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Nel 1979 un ragazzo di nome Jadav Payeng iniziò a piantare semi di bambù in un arido lembo di sabbia. Oggi è una foresta di 550 ettari popolata da specie in via di estinzione.
Jadav Payeng, detto Molai, aveva 14 anni nel 1979 quando, dopo una grave alluvione scoprì, su un terreno privo di vegetazione a Jorhat, poco distante da dove viveva, numerosi serpenti trascinati dalla piena. Dopo pochi giorni i rettili morirono per l’assenza di alberi, gli unici in grado di fornire loro una protezione dal caldo.
Da quel giorno, la vita di Payeng non fu più la stessa. Scosso dall’episodio, chiese aiuto al dipartimento per le Foreste indiano. Ma la risposta fu che quella lingua di sabbia era troppo arida e che al massimo si poteva provare a piantare delle canne di bambù. Così, l’allora adolescente decise di fare tutto da solo.
Molai abbandonò la scuola e la casa dove viveva per trasferirsi su quel lembo di sabbia. Iniziò a piantare semi di bambù. Poi passò ad altre varietà di piante e alberi, man mano che il terreno diventava più fertile. Ben presto su quell’angolo di terra dimenticato da tutti, iniziò a formarsi un vero e proprio habitat nel quale decisero di andare a vivere anche alcune specie in via d’estinzione, incluse cinque tigri.
Il dipartimento indiano, infatti, venne a conoscenza della nuova oasi solo nel 2008 quando un branco di cento elefanti trovò rifugio al suo interno. Jadav Payeng, nato nel 1963, in soli 30 anni ha dato vita a una vera e propria foresta di 550 ettari, una foresta più grande di Central park di New York. La foresta di Molai.
La sua storia ha ispirato anche un documentario, Forest man di William Douglas McMaster. Il regista ha ricevuto il premio come miglior emergente al festival di Cannes del 2014.
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