Impatto sociale

Società benefit, B Corp e imprese sociali. Come funzionano le aziende che fanno bene alla società

Al di là del profitto, alcune aziende hanno deciso di fare qualcosa per la società. Sono società benefit (benefit corporation), B Corp e imprese sociali.

Qualsiasi azienda privata, senza alcuna eccezione, lavora per aumentare i propri profitti. Ma esistono anche aziende molto particolari, che non rinunciano ai profitti ma si danno una missione in più: fare qualcosa di buono per la società e per il Pianeta. Ne esistono di tre tipi: le benefit corporation (società benefit), le B Corp e le imprese sociali.

Cos’è una benefit corporation, o società benefit

Le benefit corporation sono una realtà molto giovane. È stato il Maryland, negli Stati Uniti, il primo paese a introdurre ufficialmente questa definizione, nel 2010. Ad oggi, sono 35 gli stati americani che hanno adottato una legislazione specifica in materia. E da poco si è aggiunta l’Italia. Anche LifeGate, infatti, ha deciso di esserlo.

Di cosa stiamo parlando, nel concreto?

Per società benefit si intendono quelle aziende che sviluppano attività economiche che hanno effetti positivi sull’ambiente, sul territorio, sulle persone, sulla comunità. Tutto questo, guadagnando: cosa che le distingue in modo netto dalle no profit.

Le benefit corporation inseriscono nello statuto l'impatto sociale
Le società benefit possono operare in qualsiasi settore. L’importante è che, nello statuto, inseriscano l’impatto sociale. Foto © Geber86 / Getty Images

Cosa prevede la legge italiana

L’Italia si è dimostrata reattiva e all’avanguardia: è infatti il primo stato, al di fuori degli Stati Uniti, a mettere nero su bianco cosa si intende per benefit corporation. La novità risale all’inizio del 2015, quando è entrata in vigore una norma inserita nella legge di stabilità (legge 28 dicembre 2015, n. 208). Le società benefit, vi si legge, sono quelle che “nell’esercizio di una attività economica, oltre allo scopo di dividerne gli utili, perseguono una o più finalità di beneficio comune e operano in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interesse”. Conseguire questo status non dà diritto a particolari incentivi economici o sgravi fiscali.

Le finalità di beneficio comune

Le finalità di beneficio comune devono essere inserite a pieno titolo nell’oggetto sociale mediante un atto stipulato dal notaio. Questo passaggio è necessario per proteggerle anche in caso di grosse evoluzioni future, come un passaggio di proprietà, un cambio di leadership o la quotazione in Borsa. Rispetto alla vision e alla mission, sono più vincolanti perché i soci si assumono la responsabilità di perseguirle, fissando una serie di attività a cadenza annuale e una serie di obiettivi da misurare nel corso del tempo. In questo percorso bisogna bilanciare di volta in volta l’interesse dei soci con quello di tutte le altre persone e realtà che sono coinvolte, più o meno direttamente.

La relazione d’impatto

Ogni anno le benefit corporation devono rendere conto di quello che hanno fatto per il bene comune, tramite una relazione da allegare al bilancio e pubblicare sul sito internet. Affidandosi allo standard di valutazione esterno (Bia) imposto dalla legge, devono chiarire quali obiettivi si erano poste, cos’hanno fatto per raggiungerli (ed, eventualmente, perché non ci sono riuscite) e cosa hanno in programma per l’anno successivo.

Le responsabilità

Gli amministratori dell’azienda hanno il compito di trovare il giusto equilibrio tra le finalità di beneficio comune e gli interessi dei soci. Bisogna stabilire un responsabile d’impatto, cioè una figura che guida tutte queste attività, coinvolge le varie funzioni aziendali, raccoglie i dati di contesto e assicura la trasparenza. Ciò non significa però che possa essergli delegata in toto la stesura della relazione, perché quest’ultima è compito dell’amministrazione nel suo insieme.

Benefit to be, il servizio di LifeGate Way per le aspiranti società benefit 

Prima dello scoppio della pandemia, le società benefit in Italia erano circa 500. Nel 2023, stando ai dati più recenti a disposizione, sono 1.922, di cui 976 nel settore dei servizi, 254 manifatturiere e 169 in ambito commerciale.  

Quasi tutte – il 97 per cento, per la precisione – non sono nate come società benefit ma lo sono diventate nel tempo, scegliendo di modificare il proprio statuto e la propria organizzazione. Un passaggio, questo, tutt’altro che banale. Perché, oltre alle formalità burocratiche e legali, impone di definire uno scopo di beneficio comune, mettere nero su bianco gli obiettivi specifici che si vogliono raggiungere e anche rendicontare ogni anno il loro stato di avanzamento, attraverso una relazione di impatto obbligatoria.  

Per questo LifeGate Way, il polo di open innovation del gruppo LifeGate, ha introdotto un nuovo servizio per le startup e piccole e medie imprese che vogliono trasformarsi in società benefit. Si chiama Benefit to be ed è un percorso di accompagnamento e consulenza personalizzata, svolto in collaborazione con lo studio legale Uno Quattro.  

Il percorso può durare da uno a due anni, a seconda delle esigenze e dei servizi scelti. Al termine di questo periodo, la startup avrà identificato la sua finalità di beneficio comune (sociale o ambientale), gli obiettivi da raggiungere nel breve e lungo termine e come rendicontarli in modo corretto e trasparente.   

B Corp, un movimento di migliaia di aziende responsabili

A prima vista, si potrà pensare che B Corp altro non sia che un sinonimo di benefit corporation. In realtà sono due cose ben diverse. Una B Corp è una società, con qualsiasi forma giuridica, che ottiene una certificazione rilasciata da B-Lab, un ente no profit statunitense. Si tratta di una misura totalmente volontaria. L’azienda compila il questionario del Benefit impact assessment e B Lab assegna un punteggio alle sue politiche ambientali e sociali. Se raggiunge la sufficienza, arriva il titolo di B Corp.

Benefit corporation e B Corp non sono la stessa cosa

Da un lato abbiamo quindi una forma giuridica, dall’altro lato una certificazione volontaria. Una benefit corporation può essere anche una B Corp e viceversa, ma le due cose sono indipendenti l’una dall’altra. Per andare ad appianare questa differenza, è previsto che le B Corp certificate si trasformino in benefit corporation nell’arco di 2-4 anni, se hanno sede in un paese dotato di una legislazione specifica.

Quante B Corp ci sono in Italia e nel mondo

Dal 2007 in poi, oltre 4mila aziende in 85 paesi hanno scelto di certificarsi come B Corp. Mettendole insieme, si arriva a oltre 450mila dipendenti e 103 miliardi di dollari di fatturato. In Italia ce ne sono 120, con oltre 13mila dipendenti e 7,5 miliardi di euro di fatturato; la regione che ne ospita di più è la Lombardia, seguita da Veneto, Emilia-Romagna e Piemonte. Nel Mezzogiorno la loro presenza è ancora sporadica. Nel nostro Paese, a cogliere quest’opportunità sono state soprattutto industrie alimentari e manifatturiere, società di servizi e media.

Come si ottiene la certificazione B Corp

Tutto quindi comincia con la compilazione del questionario online, le cui domande vertono su cinque aree (governance, dipendenti, comunità, ambiente, clienti), più una parte aggiuntiva sulla trasparenza. Se supera la soglia minima degli 80 punti su una scala da 0 a 200, l’azienda può fare domanda per la certificazione. A quel punto B Lab effettua un audit per accertarsi del fatto che le risposte siano veritiere, suggerire eventuali miglioramenti e, alla fine, assegnare un punteggio definitivo e la relativa certificazione di durata triennale. Questo sistema è a pagamento. Oltre a una fee iniziale di 250 euro per inviare il questionario, è prevista una tariffa annuale che varia sulla base del fatturato.

Imprese sociali, cosa sono e cosa prevede la normativa

Infine ci sono le imprese sociali, regolate dal decreto legislativo n. 112 del 3 luglio 2017. Si tratta di enti privati, società, associazioni e fondazioni che “esercitano in via stabile e principale un’attività d’impresa di interesse generale, senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, adottando modalità di gestione responsabili e trasparenti e favorendo il più ampio coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti e di altri soggetti interessati alla loro attività”.

L’assenza di scopo di lucro fa sì che non si possano distribuire gli utili e gli avanzi di gestione, se non in forma molto limitata e rispettando una serie di requisiti. Questa è la prima, fondamentale differenza rispetto a benefit corporation e B Corp che invece fanno profitti, staccano dividendi agli azionisti (se quotate) e così via.

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Le imprese sociali si occupano di alcune attività definite, come l’educazione e la formazione professionale © Neonbrand/Unsplash

Quali società possono diventare imprese sociali

Questa qualifica spetta di diritto alle cooperative sociali e ai loro consorzi. Può essere acquisita anche da associazioni, fondazioni e comitati, oltre che dalle società di persone e capitali (purché non siano costituite da un’unica persona fisica). Anche gli enti religiosi la possono adottare, ma solo se si occupano delle attività definite dalla legge e lo attestano con un atto pubblico o una scrittura privata autenticata.

Imprese sociali, i settori

Qualsiasi azienda, dalla torrefazione di caffè all’agenzia pubblicitaria, può avviare l’iter per diventare benefit corporation o B Corp. Al contrario, le imprese sociali operano soltanto in alcuni specifici settori, come per esempio i servizi sociali, l’educazione, le prestazioni socio-sanitarie, la tutela dell’ambiente, le attività culturali, artistiche o ricreative di interesse sociale, la cooperazione allo sviluppo, il commercio equo e solidale, l’housing sociale. Insomma, attività che sono per natura funzionali al benessere comune.

 

Articolo pubblicato il 10 gennaio 2017, aggiornato il 18 giugno 2021, il 31 agosto 2022 e il 6 giugno 2023.

 

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