Cosa ci dice il Living planet index, l’indicatore di allerta per la perdita di biodiversità del Wwf

Indica l’abbondanza relativa delle popolazioni monitorate e non il numero di specie scomparse, dandoci una fotografia sulla salute di un ecosistema.

Come si fa spiegare un concetto complesso in modo che sia il più semplice possibile? Spesso lo si fa con i numeri. O meglio con quelli che sono considerati degli indicatori: si prendono in considerazione tutta una serie di fattori, condensandoli appunto in un numero che sia rappresentativo, come accade con il Living planet index (Lpi), l’indice con il quale si misura l’abbondanza relativa delle specie prese in considerazione dal Living planet report del Wwf, presentato lo scorso 13 ottobre. Il documento pubblicato ogni due anni e al quale lavorano decine di ricercatori, raccoglie i dati che provengono da gran parte del mondo accademico, fornendo un quadro dello stato di salute di alcune delle popolazioni a livello globale e fornendo un’indicazione importante della salute generale dell’ecosistema. Il report è uscito in un momento piuttosto delicato, in vista anche della 15ma Conferenza delle parti della Convenzione sulla diversità biologica (Cbd Cop15), descritto come “un’occasione unica per correggere la rotta per il bene delle persone e del pianeta”, come scrive lo stesso Wwf.

I numeri del rapporto

Ecco allora che quel numero, il calo del 69 per cento in media dell’abbondanza relativa delle specie prese in considerazione, è una rappresentazione numerica di come stiano variando le popolazioni di fauna selvatica monitorate. Se si prendono come riferimento le popolazioni monitorate in America Latina e nella regione dei Caraibi, sempre nello stesso intervallo di tempo, si nota invece ad esempio una diminuzione media del 94 per cento. Un calo definito “devastante” dal Wwf, subito dalle popolazioni di mammiferi, uccelli, anfibi, rettili e pesci dal 1970 in tutto il mondo. A questo punto però è necessario fare un po’ di chiarezza. Secondo il Living planet report le principali cause del declino delle popolazioni di fauna selvatica sono i cambiamenti nell’uso del suolo e del mare, lo sfruttamento eccessivo di piante e animali, il cambiamento climatico, l’inquinamento e le specie aliene invasive, le minacce provenienti da agricoltura, caccia e bracconaggio, e deforestazione sono particolarmente gravi ai tropici; mentre hotspot di inquinamento sono particolarmente importanti in Europa.

Razza aquila maculata
Una razza aquila maculata nuota nei mari adiacenti le isole Galapagos © Daniel Versteeg/Wwf

Cosa dice in realtà l’indice del Living planet report

Il valore sopracitato si riferisce ad un’analisi realizzata dalla Zoological society of London, che ha esaminato circa 32mila popolazioni di 5.320 specie di vertebrati. E già qui ci risulta chiaro un aspetto: mancano tutti gli invertebrati, che secondo alcune stime rappresentano il 97 per cento di tutte le specie conosciute sul pianeta. Oltre a tutto un altro regno, quello delle piante. Cosa sta ad indicare quindi il Living planet index con quel 69 per cento? “Il Living planet index mostra il cambiamento medio dell’abbondanza relativa delle popolazioni monitorate di vertebrati”, spiega Valentina Marconi, una delle ricercatrici che ha lavorato alla stesura dell’indice. “Quando si parla di abbondanza relativa, si intende non il numero totale di animali (che sarebbe l’abbondanza assoluta), ma la variazione in termini di abbondanza. Due popolazioni possono essere diminuite del 50 per cento, ma l’una partiva da migliaia di individui, l’altra da 10 individui. Queste due popolazioni hanno lo stesso peso nel living planet index”.

Cosa significa nella pratica? Che una stessa popolazione presente in due regioni diverse, potrebbe essere aumentata da una parte, e diminuita dall’altra, dando poi vita all’indicatore. Una volta fatta la media comunque si ha una tendenza. E la tendenza qui elaborata mostra che la curva sta andando verso il basso, con segno negativo. In sostanza è un indicatore di allerta precoce della salute generale di un ecosistema. C’è inoltre da sottolineare che quel 94 per cento relativo all’America Latina e ai Caraibi nasce soprattutto dal fatto che sono aumentati in maniera considerevole i dati raccolti (3.269 popolazioni per 1.002 specie brasiliane, di cui 575 nuove per il database), e che a differenza dell’Europa, l’indice di biodiversità risulta molto più elevato (il che è un bene). Nonostante tutto, la situazione nelle aree dove la biodiversità era più abbondante, non è certo confortante.

Cosa invece non ci dice il Living planet index

A questo punto risulta utile un distinguo. Il Lpi non indica il numero di specie scomparse o il numero di estinzioni, non significa che il 69 per cento delle popolazioni monitorate sia in diminuzione e non indica nemmeno che quello sia il numero dei popolazioni o individui scomparsi. “Un ultimo punto importante, soprattutto quando si mettono a confronto indici per varie aree del pianeta è quello dell’anno di partenza. Il Living planet index parte dal 1970, e bisogna sempre tenere presente che la situazione della biodiversità in quel periodo era diversa, per esempio, tra Nord e Sud America”, continua Marconi. “Accanto all’abbondanza delle popolazioni, ci sono altri aspetti della biodiversità che è importante misurare. Per questo il Lpi va utilizzato insieme a una serie di altri indici quali il Red list index, per esempio”. In sostanza non abbiamo perso il 69 per cento delle specie viventi sul pianeta, il che sarebbe devastante. Ma sappiamo che questo indicatore è utile da impiegare in sinergia con gli altri presenti nel mondo scientifico, per comprendere al meglio i meccanismi complessi che portano alla perdita di biodiversità, o al contrario al successo dei progetti di conservazione.

D’altra parte sappiamo perfettamente che la biodiversità sul pianeta è a rischio e con essa tutte i servizi ecosistemici che essa fornisce alla nostra società: acqua, suolo, cibo dipendono anche dall’abbondanza delle specie sul pianeta e da come queste interagiscono tra di loro e con i cicli naturali del pianeta. Un rischio, quella del loro declino, che non possiamo permetterci e che è ben riassunto dalle parole scritte dal direttore generale di Wwf International Marco Lambertini: “La nostra società è al bivio più importante della sua storia e sta affrontando la sfida più profonda del cambiamento dei sistemi intorno a quella che è forse la più esistenziale di tutte le nostre relazioni: quella con la natura. E tutto questo in un momento in cui cominciamo a capire che dipendiamo dalla natura molto più di quanto la natura non dipenda da noi”.

Siamo anche su WhatsApp. Segui il canale ufficiale LifeGate per restare aggiornata, aggiornato sulle ultime notizie e sulle nostre attività.

Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.

L'autenticità di questa notizia è certificata in blockchain. Scopri di più
Articoli correlati
Lupi, orsi, aironi. A volte ritornano

Una fotografia ricchissima di colori e forme. È la fotografia scattata dal primo rapporto sulla biodiversità realizzato dal Wwf, una sorta di censimento sulle specie animali. E stavolta c’è anche qualche buona notizia: l’orso, il lupo, la lince, la foca sono tornati.