La multinazionale chimica Solvay è chiamata a rispondere di disastro ambientale colposo al tribunale di Alessandria, dove si trova il suo sito industriale che produce sostanze pericolose come i Pfas, interferenti endocrini considerati cancerogeni e conosciuti come forever chemicals, inquinanti eterni, perché una volta immessi nell’ambiente non si degradano.
Il 6 maggio all’udienza preliminare al tribunale di Alessandria, oltre 250 parti civili si sono costituite davanti al giudice, tra cui associazioni ambientaliste e istituzioni. Ma, nel frattempo, sotto al polo produttivo, c’è la falda più contaminata da Pfas d’Europa. Ci sono le prime contaminazioni delle acque potabili, ma il piano di bonifica è fermo al Tar.
Gli ex direttori di Solvay, Stefano Bigini e Andrea Diotto, entrambi trasferiti negli ultimi mesi, devono rispondere dell’accusa di disastro ambientale colposo per “aver omesso di provvedere al più efficace risanamento della pregressa contaminazione del sito e al più sicuro contenimento del rilascio dei contaminanti sia nella falda sottostante lo stabilimento che a valle, ove è accertata la diffusa contaminazione da Pfas”, si legge nel decreto del rinvio a giudizio firmato dal pubblico ministero Enrico Cieri.
Oltre alla costante contaminazione da sostanze storiche come il cloroformio, tra i motivi dell’imputazione si legge “per aver, con siffatte condotte e omissioni colpose, perpetrato e aggravato la già sensibile alterazione (irreversibile) delle matrici ambientali dell’acqua, aria e del terreno”, sottolineando così il rischio per l’intero territorio alessandrino di esposizione a sostanze considerate cancerogene.
La multinazionale, che da dicembre ha cambiato nome passando da Solvay a Syensqo, produce ad Alessandria gli inquinanti eterni Pfas, considerati dall’Unione europea talmente pericolosi da essere sottoposti ad un percorso di restrizione europeo.
Il capostipite dei Pfas, il Pfoa, infatti da novembre 2023 è considerato cancerogeno dallo Iarc, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, e ritrovato di recente nelle acque potabili di Alessandria, a pochi chilometri dal Polo chimico. L’intero territorio alessandrino quindi è oggetto del secondo processo per Pfas in Italia, dopo quello iniziato nel 2021 a Vicenza dove la società Miteni, produttrice di Pfoa dagli anni Sessanta, è sotto processo per disastro ambientale e avvelenamento della acque.
Come per Vicenza, così per Alessandria il processo è arrivato grazie a cittadini ed associazioni che hanno scelto di firmare diversi esposti dal 2020 ed arrivare a presentarsi come parti civili lunedì 6 maggio. Una scelta che ricalca quella fatta nel 2008 per il primo processo contro Solvay, condannata per disastro ambientale da sostanza storiche come il Cromo VI nel 2015 e in corte d’Appello nel 2019.
“Il pozzo è chiuso per sempre, a causa della presenza di C6O4 e altri tipi di #PFAS.”
Montecastello era un tranquillo comune piemontese, a 10km da Alessandria, fino a quando, nel giugno 2020, #Arpa ha rilevato #PFAS nel pozzo che fornisce l’acqua potabile.#PresaDirettapic.twitter.com/XQ0ICeCdmj
Oltre ai cittadini si sono costituiti anche diversi enti: i Comuni di Alessandria e di Montecastello che hanno esposizione ai Pfas nell’aria cittadina, la Regione Piemonte che ha già indicato in 320mila euro un possibile risarcimento per le spese sanitarie finora pagate come esami del sangue e sugli alimenti e il Ministero dell’ambiente. Con loro le diverse associazioni che negli anni, e nel processo precedente, hanno assistito i cittadini con azioni ambientaliste ed esposti: Wwf, Legambiente, Medicina democratica, Greenpeace ed altri gruppi.
Assente la Provincia di Alessandria, che anche nel primo processo non si era costituita parte civile.
La prossima data del processo sarà il 6 luglio, termine ultimo per Solvay, ora Syensqo, per individuare possibili incompatibilità con le parti civili, attraverso gli avvocati Santamaria e Bolognesi. Entrambi i difensori rappresentavano la società e i dirigenti nel primo processo, durato dieci anni. Bolognesi inoltre per due anni è stato avvocato di Regione Veneto nel processo contro l’azienda Miteni, che produceva Pfas anche per conto di Solvay.
La situazione attuale di contaminazione da Pfas
Se il processo si apre dopo quattro anni dalla deposizione del primo esposto e dopo tre anni di indagini dei carabinieri di Alessandria, ora per chi vive intorno ad uno dei poli chimici più grandi d’Italia la situazione non è semplice.
Malgrado ci sia l’obbligo di legge dal 1999 di bonificare terreni contaminati da poli industriali e nel 2001 sia stato depositato un primo piano di bonifica prodotto per l’acquisto di Solvay del sito Edison, la Provincia di Alessandria solo a inizio aprile 2024 ha emanato l’ordinanza necessaria a bonificare i terreni esterni al sito, indicando nella gestione Edison e la successiva Solvay le due responsabili dell’inquinamento. Terreni agricoli di proprietà Solvay e dati in affitto ad agricoltori locali.
Questo documento ricostruisce quarant’anni di versamenti nella falda, nei suoli e nell’aria, quali sono i contaminanti e le percentuali di sostanze emesse dalla vecchia e attuale gestione.
In una tabella emerge la presenza del Pfoa in falda dall’anno 1982 in avanti, mentre il cC6O4, suo sostituto dal 2012, è presente dal 2017. L’ordinanza indica in percentuali le contaminazioni relative alla produzione di Edison, per il Pfoa dell’ottanta per cento, e di Solvay che per il composto cC6O4 ha la responsabilità del cento per cento essendo un prodotto brevettato dalla multinazionale. È necessario ricordarsi che queste sostanze rimangono nell’ambiente perché non sono biodegradabili, persistono quindi per decenni e si bio-accumulano negli organismi.
Ma la società ha deciso di ricorrere al Tar, il Tribunale amministrativo del Piemonte, contro questa ordinanza, ritenendo di non essere responsabile dell’inquinamento.
Lo stesso prodotto cC6O4 però nei mesi scorsi ha creato diversi malumori a Solvay/Syensqo e preoccupazioni alla cittadinanza.
A fine marzo infatti la società ha depositato un’autodenuncia per dei valori anomali riscontrati in un pozzo sotto la vasca di contenimento dei reflui contenenti Pfas. Una contaminazione interna al sito che evidentemente la ditta non era più in grado di gestire.
La destinataria dell’autodenuncia, sempre la Provincia, ha dato mandato ad Arpa Alessandria di campionare nello stesso punto e i risultati hanno allarmato tutte le istituzioni territoriali: 220mila microgrammi per litro del prodotto nella falda. Un valore mai riscontrato in Europa. La ditta nei giorni seguenti avvisa di aver sospeso la produzione del composto, indicando come motivo della contaminazione in atto nella rottura di due valvole necessarie a far andare un reattore interno alla vasca. Senza vasca di contenimento non è possibile produrre le sostanze.
I campionamenti di Solvay e Arpa si susseguono per capire cosa stia succedendo, fino ad arrivare a sabato 13 aprile, quando Arpa viene allertata dai cittadini di una strana schiuma presente nello scarico del polo che rilascia nel fiume Bormida i reflui trattati.
Un campione di questa schiuma viene analizzato anche dalla ditta che, tramite il nuovo direttore Stefano Colosio, annuncia come sia schiuma prodotta a monte dallo scarico e quindi non contaminata da Pfas.
𝐀𝐑𝐏𝐀 𝐒𝐌𝐄𝐍𝐓𝐈𝐒𝐂𝐄 𝐋'𝐄𝐍𝐍𝐄𝐒𝐈𝐌𝐀 𝐁𝐔𝐆𝐈𝐀 𝐃𝐈 𝐒𝐎𝐋𝐕𝐀𝐘-𝐒𝐘𝐄𝐍𝐒𝐐𝐎Il “fenomeno delle schiume nel fiume Bormida non è imputabile a…
Poche ore dopo questa spiegazione, però, Arpa Alessandria smentisce il direttore pubblicando sul proprio sito queste parole: “Le schiume riscontrate il 13 aprile scorso al punto di immissione dello scarico del polo chimico nella Bormida sono oggettivamente riconducibili all’impianto in quanto dagli esiti delle analisi si è determinato che le acque di scarico del Polo chimico della Bormida contengono concentrazioni di tensioattivi e di cC6O4 a ADV pressoché raddoppiati rispetto all’ultimo controllo ordinario rispetto a gennaio 2024”.
I dati vengono consegnati agli enti durante diversi tavoli tecnici voluti dal sindaco di Alessandria, Giorgio Abonante, che arriva a dire quanto sia necessario rispettare i criteri ambientali voluti dall’autorizzazione ambientale di Solvay per scongiurare la possibile chiusura di parte dell’impianto. Questo il 16 aprile, questo quando la stessa autorizzazione ambientale non è stata rinnovata dal 2019 dalla Provincia, che ha emesso un’ordinanza di bonifica pochi giorni fa.
Le settimane seguenti il sindaco non si presenta più al tavolo tecnico, voluto da lui stesso e calendarizzato come settimanale, e i dati di Arpa non sono più pubblicati. Il processo quindi inizia in un clima di incertezza e silenzi.
A giugno parte della rete idrica dell’alessandrino è stata chiusa perché inquinata da sostanze dannose per la salute e per l’ambiente. Le stesse usate dall’azienda chimica Solvay.