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Milano rappresenta uno dei maggiori esempi italiani della coltivazione di orti in città. Strumenti fondamentali per mitigare l’urbanizzazione e accorciare la filiera dei prodotti di stagione.
L’avvento degli orti urbani in città è cominciato in Germania e nei Paesi Bassi nel secondo dopoguerra per proseguire nel decennio successivo nelle aree periferiche delle principali città degli Stati Uniti, prima fra tutti quella di San Francisco. È alla fine degli anni Ottanta che il fenomeno della costruzione di piccole isole agricole urbane gestite da associazioni, enti e cittadini volontari, è divenuto una realtà anche in Italia.
In particolare, il comune di Milano rappresenta uno dei maggiori esempi italiani della coltivazione orticola vicino a casa propria. Grazie alle aree del Parco agricolo Sud Milano, il parco agricolo più grande d’Europa e più fertile al mondo, e del Parco Nord Milano, il capoluogo lombardo registra 87 spazi della città adibiti a orti urbano (open data del comune di Milano, 2013). Tale bisogno, e perciò risultato, compensa l’elevata pressione dell’uomo nell’uso di risorse disponibili, a partire dal suolo, ormai considerata insostenibile.
Il protocollo d’intesa tra Anci, l’Associazione nazionale dei comuni italiani, e Italia Nostra, l’associazione per la salvaguardia e la conservazione dell’ambiente e del territorio italiano, siglato nel 2008 e confermato quest’anno, segna il passaggio alle amministrazioni locali sensibili al tema della concessione di proprie aree verdi per la creazione di orti condivisi. Lo scopo è prevenire e ridurre l’inquinamento atmosferico nel rispetto degli impegni del Protocollo di Kyoto e favorire il trasferimento di conoscenze tra comuni sul come assegnare aree pubbliche all’uso dei propri cittadini e la diffusione di iniziative volte alla valorizzazione nonché riqualificazione degli orti urbani.
Il progetto Orti Urbani, da una parte, e numerose iniziative cittadine dal basso, dall’altra, hanno innescato l’interesse della giunta che, a partire dal 2015, ha deliberato la riduzione delle tariffe annuali, l’abolizione del deposito cauzionale, l’allungamento dei tempi di concessione nonché introdotto priorità nelle assegnazioni alle persone con basso reddito o appartenenti a categorie socialmente deboli (disabili, anziani e disoccupati). Inoltre oggi i privati possono firmare una convenzione con il comune al fine di concedere i propri spazi per la realizzazione di orti urbani.
Milano assegna le proprie aree libere mediante bandi di zona al quale i cittadini possono fare richiesta su base volontaria. Una volta assegnato il lotto, il comune concede a titolo gratuito il suo utilizzo fino ad un massimo di nove anni, rinnovabili per altri tre, dietro pagamento di un canone annuo pari a 300 euro.
ColtivaMi e Giardini Condivisi sono due dei progetti municipali in corso che promuovono la pratica dell’orto cittadino. Mentre ColtivaMi assegna gli spazi di proprietà comunale, Giardini Condivisi riqualifica a verde aree comunali degradate e attualmente inutilizzate grazie alla partecipazione delle associazioni di quartiere.
Coltivare gli orti in città diviene perciò l’opportunità di mitigare gli impatti dell’urbanizzazione e di accorciare e popolare la filiera dei prodotti stagionali naturali. L’orto urbano soddisfa anche il bisogno di confronto e scambio di conoscenze nonché di aggregazione multietnica. Tale opportunità e bisogno attiva, in ultimo, trasformazioni sociali quali la partecipazione collettiva, l’accesso al cibo, le abitudini di vita e di lavoro. Perciò l’orto rappresenta un elemento fondante di virtuosismo verso la metropoli agricola e l’economia circolare.
Da oggi la buona pratica degli orti urbani trova il suo acceleratore in un nuovo progetto chiamato Città d’Orti. Frutto del lavoro di LifeGate, SlowFood e Comart, Città d’Orti ha l’obiettivo di abbracciare il consenso delle aziende e facilitare il processo di accesso, generazione, formazione e mantenimento dell’orto cittadino per i suoi maggiori fruitori, i cittadini riuniti. Ciò per testimoniare e stimolare il senso di cittadinanza attiva, la consapevolezza di ciò che scegliamo sulle nostre tavole ed il legame tra uomo, natura e quindi agricoltura.
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