
Mentre Shein sta concentrando i suoi sforzi per modificare il percepito del brand, nuove inquietanti accuse arrivano dagli Stati Uniti.
Le aziende di moda sostenibile devono lavorare sull’integrazione di etica, estetica ed innovazione. Parole chiave come tracciabilità, circolarità e consumo collaborativo iniziano a scuotere il settore, in positivo.
La moda sostenibile è diventata di interesse comune principalmente in seguito al terribile disastro del Rana Plaza del 24 aprile 2013, in Bangladesh, e alle diverse notizie di sfruttamento dei lavoratori nelle fabbriche che continuano a rappresentare un campanello d’allarme per l’industria della moda. Nella maggior parte delle discussioni su questo tema mancano però ancora competenze adeguate e un linguaggio condiviso.
[vimeo url=”https://vimeo.com/125952936″]
La moda è uno dei settori più rilevanti nel panorama economico mondiale. Purtroppo è anche uno dei settori più inquinanti, con pesanti impatti sociali e ambientali dovuti a lavoro minorile e condizioni di lavoro rischiose, emissione di sostanze inquinanti, consumo di acqua ed energia.
Le imprese responsabili del settore moda si pongono l’obiettivo di integrare etica, estetica ed innovazione responsabile lungo la catena del valore, in ogni attività, dall’approvvigionamento delle materie prime ai servizi offerti dopo la vendita del prodotto.
L’innovazione responsabile viene definita come l’innovazione – legata al prodotto, al servizio o in modo più completo al modello di business – che permette di ridurre l’impatto dei processi aziendali sull’ambiente e di creare un equilibrio migliore con tutte le persone coinvolte nelle attività aziendali.
I modelli di business innovativi ridefiniscono il ruolo dei consumatori, che diventano più attivi rispetto al passato, riportando ad esempio in negozio il prodotto a fine uso affinché sia riciclato o valorizzato per dar vita ad un nuovo capo.
I principali fattori che attivano e promuovono il cambiamento verso una moda più sostenibile possono essere individuati nella tracciabilità di filiera, nell’approccio circolare e nell’economia collaborativa.
La tracciabilità delle filiere consente alle imprese di monitorare i materiali e i prodotti e le condizioni in cui sono stati realizzati e trasformati attraverso l’intera catena del valore. Una partnership di filiera d’eccellenza è ad esempio quella tra le due aziende italiane Dondup e Candiani Denim, nata per realizzare il jeans sostenibile D/Zero fatto in Italia. Dondup ha scelto Candiani Denim, azienda riconosciuta per essere “the greenest mill in the blue world”, come fornitore esclusivo di un innovativo ingrediente sostenibile, che consente una riduzione importante dell’impatto ambientale. In particolare dimezzamento dell’utilizzo di acqua per la produzione del tessuto; meno 70 per cento circa di utilizzo di prodotti chimici per la produzione del tessuto; meno 75 per cento, di media, di utilizzo di acqua per i lavaggi utilizzati; meno 20 per cento, di media, di utilizzo di prodotti chimici per i lavaggi utilizzati.
Il modello dominante nell’attuale produzione industriale viene definito “dalla culla alla tomba” essendo un processo lineare e unidirezionale in cui le risorse vengono estratte dal pianeta ed entrano nel ciclo di produzione di un bene che viene venduto, utilizzato ed eliminato a fine vita, depositandolo in quella che potrebbe essere definita una “tomba”, generalmente un cumulo di spazzatura o un inceneritore.
I progetti e le certificazioni “dalla culla alla culla” mirano a creare un ciclo chiuso che non si conclude con l’eliminazione del prodotto, ma lo rigenera trasformandolo in un fattore nutriente immesso nuovamente nel ciclo biologico o tecnico senza alcuno spreco di energia o materiali.
Leggi anche: Orange Fiber, il tessuto ricavato dagli scarti degli agrumi
Come casi esemplari si possono citare diverse collaborazioni aziendali e alcuni marchi emergenti che applicano l’approccio circolare al settore moda.
Salvatore Ferragamo e Orange Fiber hanno realizzato ad esempio la prima collezione con tessuti ricavati dai sottoprodotti della spremitura delle arance. Stella McCartney ha scelto i filati di poliammide rigenerata Econyl come materiale per il rivestimento interno di tutte le borse Falabella e per i capispalla.
Leggi anche: Ferragamo e Orange Fiber, per una collezione all’insegna del Mediterraneo
Wrad propone la maglietta Graphi-tee come primo passo verso l’implementazione delle dinamiche dell’economia circolare nella moda. Risultato di tre anni di ricerca e sviluppo, il capo viene tinto o stampato valorizzando la polvere di grafite, prodotto di scarto non tossico di specifiche industrie tecnologiche.
Leggi anche: Carvico, l’azienda italiana che recupera le reti da pesca per farne tessuti
Infine Progetto Quid è un’impresa sociale che offre un’opportunità di lavoro sicuro a persone vulnerabili – soprattutto donne – che hanno combattuto e superato situazioni difficili a livello personale o sociale, coinvolgendole nella produzione di capi di moda etica.
Molte aziende hanno applicato la logica dell’economia collaborativa alla moda, avviando il fenomeno definito Collaborative fashion consumption (Cfc), che consiste nella valorizzazione di nuovi modelli di consumo basati sulla condivisione, esattamente come il car sharing o il bike sharing nella mobilità sostenibile.
Cfc promuove un modello di fruizione della moda in cui i consumatori, invece di acquistare capi di abbigliamento, hanno accesso a capi già esistenti mediante opportunità alternative per l’acquisizione della proprietà personale (donazione, scambio, seconda mano) o attraverso opzioni di utilizzo di articoli di proprietà altrui (condivisione, prestito, affitto o noleggio).
A livello globale stanno crescendo realtà come la statunitense Rent the Runway, per il noleggio di indumenti, abiti e accessori o Vestiaire Collective, il marketplace online nato in Francia nel 2009 come sito di social shopping per la compravendita di articoli di moda di seconda mano.
La sostenibilità nella moda non si limita agli abiti realizzati in bambù e canapa. E non si tratta solo di avere una coscienza sociale. Il grande potenziale della moda sostenibile consiste nella capacità di integrare etica, estetica ed innovazione in tutte le attività della catena del valore: la presenza di numerose startup nate con questo dna ci fa ben sperare in un futuro migliore per la moda.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Mentre Shein sta concentrando i suoi sforzi per modificare il percepito del brand, nuove inquietanti accuse arrivano dagli Stati Uniti.
Endelea è un brand che disegna e produce abbigliamento a cavallo tra Italia e Tanzania, creando valore per la comunità e rispettando l’ambiente.
A dieci anni dalla tragedia del Rana Plaza, l’industria della moda ha fatto passi avanti, ma continua la pressione per una filiera migliore.
Fibre riciclate: perché sono un bene per il pianeta e perché c’è ancora molto da fare
La moda è discriminatoria nei confronti degli anziani, che difficilmente vengono rappresentati. La battaglia dell’inclusività dovrebbe contrastare l’ageism
La viscosa è un materiale molto simile al poliestere, ma ricavato dalla cellulosa e per questo presentato come alternativa green. La realtà però è diversa.
Colmar ha ottenuto la validazione del claim etico da parte di Bureau Veritas aderendo all’iniziativa di dynamic discounting di FinDynamic.
Comprare meno, comprare meglio. Ecco nove brand per la nostra selezione mensile di marchi eco-conscious e rispettosi delle condizioni dei lavoratori
Appassionarsi a nuovi trend e rifarsi il guardaroba stagionalmente può anche essere divertente, ma che impatto ha sull’ambiente?