Vittime del destino o liberi di cambiare?

Siamo vittime del destino, della società, della nostra educazione, della nostra pigrizia, o siamo persone dalle molteplici risorse in grado di decidere come affrontare la vita?

Siamo vittime del destino, della società, della nostra educazione, della nostra pigrizia, o siamo persone dalle molteplici risorse in grado di decidere come affrontare la vita? C’è chi pensa che esiste un destino ineluttabile che ha deciso, a priori, tutto per noi, e non si chiede neppure se la sua vita gli piace io meno, dando per scontato che non potrebbe essere che così.

C’è chi pensa, altrettanto deterministicamente, che è il risultato delle nostre azioni passate, anche compiute in supposti passati remoti, a influire sulla qualità del nostro destino, coltivando una concezione che nella tradizione indiana si chiama karma e che, secondo la legge causa-effetto prevede che ogni nostro operato si ripercuota direttamente o indirettamente su di noi, in questa o in altre vite, per chi crede nella reincarnazione naturalmente. Entrambe le posizioni anche se apparentemente opposte – in una è responsabile della nostra vita un impersonale destino, nell’altra, pur se inconsapevolmente, siamo responsabili noi – finiscono col trasformarsi in un atteggiamento fatalista e passivo, in cui non c’è molto spazio per un reale cambiamento.

 

Forse esiste ancora un gruppo tra i fatalisti, quelli che si accontentano di lasciare che la loro vita prenda direzioni casuali e sono convinti che tutto ciò che succede sia comunque casuale, accontentandosene. Il libero arbitrio è più impegnativo. Presuppone che sia il presente e non il passato, il momento determinante per la qualità del futuro. Presuppone un atteggiamento più elastico e responsabile in cui si riconosca che, simbolicamente parlando, il 50% degli eventi che ci troviamo a dover affrontare, non dipendono da noi, ma dalla vita stessa (senza entrare poi in merito a presunti passati remoti, che sono comunque al di fuori della nostra portata), ma l’altro 50% dipende da noi, dalla modalità con cui affrontiamo il presente, dal tipo di pensieri che coltiviamo, che a loro volta si riflettono nel modo in cui ci comportiamo e quindi sulle risposte che gli altri ci danno e sulle situazioni che di fatto si creano.

 

La nostra mente è uno strumento elaboratissimo che a seconda di come lo utilizziamo ci fornisce risultati di diversa qualità. Una delle sue funzioni, necessarie alla sopravvivenza, è quella di immagazzinare gli apprendimenti relativi a determinate situazioni, in modo da saper riproporre ogni volta lo stimolo adeguato alla situazione corrispondente. Automatizziamo così lo stimolo a fermarci quando il semaforo è rosso, a cambiare la marcia della nostra auto quando il motore sale di giri, ma automatizziamo anche l’abitudine, appresa nell’infanzia, ad assumere atteggiamenti seduttivi per ottenere ciò che vogliamo, a nascondere la rabbia e a “fare finta di niente” per non perdere l’affetto delle persone amate, ad avere paura di una punizione se facciamo qualcosa che non corrisponde all’educazione ricevuta. Tutti queste risposte sono, per il cervello, sullo stesso piano.

 

E’ nostra la responsabilità di “vagliare” le informazioni memorizzate e le accoppiate stimolo-reazione, per verificare quali di queste siano ancora attuali e quali invece necessitino di un aggiornamento. Il primo passo di un lavoro di crescita personale, di un percorso di autocoscienza, consiste nello sviluppare una grade capacità di presenza, di attenzione interiore per notare i meccanismi che entrano in gioco di volta in volta e verificare la loro attualità e utilità. E’ così che possiamo lavorare su quel 50% della nostra vita che è nelle nostre mani, e “giocarcelo” nel migliore dei modi. Scopriamo così che non siamo obbligati a rispondere sempre con lo stesso ritornello, ma che possiamo esplorare, di volta in volta, diversi modi di “agire e non più reagire”.

 

Certo, dopo anni di risposte automatiche non è detto che al primo colpo otterremo il risultato desiderato, ma abbiamo già fatto un grande progresso se ci siamo resi conto che abbiamo fondamentalmente la libertà di dare una risposta diversa agli eventi, di “cambiare musica”, per trovare quella più adatta al nostro ritmo attuale, alle nostre esigenze e agli obiettivi che ci poniamo. La nostra libertà non sempre si può esprime in termini di “libertà di” fare, andare, costruire, possedere, ma abbiamo sempre, invece, a nostra disposizione la possibilità di coltivare la “libertà da” condizionamenti, pregiudizi, paure. E’ nella libertà di atteggiamento la nostra ricchezza fondamentale, il nucleo del nostro libero arbitrio, a partire dal quale possiamo modellare la nostra vita vero mete sempre più soddisfacenti e luminose.

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