Smart city

Gli orti urbani potrebbero soddisfare il fabbisogno delle città, lo studio

A dirlo è una ricerca inglese che ha indagato il potenziale inespresso degli orti urbani utilizzando come caso studio la città di Sheffield.

È immaginabile una città che provveda alla produzione di gran parte del proprio fabbisogno di frutta e verdura, senza dipendere dai grandi circuiti produttivi internazionali? Sì, se ci fossero orti urbani a sufficienza. A dirlo è uno studio dell’Institute for Sustainable Food dell’Università di Sheffield, nel Regno Unito, pubblicato su Nature Food.

orti urbani
Uno studio inglese ha indagato il potenziale degli orti urbani ©Ingimage

Il potenziale nascosto degli orti urbani

Coltivare in città sembra un paradosso eppure le aree urbane hanno un alto potenziale per la produzione alimentare orticola: il problema sta nell’individuare degli spazi per praticarla e nell’integrarla in modo sostenibile nel tessuto urbano. Con questa premessa lo studio ha indagato la tematica attraverso un caso studio e ha dimostrato che ci sono sufficienti terreni disponibili all’orticoltura nelle città del Regno Unito per soddisfare il fabbisogno di frutta e verdura della popolazione.

Coltivare dal suolo ai tetti degli edifici

Gli studiosi hanno effettuato la stima prendendo come caso di studio la città di Sheffield: hanno mappato gli orti urbani esistenti, ma anche le aree verdi (parchi, giardini, orti, aiuole) con possibilità di realizzare coltivazioni e hanno calcolato che la disponibilità di spazi per orti urbani potrebbe aumentare dai 23 metri quadrati per abitante attualmente impiegati dalla coltivazioni commerciali a 98 metri quadrati e questo sarebbe sufficiente a nutrire con cinque porzioni al giorno di frutta e verdura 709mila abitanti, più della popolazione di Sheffield. Più realisticamente, se l’orticoltura fosse praticata almeno nel 10 per cento dei giardini domestici e nel 10 per cento della terra disponibile individuata, potrebbe alimentare per un anno il 15 per cento della popolazione di Sheffield. Lo studio ha anche indagato la possibilità di espandere la presenza degli orti urbani sui tetti della città e ha stimato che se almeno il 10 per cento dei tetti individuati ospitassero, per esempio, coltivazioni idroponiche di pomodoro, potrebbe essere soddisfatto il fabbisogno giornaliero per il 2 per cento degli abitanti per un anno.

coltivazione idroponica
Lo studio ha calcolato lo spazio disponibile in città per le coltivazioni considerando anche i tetti piani degli edifici ©Ingimage

Una sfida per il futuro

Per progettare orti urbani in grado di provvedere al fabbisogno cittadino di ortofrutta – come illustrato dagli scienziati – servono conoscenze agrarie, informatiche, ingegneristiche e architettoniche: si tratta infatti di pensare a un funzionamento sostenibile ed efficiente di questi sistemi, che per esempio dovrebbero sfruttare energia rinnovabile ed essere irrigati con acqua piovana, oltre ad essere connessi tra di loro per creare una rete di produzione. Una sfida sociale e culturale che non riguarda solo il Regno Unito, ma tutto il mondo, e che potrebbe inserirsi in quel Milan Urban Food Policy Pact firmato da 160 città nell’ottobre 2015 come eredità di Expo Milano e che impegna i centri urbani “a sviluppare sistemi alimentari sostenibili che siano inclusivi, resistenti, sicuri e diversi …” e ad agire per “promuovere e rafforzare la produzione alimentare urbana e periurbana”.

Gli orti urbani in Italia

Gli ultimi dati disponibili sugli orti urbani in Italia risalgono al 2015: secondo un’analisi di Coldiretti nelle città capoluogo italiane si contavano in quell’anno 3,3 milioni di metri quadri di terreno di proprietà comunale divisi in piccoli appezzamenti e adibiti alla coltivazione ad uso domestico, all’impianto di orti e al giardinaggio ricreativo. A questi andavano aggiunti altri spazi occupati forzatamente da gruppi spontanei con le tecniche di guerrilla gardening e un sempre più diffuso uso diverso di giardini e balconi delle abitazioni private adibiti a orti per la produzione alimentare “fai da te”.

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