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Karl Popper evidenzia come in una discussione non conti affatto l’accordo generale o il consenso ultimo, tanto meno nella filosofia o nelle teorie scientifiche.
Il termine discutere deriva dal latino dis-quatere e significa
scuotere, abbattere. Siamo, quindi, ben lontani dall’idea di un
dialogo, di un confronto piano e lineare.
Anzi, la vera discussione si alimenta del disaccordo, anche aspro,
degli interlocutori: solo così l’umanità ha potuto
progredire nelle sue conoscenze.
Popper coglie assai bene la natura di una discussione non
autentica, qualora concluda ad un consenso solo apparente: “Non
dovrebbe piacerci l’idea che si sia raggiunto un accordo sulla
verità della teoria quando questa è in realtà
falsa. E anche nel caso fosse vera, qualora le tesi a sostegno
della teoria fossero troppo deboli per confermare questa
conclusione, che non si concordi sulla sua verità dovrebbe
per noi essere meglio.
In un simile caso, potremmo persino preferire che non si raggiunga
proprio alcun accordo, mentre giudicheremmo fertile la discussione
se la diversità di opinioni avesse aiutato i partecipanti a
elaborare tesi nuove e interessanti, per quanto non decisive”.
Insomma, l’accordo non nasce dal carisma di uno degli interlocutori
o dalla generale debolezza delle argomentazioni addotte dai
partecipanti alla discussione.
In realtà, l’accordo e il consenso nascono dal radicale
“scuotimento” di tutta una serie di ostacoli, scientifici ed
extrascientifici, che impediscono il sorgere di una nuova teoria o
di una nuova visione del mondo sulle quali, invece, concordare in
modo oggettivo.
Per arrivare a questo occorre, però, una lunga, aspra,
obiettiva discussione.
Fabio Gabrielli
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