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«Il primo grado della saggezza è sapere tacere; il secondo è saper parlare poco e moderarsi nel discorso …a prima persona di cui prendersi cura siamo noi.
«Il primo grado della saggezza è sapere tacere; il secondo è saper parlare poco e moderarsi nel discorso ….
Qual è il modo di prendersi cura di se stessi?
Mangiar bene, dormire, vestirsi, andare a lavorare, passare il
tempo libero in chiacchiere… è questo il modo di prendersi
cura di noi stessi? È qualcosa di utile per la nostra
vita?
Tutte queste attività hanno senz’altro un qualche
beneficio, ma non ci aiutano in profondità, non sono le cose
che ci danno ciò che cerchiamo: pace e felicità.
Se volete avere pace e non volete la sofferenza, dovete capire
bene da dove proviene la sofferenza e da dove proviene la pace.
La sofferenza non nasce senza causa.
Pensiamo che in qualche modo siano gli altri, con il loro modo
di trattarci, con le loro azioni e le loro parole, a danneggiarci o
disturbarci, per esempio sul lavoro. Insomma, pensiamo che le cause
provengano dall?esterno. In qualche modo questo è in parte
vero, ma per eliminare questo tipo di situazione dobbiamo
osservare, e cambiare, proprio noi stessi.
Siamo noi che, per primi, dobbiamo interrompere il nostro
comportamento nocivo nei confronti degli altri, il nostro
danneggiarli, i nostri modi sbagliati di interagire nelle varie
circostanze.
E come è possibile interrompere questo comportamento?
Possiamo provare a bloccarci per un po’, ma non resisteremo a
lungo.
Per fare cessare veramente questo comportamento, e per sempre,
dobbiamo intraprendere un profondo lavoro interiore, su noi
stessi.
Per esempio, per non irritare gli altri dobbiamo smettere di
arrabbiarci, per smettere di irritare gli altri sul lavoro dobbiamo
eliminare la nostra invidia, e così via.
Riflettendo, ragionando, studiando le scritture, ci renderemo
conto che le cause della sofferenza e della felicità sono
proprio dentro di noi.
È anche per questo motivo che il parlare troppo non è
positivo. Dai discorsi nasce il desiderio, la gelosia, l’invidia,
la rabbia, l’orgoglio.
Quando parliamo con gli amici, di solito non circolano parole
buone ma pettegolezzi e critiche su questo e quello. Ricordiamo
quanto di sbagliato gli altri stanno facendo nei nostri e altrui
confronti, e mentre parliamo crescono la rabbia, il risentimento,
l’attaccamento, l’invidia.
Se parliamo senza una vigilanza su noi stessi, senza controllo,
la nostra rabbia, la nostra invidia non si attenueranno, anzi,
avverrà il contrario.
Esistono molte pratiche lungo il sentiero e molti livelli di
pratica, ma una, importantissima, è quella di rimanere in
silenzio. Per noi è una pratica davvero difficile. Cerchiamo
di metterla in atto per un giorno, per due, poi…
Abitualmente parliamo troppo, e quando decidiamo di stare in
silenzio sembra che ci manchi qualcosa, quindi viviamo un senso di
sofferenza. Inoltre, se ci manca l’opportunità di parlare
con i nostri amici, ci sentiamo un po’ infelici.
Perché succede questo? Perché siamo troppo
abituati a parlare.
Io stesso mi accorgo che se vado a trovare gli amici un po’ di
giorni di seguito, il giorno in cui non vado e viene quell’ora in
cui di solito ero con loro, mi viene una strana sensazione di
malessere. Inoltre, succede anche che l?amico, se non lo
frequentiamo come d?abitudine, comincia a chiedersi cosa è
successo o magari si offende.
Allora ogni tanto va bene stare insieme agli altri, ma non
bisogna farne un’abitudine.
Anche qui ci sono persone che vanno tutti i giorni al bar. Proprio
perché siamo persone ordinarie, non ci fa bene prendere
queste abitudini, eppure facciamo fatica a capire come questo possa
danneggiarci.
Cominciate a interrogarvi, a riflettere, specie se volete
praticare e dite a voi stessi di non avere tempo per farlo.
Non sto dicendo di non andare mai più al bar! Sto soltanto
facendo l’esempio di un’abitudine che vi fa sprecare il tempo.
Se andate al bar sette giorni su sette, provate a stare un
giorno senza andarci. Quell’ora o mezz’ora che passereste
lì, quel giorno usatela per praticare il sentiero
spirituale.
Il tempo, se lo cerchiamo, lo troviamo.
Dobbiamo fare di noi un bambino, e con una parte di noi essere
l’insegnante, il maestro di questo bambino. Il bambino ha bisogno
di controllo da parte dei genitori, altrimenti, lasciato a se
stesso, farà molti danni. Vi sono molte situazioni in cui
dobbiamo essere capaci di vigilanza, di controllo. Il bambino
può rompere un bicchiere, ma noi, come adulti, compiamo
errori molto più seri: distruggiamo il nostro tempo, la
nostra pratica.
A molti non piacerà ciò che dico, ma se parlare
è un ottimo modo di far passare il tempo, dobbiamo cercare
di parlare meno.
Come ho detto per il bar, possiamo decidere di fare un giorno di
silenzio: stare in casa, staccare il telefono… Può darsi
che allora la nostra rabbia, la gelosia, il risentimento,
l’attaccamento, si mostrino in modo forte, ma senz’altro avremo
molta più pace che a buttare fuori queste emozioni con gli
altri. Un po’ alla volta stabiliremo una connessione positiva con
il silenzio, e sarà sempre più facile e più
utile.
Tutte le pratiche del sentiero, per funzionare, devono diventare
piacevolmente familiari.
Per iniziare, mantenere e sviluppare la pratica del sentiero,
impariamo a stare in silenzio.
Occorrerà del tempo, ma avere fretta chiude la mente, la
agita. Non bisogna avere fretta.
Come principianti, ci possiamo scoraggiare o preoccupare se non
riusciamo a fare bene le cose, ma questo tipo di mente è un
ostacolo. Dobbiamo dirci “va bene, domani farò meglio”, e
continuare a praticare. Continuare.
Di Ghesce Tenzin Tenphel
Tratto da SIDDHI, periodico di Buddhismo
Mahayana
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