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Uno studio scientifico valuta per la prima volta gli impatti “combinati” – sociali, economici e ambientali – dei cambiamenti climatici nel Mediterraneo.
Il bacino del Mediterraneo è una delle aree più vulnerabili di fronte ai cambiamenti climatici. Per via delle possibili inondazioni costiere, delle risorse agricole che potrebbero essere colpite o ancora per le malattie che potrebbero insorgere, veicolate dalle sempre più numerose zanzare. Ma anche per i rischi legati all’accesso all’acqua potabile.
A lanciare l’allarme è uno studio internazionale, pubblicato dalla rivista scientifica Nature Climate Change, che rappresenta un monito soprattutto per i paesi del sud del Mediterraneo. Secondo l’analisi – la prima a valutare a largo spettro le conseguenze per chi vive nel mare racchiuso tra Europa ed Africa – la temperatura media è già aumentata di 1,4 gradi centigradi rispetto all’era pre-industriale. Ciò significa che nella regione i cambiamenti climatici progrediscono ad un ritmo più veloce rispetto al resto del mondo. A livello globale, infatti la crescita della temperatura è stata, finora, di un “solo” grado. I disastri avvenuti in Italia alla fine di ottobre hanno mostrato in modo chiaro a cosa rischiamo di andare incontro.
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“Anche con un riscaldamento globale limitato a 2 gradi – si legge nello studio – le precipitazioni estive diminuiranno molto probabilmente in modo sensibile. Il calo sarà compreso tra il 10 e il 30 per cento, a seconda delle regioni. Ciò aggraverà i problemi di mancanza di acqua e provocherà un forte calo della produzione agricola, soprattutto nelle aree più meridionali”. Gli episodi di siccità, inoltre, dureranno più a lungo. Mentre quelli piovosi, al contrario, diventeranno più rari ma anche più violenti.
The world average temperature has increased by “just” 1 degree Celsius on average since the preindustrial era. Around the Mediterranean, the increase is 1.4 degrees Celsius https://t.co/EAF0yQMLd6
— Haaretz.com (@haaretzcom) 2 novembre 2018
I ricercatori hanno identificato cinque grandi minacce per la regione, che risultano legate le une alle altre. Oltre alle questioni dell’approvvigionamento di acqua potabile e della sicurezza alimentare, sono citati in particolare i rischi legati alla conservazione degli ecosistemi, alla salute e alla sicurezza delle infrastrutture (quest’ultimo punto è legato in particolare alle possibili inondazioni).
Secondo lo studio la situazione diventerà talmente problematica da poter far sorgere conflitti tra agricoltori, proprietari terrieri e industrie: “Gli impatti dei cambiamenti climatici sull’agricoltura, combinati con la crescita demografica e dunque della domanda, aumenteranno la dipendenza delle nazioni del Sud dalle importazioni”.
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In termini più puramente climatici, gli scienziati indicano che il livello del Mediterraneo è cresciuto già di 60 millimetri. E la tendenza è ad un’inevitabile accelerazione, causata dallo scioglimento dei ghiacci: “Il fenomeno colpirà una larghissima porzione della popolazione che vive sulle coste, che sarà colpita da importanti inondazioni”.
A tutto ciò si aggiunge poi una significativa acidificazione delle acque del bacino. Il che rappresenta un problema enorme, tenuto conto che buona parte della CO2 emessa a causa di attività antropiche (industrie, trasporti, produzione energetica) viene assorbita proprio dal mare. Fenomeno che diminuisce proporzionalmente al processo di acidificazione, poiché le acque sono già sature e dunque incapaci di recuperare altro biossido di carbonio.
In termini di salute umana, infine, il rapporto spiega che si assisterà ad un aumento dell’area di azione di determinate malattie. In particolare del virus del Nilo occidentale, della dengue e della chikungunya. Ma anche le malattie cardiovascolari e respiratorie potranno aumentare, come confermato d’altra parte anche da uno studio condotto nella città di Barcellona, in Spagna, e relativo al decennio 2003-2013.
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