Abbiamo chiesto a Marco Lambertini, direttore di Wwf International, come sta la biodiversità in vista della Cop15 di Montréal e in virtù del Living planet report 2022.
Dal 1970 al 2018 è stato registrato un calo medio del 69 per cento dell’abbondanza di specie selvatiche secondo la quattordicesima edizione del Living planet report del Wwf. I peggiori trend sono stati osservati in Sudamerica con un calo del 94 per cento, seguiti dal 66 per cento in Africa e 55 per cento in Asia-Pacifico. In Europa, Asia centrale e Nordamerica sono diminuite di circa il 20 per cento. Tra gli animali che hanno mostrato un calo maggiore troviamo le specie di acqua dolce con una perdita dell’83 per cento. Per comprendere la difficile situazione che sta affrontando la biodiversità abbiamo intervistato Marco Lambertini, direttore di Wwf International dal 2014 e già direttore di BirdLife International, soprattutto in vista dell’importantissima Cop15, la conferenza sulla biodiversità, sempre più vicina.
Cos’è il Living planet index
Questo report, pubblicato con cadenza biennale, mostra la panoramica dello stato di salute generale della biodiversità. Dal 1998 per realizzarlo viene utilizzato il Living planet index, che misura il cambiamento nell’abbondanza media delle popolazioni di specie di vertebrati. Quest’anno nell’indice sono state prese in considerazione 32mila popolazioni di più di 5mila specie di vertebrati. Rispetto all’edizione precedente sono state aggiunte più di 800 nuove specie e circa 11mila nuove popolazioni.
Verso la Cop15 di Montréal
La Convenzione sulla diversità Biologica (Convention on biological diversity, Cbd) delle Nazioni Unite è l’equivalente per la biodiversità della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc). I leader mondiali si troveranno a Montréal, sotto la presidenza della Cina, dal 7 al 19 dicembre con il compito fondamentale di creare una strategia per portare a compimento l’obiettivo nature positive entro il 2030, ovvero non solo fermare la perdita di biodiversità ma ripristinarla. A differenza della Cop27 di Sharm el-Sheikh, appena conclusa, per la biodiversità sono pochissimi i passi compiuti. Le aspettative sono altissime, si spera che questa Cop15 di Montréal possa dar vita a un “Accordo di Parigi per la biodiversità”, un trattato globale per la natura così come è stato quello del 2015 per il clima. Natura e clima vanno a braccetto, emissioni zero e biodiversità netta positiva saranno l’unica speranza per un futuro sostenibile.
L’intervista a Marco Lambertini, direttore di Wwf International
Perché è così difficile proteggere la biodiversità? Semplicemente perché non ci siamo ancora resi conto delle conseguenze che andremo a soffrire come società umana perdendo la biodiversità. Abbiamo considerato la natura come qualcosa sempre pronto per essere sfruttato, senza quantificare veramente l’impatto e le conseguenze che questo poteva avere. Tutto ciò l’abbiamo fatto anche nei confronti del clima. Tuttavia, sul clima ci siamo accorti più velocemente e stiamo cambiando rotta. Infatti, l’anno scorso il 70 per cento degli investimenti è stato rivolto alle nuove infrastrutture energetiche. Sulla biodiversità invece stiamo iniziando a capirlo adesso. Perdere la biodiversità non vuol dire perdere le tigri, gli elefanti e i panda, ma vuol dire perdere gli impollinatori, i pesci negli oceani e i vermi nel suolo. Secondo uno studio di economisti, è stato stabilito che la metà del prodotto globale lordo, 44 miliardi di dollari, dipende direttamente da ecosistemi funzionanti e in salute.
Con la Cop15 alle porte, il prossimo 7 dicembre, quali sono le possibilità di riuscire a raggiungere gli obiettivi preposti? In un recente incontro, António Guterres, Segretario generale delle Nazioni Unite, è parso molto preoccupato della situazione sia per il clima che per la natura. Parlavamo di cosa debba succedere per arrivare a Montréal con la possibilità di un accordo. Al momento, nella bozza del testo ci sono 1.800 parentesi, cosa significa? Il testo è parecchio lontano dall’essere condiviso e questo ci preoccupa. Montréal ha l’opportunità di stabilire un obiettivo globale e una direzione di viaggio per la natura, come ha fatto Parigi per il clima. Il nature positive global goal, ovvero avere nel prossimo decennio molta più natura di oggi, è un obiettivo raggiungibile poiché la natura è molto resiliente. È stato più volte dimostrato che se le si dà una possibilità la natura ritorna. Tuttavia, è necessario un cambiamento nei settori economici chiave: agricoltura, pesca, infrastrutture, attività forestali e attività estrattive. Questi sono i cinque fattori che oggi guidano la perdita di biodiversità. Al momento sono tutti nature negative.
Cosa possiamo fare, nel nostro piccolo, per contribuire alla protezione delle specie? La cosa strana è che molte persone ancora non collegano le loro attività quotidiane con la perdita di biodiversità. Mentre è più diretto il collegamento con i cambiamenti climatici. La prima cosa fare è consumare meno in generale – questo non è molto gradito da molti politici – perché purtroppo la crescita illimitata è un’utopia che ce la farà pagare cara. La maggior parte di quello che viene prodotto, e consumato, ha un impatto sulla natura. Il cibo, in particolare, è forse il fattore più importante sul quale si può agire. Non bisogna essere radicali, ma bisogna consumare meno cibi che hanno forte impatto sulla natura, ad esempio, la carne – il cui impatto ambientale è risaputo – dando così un grandissimo contributo.
Questi potrebbero essere alcuni dei “piccoli” passi da fare per raggiungere il nature positive global goal? Assolutamente, nature positive è un concetto che deve essere abbracciato da tutti. Da un governo con le leggi che emana, da un business attraverso il suo piano produttivo, dagli investitori che muovono soldi da un’agricoltura chimica a una biologica e da noi nelle vite comuni da consumatori. Bisogna tenere a mente che siamo miliardi di persone, un gesto che può sembrare piccolo nella quotidianità individuale diventa gigantesco a livello di collettività globale.
A chi si rivolge principalmente il report? Il report ha un’audience molto diversa. Per diventare una società e un’economia nature positive chiunque deve fare la sua parte. Da un lato mira a sensibilizzare il pubblico a questo problema di perdita di biodiversità, dall’altro si rivolge al settore privato, perché nature positive può essere tradotto in un piano aziendale con ridotto impatto ambientale. E poi ci rivolgiamo ai governi, perché a dicembre vogliamo che siano loro a tracciare la direzione corretta attraverso un importante accordo per la natura.
Il concetto di collaborazione è fondamentale per la conservazione della biodiversità? Nel report si parla degli sforzi di diversi collaboratori Wwf che hanno studiato ricerche e rapporti sull’impatto ambientale scritti in portoghese, aggiungendo più di 500 nuove specie al database Questo esempio è interessante perché, in un sistema scientifico dominato dalla lingua inglese, si sono perse e si perdono molte informazioni. La collaborazione è fondamentale ma anche l’inclusione. Nel momento in cui si diventa più inclusivi e si coinvolge il portoghese, lo spagnolo, l’italiano, il francese, l’indiano, il cinese e via dicendo, la prospettiva cambia arricchendosi. Il portoghese, ad esempio, è fondamentale per le conoscenze sul Brasile e sull’Amazzonia.
Sono ormai quasi dieci anni che si trova alla guida di Wwf International, secondo lei quanto è cambiato l’interesse delle persone verso la biodiversità (e la conservazione) nel corso degli ultimi anni? Non c’è dubbio, la conservazione della natura non è mai stata così in primo piano come oggi. Tuttavia, dovrà crescere ancora di più. C’è stata una grandissima sensibilizzazione e aumento di coscienza, sia dal punto di vista etico che economico. Stiamo cominciando a capire la dipendenza dalla natura. Una natura che abbiamo sempre data per scontata e adesso ci sta presentando il conto – se non stiamo attenti potrebbe essere molto salato –. La pandemia da Covid 19 è stata un campanello d’allarme sul rischio che corriamo nel trafficare animali selvatici, che possono diventare come delle superstrade di virus in giro per il mondo. Anche l’Italia, da quando ho iniziato io a dodici anni come socio Wwf ad oggi è completamente un altro paese. Abbiamo lupi dappertutto, orsi che tornano nelle Alpi e fenicotteri in qualunque palude costiera. L’elemento più difficile rimane l’interfaccia tra l’economia e l’ambiente. A livello di persone, di coscienza, di mentalità, abbiamo fatto passi enormi, ora dobbiamo tradurre tutto questo in un cambiamento delle nostre pratiche di produzione e consumo.
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