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Franz Kafka di giorno era lavoratore diligente nel suo ufficio, di notte raccontava gli incubi burocratici: commessi scarafaggi e processi interminabili
Alto, allampanato, secco come un chiodo e lo sguardo allucinato; il viso, però, era da eterno ragazzino. Nei gelidi inverni di una Praga d’inizio secolo, l’assicuratore per gli infortuni sul lavoro Franz Kafka, ingranaggio di un apparato burocratico non ancora avvolgente come quello odierno, se ne girava in vestito estivo quasi a sfidare un mondo che doveva sembrargli incomprensibile.
Il giorno lavorava diligente nel suo ufficio, osservando in silenzio i meccanismi di un sistema sociale sovrapersonale. Di notte, colpa anche di un’insonnia cronica, scriveva dei suoi incubi ad occhi aperti. Sono nati così i suoi personaggi atipici, giudici sonnacchiosi e donnaioli, burocrati dall’aspetto mutevole, sempre inafferrabili, irraggiungibili eppure carichi d’enorme potere.
Per Franz Kafka l’uomo comune è spesso ritratto a capo chino, ma mai pago di cercare la propria dignità. A volte, colmo dell’onore e, allo stesso tempo dell’umiliazione, gli viene dato il privilegio di spiarli dal buco della serratura. I superiori sonnecchiavano su plichi di carta unta, completamente disinteressati e ignari della sua presenza.
La macchina dello stato, fin da allora, si costruiva da sola, senza curarsi d’altro, mentre l’odissea di ogni singolo individuo cominciava sempre da capo, in un circolo senza fine. L’Amministrazione è respingente per definizione, il potere inconsultabile e, in ogni caso, incomprensibile.
Oggi, una nuova generazione di burocrati e di potenti fiorisce con sempre maggior slancio, intrecciando patti e alleanze che sorpassano i confini come fosse vento. Intanto l’uomo comune ancora non si è arreso d’inseguire, non un semplice sogno, ma una ragione per stare al mondo. Come gli eroi umili di Franz Kafka non cerca il senso ultimo della vita, ma il lavoro, la casa, la famiglia e il rispetto reciproco: la propria salvezza all’interno della comunità e a partire da essa.
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