L’ossessione di non piacersi

La smania di migliorare se stessi nasce da un disagio profondo. E’ una molla salutare che aiuta a cambiare, ma talvolta si traduce in ulteriore malessere: quando nasconde una sostanziale non accettazione di se’.

Le vie per perfezionarsi sono molteplici, e il mercato, sensibile
alla domanda, ma anche in grado di indurre nuovi bisogni, ha visto
un proliferare di offerte in questo senso: corsi per apprendere a
muoversi, respirare, amare, fare i genitori, mangiare… meglio. I
manuali vanno a ruba. Sono tutti stimoli che aiutano a piacersi di
più, se accolti come alleati da qualcuno che già si
piace.

Ma se la voglia di migliorarsi presuppone un giudizio drastico:
“Così non vado bene”, può succedere che questo
diventi un alibi per rimandare l’ora di vivere. Sinché non
ci si sente perfezionati non si può essere felici, o fare
scelte importanti. Ecco creata una moratoria che rischia di
diventare un tirocinio eterno. Inoltre è un percorso
infinito: se anche si riesce a dimagrire, ad esempio, ecco che
altri aspetti imperfetti emergono a chiedere correzione. Si finisce
con lo spendere molto tempo, denaro ed energia in un’impresa che
rischia di diventare controproducente. Anche perché se si
fallisce nell’obiettivo, l’autostima cala ancora di più.

Stop all’autotortura: non abbiamo potuto sceglierci, come su un
catalogo, quando siamo nati. Non siamo qui per soddisfare le
aspettative di nessuno, nemmeno le nostre. Ci confrontiamo con
modelli esterni, cui cerchiamo di adattarci per sentirci accettati.
Ma talvolta sono lontanissimi da chi siamo davvero.
Il brutto anatroccolo diventa cigno perché è la sua
natura, non perché l’ha deciso. E forse ciascuno di noi deve
avere fiducia di possedere un potenziale splendore che bisogna solo
non ostacolare, e lentamente scoprire. Il paradosso è che si
riesce a cambiare in meglio solo se ci si accetta, e non il
contrario. La felicità non è alla fine del percorso,
ma durante, nel sapersi perdonare e sostenere.

Dott. Olga Chiaia
Psicologa Psicoterapeuta

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