L’Afghanistan nel caos. Chi c’è dietro gli attentati all’aeroporto di Kabul

Un gruppo legato all’Isis, ma teoricamente inviso ai talebani, ha rivendicato gli attacchi suicidi che hanno ucciso almeno 90 persone a Kabul.

Due attentati suicidi all’ingresso dell’aeroporto di Kabul, nella serata di giovedì 26 agosto, hanno provocato la morte di almeno 90 persone e il ferimento di altre 160. La strage è stata rivendicata da un gruppo terrorista denominato Khorasan, affiliato all’Isis. I kamikaze hanno preso di mira un luogo divenuto altamente simbolico nelle ultime settimane, poiché affollato da migliaia di cittadini che tentano di fuggire dall’Afghanistan, dopo che quest’ultimo è caduto nelle mani degli estremisti talebani.

Cosa è accaduto all’aeroporto di Kabul

Le due esplosioni sono deflagrate quando a Kabul erano circa le 19, nei pressi di Abbey Gate, uno dei tre punti di accesso all’aeroporto. In quel momento sul posto erano presenti numerose centinaia di persone che tentavano di entrare nello scalo. Subito dopo l’attacco, sono state diffuse sui social network immagini agghiaccianti delle persone uccise e ferite. Tra queste figurano anche alcuni stranieri, compresi tredici soldati americani.

Non si tratta, tuttavia, di un fulmine a ciel sereno. Da giorni le intelligence di alcune nazioni occidentali, Stati Uniti e Regno Unito in testa, avevano avvisato della possibilità di attacchi terroristici. Per questo la popolazione era stata invitata a non ammassarsi attorno all’aeroporto. A vincere, però, è stata la voglia di tentare a tutti i costi la fuga.

La folla all'aeroporto di Kabul dopo la caduta della capitale e l'ingresso dei talebani
La folla all’aeroporto di Kabul dopo la caduta della capitale e l’ingresso dei talebani © Afp/Getty Images

Washington ha inoltre sottolineato come sia concreto il rischio di nuovi attacchi suicidi. Secondo i talebani, l’esercito americano presente sul posto, attorno alla mezzanotte, avrebbe inoltre fatto esplodere dei materiali: la deflagrazione aveva fatto pensare ad un terzo attentato.

Chi sono i miliziani Iskp autori dell’attentato a Kabul

A rivendicare la strage è stato un gruppo affiliato allo Stato islamico (Isis). In un comunicato diffuso dall’agenzia di propaganda dei combattenti jihadisti, Amaq, si afferma che un loro miliziano “ha superato gli sbarramenti di sicurezza” ed è riuscito ad avvicinarsi “a meno di cinque metri dai militari americani” prima di far detonare le sua cintura esplosiva. Ciò lascerebbe intendere, da un lato, che gli obiettivi non sarebbero stati i civili quanto i soldati statunitensi. Dall’altro, che a farsi saltare in aria sarebbe stato un solo kamikaze, il che non corrisponde alla ricostruzione dei fatti diffusa dal Pentagono.

Ciò che appare chiaro è che la rivendicazione è attendibile. Ad attaccare è stato il gruppo Iskp, (Stato islamico  provincia del Khorasan). Non si tratta d’altra parte del primo attentato dell’Isis sul suolo afgano, popolato soprattutto da cittadini sciiti. I talebani, così come i combattenti dello Stato islamico, sono invece sunniti radicali.

Ma per quale ragione un attacco nel cuore dell’Afghanistan appena conquistato? Perché, come riferisce la stampa internazionale, i due gruppi estremisti sono da tempo in concorrenza tra di loro, tanto da essere ormai animati da odio reciproco.

La reazione dei paesi occidentali e dei talebani

La situazione nella nazione asiatica è, dunque, sempre più caotica. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha parlato rendendo omaggio ai militari americani caduti e affermando che “Washington non si lascerà intimidire. Non ci faremo scoraggiare dai terroristi”. Confermando inoltre, al contempo, che tra i talebani e l’Isis non esistono “prove di collusione”. Al contrario, appunto, esistono forti divergenze tra i due gruppi, che negli anni si sono affrontati diverse volte.

Il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, da parte sua, ha convocato una riunione d’urgenza del Consiglio di sicurezza. Mentre le diplomazie occidentali hanno condannato l’attentato, sottolineando come esso non debba impedire né rallentare le evacuazioni.

Da giorni infatti, un ponte aereo ininterrotto tra l’aeroporto di Kabul e le capitali occidentali sta consentendo di porre in salvo quasi centomila persone, 13.400 soltanto nelle ultime 24 ore (5.100 a bordo di 17 aerei militari americani e 8.300 su 74 velivoli degli eserciti alleati). Il che ha suscitato l’ira dei talebani che non vogliono lasciare partire, in particolare, i cittadini afgani più istruiti. Gli stessi estremisti al governo a Kabul, attraverso il loro portavoce Zabihullah Mujahid, hanno tuttavia condannato “fermamente” gli attentati.

La sorte dei “collaboratori” e i mezzi dell’Isis in Afghanistan

Biden ha inoltre specificato che le evacuazioni proseguiranno fino al 31 agosto, quando le truppe americane dovrebbero lasciare definitivamente il suolo afgano. La preoccupazione cresce però per i numerosi cittadini che, nel corso degli ultimi 20 anni, hanno collaborato con gli eserciti occidentali. E che ora rischiano di finire nel mirino delle vendette dei talebani.

Talebani nelle strade di Kabul, in Afghanistan
Talebani nelle strade di Kabul, in Afghanistan © Wakil Kohsar/Afp/Getty Images

Inoltre, la stessa Isis ha affermato che, con i due attacchi suicidi, è stato colpito “un assembramento di traduttori e collaboratori” dei Marines. Per chi resta in Afghanistan, perciò, i rischi si moltiplicano. Tanto più che la capacità di nuocere dello Stato islamico è rimasta pressoché intatta negli ultimi anni. I combattenti, secondo informazioni trapelate da ex membri dei servizi segreti afgani, avrebbero utilizzato le stesse reti dei talebani per rifornirsi di mezzi di trasporto, armi e munizioni. Grazie in particolare alla rete islamista del clan Haqqani.

Il tutto potrebbe inoltre comportare implicazioni politiche importanti. Il quotidiano francese Le Monde cita un diplomatico occidentale, secondo il quale “se gli Haqqani avessero scatenato l’Isis, si tratterebbe di un modo per dire che i talebani sono i soli a poter prevenire i terroristi, e che dunque occorre riconoscere il loro governo”. Al contempo, potrebbe trattarsi di un modo per assicurarsi che tutte le evacuazioni siano completate entro il 31 agosto, mentre da più parti si vociferava di un possibile prosieguo anche a settembre.

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