Acqua

Pfas, la sentenza storica contro l’inquinamento delle acque in Veneto

A Vicenza il maxiprocesso per contaminazione da Pfas si è concluso con 140 anni di reclusione per 11 dirigenti dell’azienda Miteni, per disastro ambientale, avvelenamento delle acque e reati fallimentari. Una sentenza storica, dopo 4 anni di procedimento.

Sono da poco passate le quattro del pomeriggio di giovedì 26 giugno quando nell’aula C del tribunale di Vicenza la giudice Antonella Crea inizia a leggere la sentenza del processo di primo grado contro 15 imputati ex dirigenti dell’industria chimica Miteni con base a Trissino (Vicenza), accusati di aver inquinato le acque e i terreni di Padova, Vicenza e Verona con le sostanze Pfas, composti chimici pericolosi per l’ambiente e l’uomo.

“Nel nome del popolo italiano, visti gli articoli 533 e 535…”. bastano questi due articoli del codice di procedura penale per far scoppiare in pianto le oltre cento persone presenti. Sono gli articoli che condannano e confermano il risarcimento per le oltre 300 parti civili che da quattro anni seguono il primo processo penale mondiale per le sostanze Pfas, interferenti endocrini messi al bando a livello internazionale.

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Il Tribunale di Vicenza, sede della sentenza © Tedeschi

La tesi delle difese e le condanne

In questi quattro anni di maxiprocesso, il più grande mai fatto in Italia per inquinamento da Pfas, la tesi della difesa si è basata sull’assenza di una normativa che limitasse questi composti. Secondo gli avvocati difensori, inoltre, la contaminazione era stata provocata da rilasci storici, nel primissimo periodo di produzione dell’azienda quando era in mano alla famiglia Marzotto. La famosa firma della moda nel 1967 si mise a produrre queste sostanze costruendo gli impianti sopra la ricarica di falda che alimentava 350mila persone, e vicino al torrente Poscola dentro cui riversava i rifiuti.

Tra i 15 imputati non ci sono però gli eredi del conte Marzotto, compaiono esclusivamente i dirigenti delle grosse multinazionali che dagli anni Ottanta hanno portato Miteni ad essere la più importante produttrice di Pfas in Europa.

I nomi dei dirigenti Mitsubishi, proprietaria dell’azienda Miteni dal 1988 al 2009, sono i primi nell’elenco dei condannati. Hosoda Maki, business manager della multinazionale tra il 2002 e il 2009, viene condannato a 11 anni, un colpo di scena vista la richiesta di assoluzione fatta dal pubblico ministero Hans Roderich Blattner. Naoyuki Kimura e Yuji Suetsune, entrambi presidenti di Miteni tra il 2003 e il 2009, vengono condannati a 16 anni. Secondo la procura questi due dirigenti erano consapevoli della contaminazione e avevano i pieni poteri per fermarla e denunciarla alle pubbliche autorità. Una denuncia mai effettuata. Suetsune inoltre era stato il responsabile principale della vendita nel 2009 degli impianti Miteni alla società Icig, un passaggio di proprietà effettuato al costo di un solo euro. Secondo la ricostruzione dell’accusa il motivo di questa svendita era dovuto alla conoscenza dell’inquinamento, evidenziato dai dossier prodotti dalla società ambientale Erm e voluti dallo stesso Suetsune.

Assolto invece il quarto dirigente giapponese Kenji Ito.

Pene ancora più alte invece per i successori della gestione giapponese. Per i quattro dirigenti del fondo lussemburghese International chemical investors group (Icig) la giuria conferma il dolo e arriva a 17 anni di reclusione per Hans Georg Achim Riemann, Patrick Schnitzer e Luigi Guarracino. Quest’ultimo, amministratore delegato di Miteni dal 2009 al 2015, è al suo terzo processo per disastro ambientale. Assolto come dirigente Ausimont in Abruzzo per le discariche più grandi d’italia nel 2007, è condannato al processo Solvay nel 2019. Guarracino infatti era dirigente prima della società Ausimont e poi nella multinazionale Solvay, che nel 2002 aveva acquistato tutti gli impianti di Ausimont. Suo collega in Ausimont fino al 2002 era Brian McGlynn, poi dal 2007 dirigente Miteni, fino al 2015. Per Mc Glynn la giuria vicentina ha deciso la pena più alta dell’intero processo, 17 anni e 6 mesi. La procura aveva dimostrato come McGlynn fosse consapevole della contaminazione e fosse passato dalla gestione giapponese a quella lussemburghese senza sistemare la situazione ambientale.

L’olandese Alexander Nicolaas Smit, a capo di Miteni dal 2009 al 2012, è condannato a 16 anni, Martin Leitgeb a quattro anni e sei mesi e Antonio Alfredo Nardone a sei anni e quattro mesi.

Gli italiani, condannati e assolti

Antonio Alfredo Nardone è stato l’ultimo amministratore delegato di Miteni, prendendo il posto di Guarracino nel 2015 e arrivando al fallimento di novembre 2018.

Sulla figura di Nardone la requisitoria del pubblico ministero Blattner a febbraio 2025 si sofferma in modo particolare, si legge “per quanto riguarda le ipotesi contestate di bancarotta e inquinamento sicuramente era da stigmatizzare nel tipo di gestione imprenditoriale consapevole di un inquinamento e consapevole di una gestione artefatta rispetto a quella reale”. Quando arriva nello stabilimento, nel 2015, lo scandalo Pfas è già scoppiato da due anni. Durante il processo è emerso come il bilancio annuale, a sua firma, nel 2016 avesse incluso la voce spese ambientali. Una voce legata per ottenere un acconto dell’assicurazione ambientale accesa durante la gestione giapponese e protratta da tutti i seguenti amministratori. Nardone quindi aveva ottenuto dei soldi per una prima messa in sicurezza del sito, soldi mai spesi.

Dopo il fallimento di Miteni nel 2018, per cui la giuria ha condannato Miteni Spa Fallimento ad un risarcimento di 125mila euro, Nardone apre la srl Anasco, con sedi a Milano e Vicenza. Lo scopo è fare da intermediario per la vendita degli impianti di Miteni alla società Viva Life Sciences, una cordata di industrie indiane che fanno parte della multinazionale Laxmi. Nardone tra il 2019 e il 2022, in piene indagini e processo, guadagna un milione e mezzo in queste vesti.

La Anasco srl viene chiusa a dicembre 2022, quando l’ultimo container con dentro i pezzi Miteni lascia il porto di Trieste in direzione India.

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Dopo cinque anni finalmente le indagini sulla contaminazione di Pfas del caso Miteni sono state chiuse © Tedeschi

Anasco però rinasce a marzo 2024, sempre con Nardone come amministratore e con il ruolo di consulente industriale per compravendite di società chimiche. Nel suo team compare anche Davide Drusian, ingegnere di Trissino. E condannato a due anni e otto mesi al processo Miteni.

Davide Drusian tra il 2007 e il 2018 è procuratore di Miteni con responsabilità ambientali. Spetta a lui la gestione della barriera idraulica, posta nel 2005 per contenere le fuoriuscite della contaminazione sottostante il sito, e delle altre azioni destinate a preservare l’ambiente circostante la fabbrica. Per lui il pubblico ministero chiede a febbraio l’assoluzione, dando come motivazione la dipendenza totale di Drusian dalle scelte dei vertici. Non poteva decidere da solo. Ma la giuria lo condanna a due anni e otto mesi, con in più una richiesta di risarcimento pecuniaria. Drusian è il solo dirigente locale, nato in zona e operativo in Miteni per decenni, che viene condannato. Mario Mistrorigo, Mauro Cognolato e Davide Fabris vengono assolti.

Una richiesta fatta sempre dalla Procura, che aveva lasciati stupiti sia gli avvocati di parte civile che diversi difensori. Durante il processo, sulle azioni di questi tecnici erano emersi documenti che dimostravano la piena consapevolezza del rischio relativo ai Pfas, sia in ambiente che per la salute degli operai.

Mario Mistrorigo, procuratore Miteni con delega ambientale dal 1996 al 2010, è il primo tecnico Miteni a seguire gli incontri internazionali dell’associazione Apme, voluta dai produttori chimici con lo scopo di fare pressione lobbistica sulle istituzioni.

Mario Fabris, direttore tecnico di Miteni tra il 2005 e il 2009, era il destinatario dei dossier elaborati dalla società di consulenza ambientale Erm in cui si leggeva la presenza di Pfas nelle acque sottostanti il sito per valori altissimi. A Fabris viene consigliato, via mail, di far scattare l’autodenuncia per contaminazione da sostanze non normate. Non ci sarà nessuna autodenuncia fino al 2013.

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La Giudice Antonella Crea durante la sentenza © Tedeschi

Chi viene risarcito e chi no, come gli operai

Dopo l’elenco dei condannati e le loro pene, alle 16:50 la giudice Crea inizia ad elencare le parti civili da risarcire. Molte di loro sono arrivate alle nove, stendendo gli ormai famosi striscioni fuori dal tribunale. Ci sono tutti i personaggi del movimento No Pfas: il medico Vincenzo Cordiano, che nel 2013 denunciò il danno sanitario rischiando la carriera, Piergiorgio Boscagin di Legambiente, che sempre 2013 parlò per primo di inquinamento alimentare da Pfas, Donata Albiero che da dieci anni entra nelle scuole per formare una generazione libera da Pfas, Maria Chiara Rodeghiero, che come Medicina Democratica iniziò fin da subito a sensibilizzare sul rischio sanitario per i lavori. Alberto Peruffo, attivista e organizzatore delle prime manifestazioni del 2016, rimane seduto per ore in attesa. E poi decine di Mamme No Pfas, che dal 2017 sono diventate instancabili staffette partigiane di questa lunga lotta per avere giustizia.

In disparte, in piedi appoggiato al muro, il protagonista silenzioso di questo processo, Manuel Tagliaferri. Il maresciallo del Nucleo operativo ecologico dei Carabinieri di Treviso per tre anni ha condotto in solitaria le indagini, arrivando a trovare documenti fondamentali per indicare il dolo degli imputati. Una figura di riferimento per tutti, una conferma che lo Stato è presente.

I risarcimenti voluti dalla giuria iniziano dai 15 mila euro, cifra standard per il nostro codice penale che parla di Pericolo di ammalarsi (Metus), per le singole persone che hanno i Pfas nel sangue. Seguono il Ministero dell’Ambiente che ottiene la somma più alta (58 milioni di euro), i gestori delle acque che dal 2013 hanno l’obbligo di filtrare l’acqua (500mila euro), i comuni colpiti (80 mila euro ciascuno), le associazioni ambientaliste e sanitarie (25 mila euro), gli enti pubblici come Provincia di Vicenza, Regione, Agenzia sanitaria e Agenzia Ambientale (800mila euro).

Alle 17:01 la dottoressa Crea chiude il processo e scoppia un applauso lungo, forte che porta ad abbracci e cori fuori dall’aula. E’ il suono della vita che si riprende lo spazio dopo 5cinque anni di silenziosa attesa.

Un silenzio che rimarrà però per i 27 operai ex Miteni, costituitisi parti civili anche loro, ma rimasti privi di risarcimenti. Malgrado al processo sia emerso che i dirigenti condannati sapessero del rischio sanitario, studiato dal medico Giovanni Costa, nessuno di loro è stato condannato a ripagare gli operai.

Tra 90 giorni si sapranno le motivazioni e la Cgil, che ha già ottenuto una sentenza civile per la morte di un ex operaio Miteni morto per esposizione ai Pfas, deciderà come tutelare queste vittime.

Una sentenza utile per un futuro senza Pfas

Mentre Vicenza ottiene giustizia, il Piemonte vede slittare l’udienza preliminare del processo penale contro Solvay, accusata di aver inquinato con i Pfas, prodotti da Miteni, la zona alessandrina dove insiste l’unico stabilimento italiano che produce questi composti. La contaminazione piemontese si verifica non tramite acqua, come per il Veneto, ma per emissione in atmosfera dei quasi 100 camini del polo chimico. Malgrado gli enti pubblici come Arpa sappiano la via di esposizione, Regione Piemonte non ha ancora posto un limite per i Pfas in atmosfera.

Allo stesso modo, l’Italia non ha ancora una legge per i Pfas scaricati in acqua, né tanto meno in aria. Ci sono otto disegni di leggi depositati in questi anni, nessuno di loro è in fase di dibattimento in aula.

L’unico limite nazionale è per le acque potabili, dopo la ratifica dell’Italia della direttiva 2184 del 2020. Entrerà in vigore a gennaio 2026, con un limite di 100 nanogrammi per litro per 24 Pfas. Il nostro Istituto superiore di sanità però ha già chiesto un abbassamento a 20 nanogrammi litro per la somma di alcuni Pfas. L’Italia, che ospita uno dei pochi poli produttivi di queste sostanze, rimane un fanalino di coda.

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