
Ha dato il via ai concerti ad alta quota ben 28 anni fa distinguendosi sin dall’inizio per il rispetto delle terre alte. Sancito anche da un manifesto.
Nati tra il 1980 e la fine del 1994, i millennial sono la prima generazione della storia che in età adulta sa usare e conosce con dimestichezza il digitale, anche nella musica.
Millennial a parte, il dibattito sulle nuove generazioni non è certo una novità: la prima volta che si è sentito parlare di una generazione di giovani identificata sulla base di caratteristiche specifiche è stato negli anni Cinquanta del secolo scorso. All’epoca si parlava di baby boomer, i nati fra il 1945 e il 1964, ossia la generazione che nell’immediato dopo guerra ha contribuito all’aumento di domanda per i beni di consumo.
Dopo i baby boomer è arrivata la generazione X, quella dei nati tra il 1964 e la fine degli anni Settanta e oggi la definizione di sempre nuove categorie generazionali diversificate rispetto alle precedenti sembra non arrestarsi (la più recente in ordine di teorizzazione è quella degli xennial). Negli ultimi anni si è parlato soprattutto della cosiddetta generazione Y: conosciuta anche come millennial generation, generation next o net generation.
I millennial sono coloro che attualmente si trovano nella fascia d’età compresa fra i 15 e i 35 anni, i nati tra il 1980 e il 2000 (e leggendo queste date potresti stupirti di rientrare anche tu in questa generazione).
Sono stati teorizzati per la prima volta alla fine degli anni Ottanta dagli storici William Strauss e Neil Howe. Successivamente si sono spese parole certamente non incoraggianti su di loro: sono stati accusati di essere pigri, politicamente apatici, viziati, incapaci di impegnarsi e maledettamente dipendenti dal loro smartphone. Per esempio, un articolo apparso sul Time nel 2013, li descriveva talmente narcisisti e pieni di sé, da coniarne una nuova definizione: la Me me me Generation.
Certamente il lasso di tempo che circoscrive la generazione Y è troppo ampio per pensare che i millennial abbiano un’identità totalmente unificata. Ma nei vent’anni presi in considerazione vi sono stati problemi politici ed economici ampi e globali che hanno contribuito ad aggregare i giovani di tutto il mondo e di tutte le classi sociali ed economiche.
La principale caratteristica rimane comunque un’altra: se viene chiamata anche net generation un motivo c’è. E infatti è la prima generazione della storia che nella propria età adulta usa e conosce con dimestichezza la tecnologia e i codici della comunicazione digitale.
Ciò che accomuna una fetta così ampia di popolazione è, quindi, l’uso avanzato degli strumenti digitali che devono essere sempre connessi alla rete. I millennial sono always on, grazie ai dispositivi mobili connessi da mattina fino a notte (e infatti rappresentano il 55 per cento degli utenti online in Italia tra mezzogiorno e le 21:00).
Internet è utilizzato per fare qualsiasi cosa: inviare e ricevere email, consultare motori di ricerca, passare per i siti editoriali e stare sui social network (per cui vi è una predilezione), ma soprattutto per guardare video, ottenere informazioni utili per la propria educazione e il lavoro, giocare online, ascoltare musica, inviare messaggi e come luogo di ritrovo con la propria cerchia di amici.
Insomma, tutta la vita di un millennial (studio, lavoro, tempo libero, acquisti, relazioni) passa da internet.
Questo aspetto simbiotico con la rete è la caratteristica generalmente più criticata dalle generazioni precedenti: spesso si pensa che l’uso della rete non sia abbastanza consapevole e che possa portare ad un distaccamento dalla realtà. Esistono molti studi che dimostrano comportamenti a rischio per i giovani derivanti da un uso scorretto soprattutto dei social media, Facebook in particolare.
Si parla così tanto male dei millennial che sono loro stessi ad avere un’immagine di sé molto più negativa rispetto alle generazioni che li hanno preceduti. Uno studio del Pew research center ha dimostrato che il 59 per cento degli appartenenti alla generazione Y si definisce egocentrico e fannullone, rispetto a circa il 30 per cento dei gen X e il 20 per cento dei baby boomer disposti ad attribuire questi termini alla propria generazione.
Una sorta di profezia che si autoavvera, si potrebbe dire. Ma vi sono caratteristiche molto più positive che andrebbero prese in considerazione quando si parla di loro.
Per esempio, secondo una ricerca di Yahoo advertising su dati Nielsen, i millennial sono la prima generazione veramente globale e, dunque, la più multietnica, multilinguistica e transculturale della storia. A questo si aggiunge un certo attivismo sociale: negli Stati Uniti il 73 per cento di loro ha fatto volontariato nella comunità di riferimento.
Contrariamente a quanto si pensa, sono molto interessati a quello che avviene nel mondo esterno: semplicemente sono meno interessati ai vecchi sistemi di consegna (stampa, radio, tv). L’81 per cento di loro è online quotidianamente proprio per ricercare notizie mediante un nuovo sistema che soddisfi il loro comportamento, le loro esigenze, la loro personalità.
I millennial sono collaboratori di natura, anche sul lavoro: non sono competitivi e hanno un’etica sociale forte. Possiedono una sensibilità ecologica profonda: secondo una ricerca pubblicata nel 2014, il 26 per cento dei millennial europei dichiara che l’ambiente è uno dei maggiori problemi per il futuro e, in particolare, lo sono i cambiamenti climatici.
Ancora, utilizzano internet anche per i propri acquisti, ma ciò non vuol dire che non ci siano più esperienze di acquisto offline. Significa piuttosto che i millennial hanno un ruolo più attivo nel processo d’acquisto grazie alla mole di informazioni a cui hanno accesso.
Per finire, i millennial sposano appieno l’economia collaborativa (o sharing economy) come nuova filosofia di consumo: le case non sono più di proprietà ma in affitto e condivise, si viaggia insieme grazie a servizi di car sharing, si usano biciclette pubbliche (bike sharing), si lavora in spazi condivisi (co-working), si finanziano i propri progetti con la colletta virtuale (crowdfunding) e i film si guardano rigorosamente in streaming.
Possedere non è più necessariamente un valore, ma lo è l’usufruire, caratteristica da un lato resa possibile dal rapporto con l’uso di internet sempre e ovunque e, dall’altro, resa necessaria dall’epoca della più grave crisi economica dopo la Depressione degli anni Trenta.
Inutile a questo punto dire che il supporto per eccellenza dell’ascolto di musica per i millennial è quello digitale: prima è arrivato l’iPod (o gli altri lettori mp3) ma ora è lo smartphone a farla da padrone. Anche la musica si ascolta in streaming on demand grazie a servizi come Spotify, Deezer, Apple Music, Tidal, Prime Music & co.
Non solo la musica si ascolta online, ma sempre online si scoprono le novità. In questo YouTube per la prima volta supera la radio e tra i millennial è un testa a testa fra la piattaforma video e la propria cerchia di amici quando si tratta di “consigli musicali”.
I confini dei generi musicali (tanto esaltati nei decenni precedenti) sono saltati da anni, ma questa volta non grazie all’eterogeneità degli artisti e delle proposte musicali o al crossover musicale, bensì del pubblico stesso e del modo di fruizione.
Secondo un sondaggio della società di ricerche Ypulse, la musica è ancora importantissima per i giovani (l’80 per cento degli intervistati ha ammesso che la musica è una parte importante della propria vita), ma diventa globale anch’essa: si è “interessati a così tanti generi e artisti” che solo l’11 per cento ammette di ascoltare un solo tipo di musica.
Insomma, la musica è sempre più una questione di appartenenza e sempre meno affermazione di sé in contrapposizione ai propri genitori. Questo è dimostrato anche dall’ascesa negli ultimi anni di numerosi concerti-evento e festival musicali (Coachella, SXSW, Bonnaroo, Tomorrowland ecc.) che diventano soprattutto occasioni per forgiare legami e in cui la ricerca di esperienza a diversi livelli (non solo musicale) è più forte della voglia di vicinanza ai propri miti musicali.
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