La mappa dei Pfas in Europa e in Italia: 17mila siti contaminati per sempre

Una maxi-inchiesta mostra la mappa dei Pfas in Europa e in Italia: oltre 17mila siti contaminati per sempre, e una lobby che cerca di evitare i divieti.

  • Una maxi-inchiesta svela che sono almeno 17mila i siti contaminati dai Pfas in Europa.
  • Anche l’Italia è pienamente coinvolta, non solo in Veneto: il caso di Spinetta Marengo.
  • I Pfas sono gravemente nocivi e l’ambiente non è in grado di assorbirli.

In Europa ci sono più di 17mila siti contaminati dai Pfas, composti chimici considerati “perenni”, conosciuti infatti come forever chemicals. Questi senza contare i luoghi sospetti, che possono essere considerati hotspot di Pfas ma di cui non si dispone ancora di dati di campionamento. In buona parte del nostro continente vi sono luoghi in cui la contaminazione raggiunge livelli pericolosi per la salute delle persone. Sono i risultati del Forever pollution project, una mega inchiesta realizzata da giornalisti provenienti da 14 nazioni europee, tra cui anche l’italiano Gianluca Liva, dalla quale, attraverso una vera e proprio mappa dei Pfas emergerebbe che in tutta Europa c’è molta più contaminazione di quanto si sappia pubblicamente.

Pfas, Vicenza
Gli splendidi terreni dell’alto vicentino sono oggetto del più grande inquinamento idrico d’Europa © Laura Fazzini

Gli effetti nocivi dei Pfas sulla salute

I Pfas sono composti chimici sintetici quasi indistruttibili, che si utilizzano per realizzare prodotti antiaderenti, antimacchia o impermeabili. Sono usati per la produzione di materiali come il Teflon o il Gore-tex e si possono trovare nella carta per alimenti, nelle padelle antiaderenti, nell’abbigliamento tecnico e nei tessuti impermeabili e antimacchia. E, scoperta dell’ultim’ora,  anche nella carta igienica.

Ma finora, sono due i composti di largo uso della famiglia dei Pfas a essere considerati pericolosi: il Pfos (perfluoroottano solfonato) e il Pfoa (acido perfluoroottanoico). Le forme di esposizione possono essere molte, tra cui il consumo di alimenti che derivano da animali che si sono nutriti su terreni contaminati, o l’esposizione diretta attraverso polvere di prodotti di consumo, spray e cosmetici.

Si tratta di composti che agiscono come interferenti endocrini, sostanze chimiche che possono alterare l’equilibrio ormonale, e in alcuni casi possano comportare alcune gravi conseguenze per la salute, come cancro e infertilità. Secondo le stime, i Pfas gravano ogni anno sui sistemi sanitari europei tra 52 e 84 miliardi di euro. All’inizio di febbraio 2023, l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (Echa) ha pubblicato una proposta di divieto per tutti i Pfas, ma attualmente le emissioni non sono ancora regolamentate nell’Unione europea. È qui che entra in gioco l’inchiesta, realizzata tra gli altri dalle redazioni di Le Monde e The Guardian, e per l’Italia da Radar Magazine, che ha permesso di stilare la mappa dei Pfas (qui in versione interattiva).

    La mappa degli Pfas © Forever pollution project

Tutti gli esperti di Pfas intervistati dal Forever pollution project sono convinti infatti che le soglie fissate dall’Unione europea per l’attuazione nel 2026 siano troppo alte per proteggere la salute umana. Il problema è che è estremamente difficile e costoso sbarazzarsi di queste sostanze chimiche, una volta che si sono diffuse nell’ambiente: il costo della bonifica raggiungerà probabilmente le decine di miliardi di euro. In molti luoghi, le autorità si sono già arrese e hanno deciso di tenere le sostanze chimiche tossiche nel terreno, perché non è possibile bonificare.

Cosa mostra la mappa dei Pfas

La mappa dei Pfas prodotta dagli autori dell’inchiesta è eloquente sin dal primo colpo d’occhio, ma i numeri confermano la gravità della situazione. In Europa ci sono:

  • 20 siti produttori di Pfas: impianti chimici che sintetizzano le sostanze chimiche, che vengono poi utilizzate in molti settori.
  • Oltre 17mila siti dove è stata rilevata tramite campionamento la contaminazione da Pfas in acqua, suolo o organismi viventi da team scientifici e agenzie ambientali tra il 2003 e il 2023, con livelli pari o superiori a 10 nanogrammi per litro (ng/L).
  • Tra questi, 2.100 hotspot: zone in cui la soglia di 10 nanogrammi per litro è stata superata in molteplici punti diversi ma vicini tra loro.
  • 232 utenti Pfas: siti industriali che utilizzano Pfas per produrre plastiche “ad alte prestazioni”, pitture e vernici, pesticidi, tessuti impermeabili, altri prodotti chimici.
  • Oltre 21mila presunti siti di contaminazione: attività industriali in corso o passate documentate sia come utilizzo che come emissione di Pfas (tra queste, sottolinea Le Monde, le basi militari che utilizzano le schiume antincendio “AFFF”, che contengono PFAS, o fabbriche produttrici di plastiche). Sebbene sia probabile la contaminazione di questi siti, non è stato condotto alcun campionamento ambientale per confermarlo.

Dal Veneto alla Sardegna: gli hotspot italiani

A colpo d’occhio, dalla mappa dei Pfas risulta evidente come l’Europa continentale, in particolare la Germania e la Danimarca, sia la zona più interessata dalle contaminazioni, ma l’Italia non è affatto esente dal problema.

È cronaca risaputa ormai come per decenni le acque della seconda falda più grande d’Europa, in Veneto, nella piana tra Padova, Verona e Vicenza, siano state inquinate mettendo a rischio la salute di un’intera regione e centinaia di migliaia di persone. Gli scarichi dell’azienda chimica Miteni risultano infatti tra i più inquinanti, con livelli di Pfas che superano i 7 milioni di nanogrammi per litro nelle acque di superficie. Vicenza, Sarego, Cologna Veneta sono anche loro tra gli hotspot più colpiti.

Ma anche le acque del Po, già allo stremo per la siccità, sono piene di Pfas. E poi in Toscana, con Aulla, l’Arno all’altezza del Ponte della Vittoria a Pisa, le località marittime di Castagneto Carducci e Rosignano, Piombino dove presto sorgerà il nuovo rigassificatore, e ancora Grosseto, Capalbio, Orbetello. Scendo più a sud, perfino un posto all’apparenza rimasto fermo nel passato come Matera “vanta” livelli di Pfas superiori di una volta e mezzo il tollerato. Fino ad arrivare alla Sardegna, con molte località della costa occidentale intaccate, e poi i fiumi Tirso e Cedrino, la splendida capo Teulada a sud. E in Sicilia Agrigento, Scicli, Augusta.

Il caso di Spinetta Marengo 

Nella prima parte del filone italiano dell’inchiesta, pubblicata oggi, Radar si concentra sul caso di Spinetta Marengo, in provincia di Alessandria, sede di un importante polo chimico fondato nel 1905, che da allora ha guidato le sorti del borgo, dei suoi abitanti e dell’intera zona.

Nel corso dei decenni a Spinetta Marengo si è prodotto di tutto. Per lungo tempo l’impianto si è occupato della chimica degli acidi forti, come l’acido solforico o l’acido fluoridrico. Fino ai primi anni ’70 si producevano cromati e bicromati, in quelli che sono stati definiti i “reparti della morte”. Dal 2002 l’impianto appartiene alla multinazionale belga Solvay e produce polimeri fluorurati. In questo contesto, spiega Liva, “i Pfas sono necessari per realizzare le sostanze che vengono poi vendute a molte aziende manifatturiere, le quali le usano per la fabbricazione di innumerevoli prodotti. A Spinetta Marengo si utilizzano o si sono utilizzati Pfas come ADV 7800 e Pfoa, quest’ultimo classificato come sospetto cancerogeno e sostituito dal cC6O4, molecola di cui Solvay detiene il brevetto. I Pfas si aggiungono così alla lunga lista di inquinanti che hanno contaminato il territorio”.

Per diversi decenni, a Spinetta Marengo, le istituzioni sottovalutano i troppi casi di morti premature per il cancro. Finché nel 2008 un’analisi delle false acquifere porta alla luce gli altissimi livelli di inquinamento della zona. I risultati di un’indagine portata avanti dall’allora assessore all’Ambiente del Comune di Alessandria, Claudio Lombardi – benché siano stati contestati da Solvay – evidenziano che a Spinetta Marengo persone si ammalano di più: vari tipi di tumore, malattie neurologiche, malattie endocrine e metaboliche. Eppure, conclude Liva, “questo percorso per conoscere il reale impatto dell’inquinamento dell’impianto chimico sulla salute delle persone si è interrotto durante il mandato della penultima giunta comunale, tra il 2017 e il 2022. Una questione di sensibilità diversa, dicono. Sta di fatto che laddove le istituzioni non riescono a dare risposte, è la cittadinanza stessa a prendere l’iniziativa”.

La spinta delle lobby contro i divieti

Oltre a realizzare la prima mappa europea sulla contaminazione da Pfas, ill Forever pollution project ha anche scoperto un ampio processo di lobbying per indebolire la proposta di divieto dei Pfas nell’Ue.

Diverse decine di richieste di accesso gli atti a Bruxelles e in altre città europee hanno rivelato che da mesi più di 100 associazioni industriali, think tank, studi legali e grandi aziende stanno lavorando per influenzare la Commissione europea e gli Stati membri al fine di indebolire l’imminente divieto: nel corso di diversi mesi di indagini, The Forever Pollution Project ha esaminato più di 1.200 documenti riservati della Commissione europea e dell’Agenzia europea per le sostanze chimiche, oltre a centinaia di fonti aperte, giungendo alla conclusione che aziende come Chemours, 3M o Solvay, starebbero cercando aggirare il divieto.

E se la situazione sembra tragica, quello che si vede nella mappa potrebbe essere solo la punta dell’iceberg: “La mappa si basa sui dati a disposizione in Europa: dati da agenzie regionali, registri di attività produttive, aeroporti, basi militari e tutti quei luoghi in cui la contaminazione da Pfas è accertata o presunta”, ha precisato Gianluca Liva di Radar Magazine, “ciò che si vede nella mappa, però, rappresenta una totale sottostima dell’inquinamento da Pfas. A oggi nessuno conosce la reale portata della contaminazione. Questo progetto cross border ha il merito di catturare, su scala europea, l’attenzione su un problema che non è più possibile ignorare. Non possono essere le sole comunità più colpite a occuparsene. L’impegno deve essere trasversale”.

La preoccupazione degli esperti

Gli autori dell’inchiesta hanno chiesto a Stefano Polesello (tra i primi in Italia che si sono occupati di inquinamento da Pfas) e a Sara Valsecchi, ricercatori dell’Istituto di ricerca sulle acque (Irsa) del Cnr, di commentare questi dati. “La raccolta e mappatura dei dati ufficiali disponibili sulla contaminazione da Pfas sul territorio europeo è uno strumento utile, se non indispensabile, per rendere evidente a tutti, non solo a noi esperti, che l’uso e la diffusione ambientale dei Pfas è una problematica globale, che coinvolge tutti i territori, non solo quelli colpiti da episodi di inquinamento più clamoroso, come le aree del Veneto e del Piemonte. La mappa diventa così uno strumento di conoscenza e sostegno alle iniziative di regolazione/restrizione dei Pfas come famiglia di composti, che sono in corso nell’Unione Europea”, hanno commentato i due ricercatori. “La prima riflessione che abbiamo fatto a caldo, a mappa appena pubblicata, è perché abbiamo dovuto aspettare un consorzio di giornalisti per avere questo strumento che avrebbe potuto/dovuto essere messo a disposizione da autorità europee”.

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