L’altra guerra di Israele è contro l’informazione, a partire da Al Jazeera

Al Jazeera è la prima vittima della nuova legge che permette di chiudere i media esteri accusati di essere un pericolo per la sicurezza di Israele

A inizio aprile, la Knesset, il parlamento israeliano, ha approvato un disegno di legge per la messa al bando di Al Jazeera e di altre testate giornalistiche internazionali che vengano considerate una minaccia per la sicurezza dello stato. Dopo che il primo ministro Benjamin Netanyahu ha promesso di adottare misure immediate per imporre la fine delle operazioni di Al Jazeera all’interno del Paese, il parlamento ha concesso ai ministri l’autorità di chiudere le reti di informazione straniere.

Secondo la nuova legislazione, questi ordini sono validi per 45 giorni e possono essere rinnovati per ulteriori periodi di 45 giorni, fino al 31 luglio. Prima di applicare un divieto temporaneo ai mezzi d’informazione stranieri, le agenzie di sicurezza israeliane devono presentare al governo un parere che dimostri l’esistenza di una minaccia alla sicurezza nazionale.

Netanyahu ha confermato la decisione sui social media, dichiarando che l’emittente televisiva satellitare del Qatar non andrà più in onda in Israele e promettendo un’azione immediata in base alla nuova legge. “Al Jazeera non sarà più trasmessa da Israele”, ha scritto Netanyahu in un post su X dopo l’approvazione della legge. “Intendo agire immediatamente in conformità con la nuova legge per fermare l’attività del canale”.

Questa legge è un pericoloso precedente che mina la libertà di informazione indipendente non solo in Israele, ma anche nei territori palestinesi occupati della Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. La minaccia di chiudere qualsiasi ufficio di una testata internazionale rischia di avere l’effetto dell’autocensura per i giornalisti che si recano in quei territori.

La lunga lotta tra Israele e Al Jazeera

Dopo aver accusato Al Jazeera di essere un “portavoce di Hamas” e aver ripetutamente descritto i giornalisti di Al Jazeera come “operatori del terrore”, Israele ha ora gli strumenti legislativi per mettere in atto le sue minacce di chiudere la sede dell’emittente qatariota. Questa norma, infatti, non è stata una decisione improvvisa a sorpresa, ma l’ultimo passo di un percorso iniziato nei mesi scorsi.

Il 20 ottobre 2023, il governo israeliano ha approvato un regolamento d’emergenza per chiudere i media critici che si presume possano minare la sicurezza nazionale. Sebbene il regolamento sembrasse rivolto principalmente alle operazioni di Al Jazeera, è stato applicato per la prima volta il 13 novembre contro il canale libanese Al-Mayadeen TV, il cui accesso è stato bloccato in Israele. All’epoca, l’agenzia di intelligence israeliana Mossad aveva espresso il proprio sostegno a questa decisione, ritenendo che Al Jazeera e Al-Mayadeen TV mettano in pericolo le attività delle forze armate israeline, Idf.

Negli ultimi vent’anni sono stati molteplici gli episodi che hanno testimoniato le difficili relazioni tra l’emittente qatariota, che, tra l’altro, è il canale arabo più guardato al mondo, e il governo israeliano. Il 15 maggio 2021, nei dieci giorni dell’assalto israeliano su Gaza, la torre al-Jalaa di Gaza City, che ospitava gli uffici di Al Jazeera e dell’Associated Press, oltre a numerose abitazioni, è stata distrutta da un missile israeliano. Il 26 luglio 2017, Netanyahu ha minacciato di chiudere l’ufficio di Al Jazeera a Gerusalemme, commentando la copertura dell’emittente in un post su Facebook, sostenendo che i giornalisti di Al Jazeera “incitano alla violenza”.

Tornando ancora più indietro, il 12 marzo 2008, l’ufficio stampa del governo israeliano aveva sanzionato il personale di Al Jazeera in Israele dopo che il canale televisivo aveva coperto i festeggiamenti per il rilascio di Samir Kuntar dalla prigione israeliana, un druso libanese membro del Fronte di Liberazione della Palestina e di Hezbollah, era stato condannato per omicidio, tentato omicidio e rapimento, ucciso a Damasco nel 2015 in un raid israeliano.

L’attacco contro i giornalisti di Al Jazeera

Dall’inizio dell’offensiva su Gaza, almeno 103 giornalisti sono stati uccisi a Gaza da attacchi israeliani, di cui almeno 22 mentre stavano lavorando. Tre di loro lavoravano per Al Jazeera. Il giornalista Hamza al-Dahdouh – figlio di Wael al-Dahdouh, capo ufficio di Al Jazeera a Gaza – e il suo collega Moustafa Thuraya sono stati uccisi da un attacco israeliano all’inizio di gennaio.

Un mese dopo, lo stesso Wael al-Dahdouh è stato ferito da un attacco israeliano che ha ucciso il cameraman di Al Jazeera Samer Abu Daqqa, morto dopo una lunga agonia, ma che si sarebbe potuto salvare se l’esercito israeliano avesse permesso l’accesso all’edificio bombardato ai soccorsi. Nel sud del Libano, la corrispondente di Al Jazeera Carmen Joukhadar è stata una dei sei giornalisti feriti in un attacco israeliano del 13 ottobre che ha ucciso il reporter della Reuters Issam Abdallah.

Recentemente, il 18 marzo 2024, il corrispondente di Al Jazeera Arabic Ismail al-Ghoul è stato arrestato, trattenuto per per 12 ore e, al suo rilascio, ha dichiarato di essere stato picchiato dalle forze israeliane durante l’assedio dell’ospedale al-Shifa di Gaza City. I militari hanno anche distrutto le attrezzature dei media. Il 13 febbraio 2024 il corrispondente di Al Jazeera Arabic Ismail Abu Omaraccusato dalle forze israeliane di essere vice comandante di compagnia del Battaglione orientale di Hamas a Khan Yunis – e il suo cameraman, Ahmad Matar, sono stati feriti in un attacco israeliano a nord di Rafah, Gaza.

Israele aveva già inflitto terribili perdite ad Al Jazeera prima del 7 ottobre. Nel giugno del 2021, durante le proteste nel quartiere di Gerusalemme Est Sheikh Jarrah, la giornalista Al Jazeera Arabic Givara Budeiri è stato trattenuta per ore e aggredita fisicamente mentre copriva una manifestazione. Il caso più eclatante è stato quello dell’omicidio di Shireen Abu Akleh, la corrispondente in Cisgiordania di fama internazionale uccisa da un cecchino israeliano mentre faceva un reportage a Jenin l’11 maggio 2022. Un anno prima, nel maggio 2021, Reportes Sans Frontières aveva presentato una denuncia alla Corte penale internazionale dopo che gli attacchi aerei israeliani avevano distrutto una ventina di punti di informazione nella Striscia di Gaza, compreso l’ufficio di Al Jazeera.

Lo stato di salute della libertà di espressione in Israele

Se già il panorama mediatico israeliano è stato destabilizzato dall’ascesa al potere di un governo che minaccia la libertà di stampa, con il conflitto Israele sta limitando la libertà di espressione. Dall’inizio della guerra tra Israele e Gaza, il 7 ottobre, i giornalisti e i media di tutta la regione hanno affrontato un ambiente ostile che ha reso il reportage sulla guerra eccezionalmente impegnativo. Il Comitato per la protezione dei giornalisti (Cpj) ha appena pubblicato un report ad hoc su questa situazione.

Oltre a documentare il crescente numero di giornalisti uccisi e feriti, la ricerca del Cpj ha rilevato diversi tipi di episodi di giornalisti presi di mira mentre svolgevano il loro lavoro in Israele, Gaza e Cisgiordania. Si parla di arresti, numerose aggressioni, minacce, attacchi informatici e censura.

Lo stesso comitato, a fine 2023, nel report relativo al numero di giornalisti incarcerati, ha mostrato come sia stata repentina l’ascesa di Israele tra le prime posizioni. Tutti i giornalisti arrestati da Israele lo scorso anno sono palestinesi, si parla di almeno 25 arresti, e la maggior parte di loro vengono trattenuti con la pratica della detenzione amministrativa. Secondo l’ultimo censimento del Cpj del 9 aprile 2024, sono ancora 19 i giornalisti palestinesi in carcere.

Il cambiamento di status della stampa negli ultimi mesi è profondamente preoccupante ed è un indicatore del deterioramento di qualsiasi libertà, e con l’ultima legge si crea un precedente che può avere implicazioni globali. La libertà di stampa è un valore fondamentale delle democrazie. Censurare le informazioni di una delle ultime reti operanti a Gaza non è solo un altro colpo ai giornalisti che hanno sopportato condizioni orribili negli ultimi sei mesi, ma toglie la possibilità di testimoniare i crimini commessi da qualsiasi parte attiva nel conflitto.

Avere la possibilità di impedire a giornalisti internazionale di operare, non solo ad Al Jazeera, rischia di oscurare la copertura con un occhio indipendente delle manifestazioni antigovernative a Tel Aviv, le violenze dei coloni in Cisgiordania o di qualsiasi altro avvenimento in quei territori.

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