
volontari si prende cura di tremila bambini provenienti da oltre
trecento villaggi.
Una lunga teoria di nomi femminili, carismatici e altri
sconosciuti, si oppongono con preoccupazione, umiltà,
creatività, ma soprattutto con principi e valori di vita,
all’avanzare della globalizzazione liberale dalla quale discende
una logica sempre più disumanizzante.
Maurizio Torretti
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