Emergency

Come l’apertura di un centro di maternità ha cambiato la vita delle donne afgane

Emergency ha aperto un centro di maternità in Afghanistan segnando un cambiamento radicale nella vita delle donne. Una storia di come il diritto alla cura e alla formazione siano strumenti fondamentali di empowerment femminile.

Nel 2003, in Afghanistan, Emergency ha aperto ad Anabah un centro dedicato alla maternità, nel Panshir, una zona rurale del Paese asiatico. Un centro che offre assistenza ginecologica, ostetrica e neonatale, in un Paese piegato da 41 anni di guerra dove il sistema sanitario nazionale è fortemente compromesso e la popolazione – in particolar modo le fasce vulnerabili, quali donne e bambini – non ha accesso a cure gratuite e di qualità. Basti pensare che il tasso di mortalità femminile è più alto del 50 per cento rispetto a quella maschile e un bambino su 18 muore prima di compiere cinque anni. Con il rapporto Una rivoluzione silenziosa, Emergency presenta un bilancio sul lavoro svolto nel centro di maternità e sull’impatto che questo ha avuto nella vita delle donne afgane, sia in qualità di pazienti che di personale medico. Ne parliamo con Raffaela Baiocchi, ginecologa di Emergency al centro di maternità di Anabah che ci racconta come è avvenuto questo processo di empowerment femminile legato al diritto alla cura e alla formazione.

emergency, centro di maternità di Anabah
Le donne del centro di maternità di Anabah © Carlotta Marucci/Emergency

Il centro di maternità Emergency ad Anabah, nella valle del Panshir, è stato aperto nel 2003 ed è tuttora l’unica struttura specializzata e gratuita presente nella zona. Com’è nata l’idea di aprire questo centro?
Nella fase “post-conflitto” della guerra, chi muore maggiormente sono le donne e i bambini. Questo perché entra in difficoltà anche il sistema sanitario e i soggetti più deboli sono lasciati a loro stessi. Nel 2003, la provincia del Panshir non aveva conflitti attivi, ma rimaneva l’eredità di una guerra precedente che aveva stremato la popolazione e aveva fortemente indebolito un sistema sanitario già precario. A questo si aggiungeva che, per ragioni ideologiche, l’epoca talebana aveva eliminato sia le strutture dedicate alle cure neonatali sia lo staff femminile specializzato in cure ostetriche. Erano anni – e tuttora è così – in cui la gravidanza e il parto facevano più morti delle armi. Per questo Emergency ha interpretato i bisogni reali della popolazione e ha aperto il Centro di maternità di Anabah. All’inizio, l’affluenza delle donne al centro era piuttosto modesta: la gravidanza, specie nelle aree rurali, è sempre stata una questione “di famiglia”, gestita in casa con il supporto, al massimo, di qualche parente o vicina con esperienza. E l’alternativa di lasciare le donne “in mano” ad estranei, specie nel nostro caso, a personale in parte straniero, non era vista di buon occhio. Ma già nei primissimi anni, grazie alle modalità di assistenza estremamente rispettose della cultura locale e agli ottimi risultati clinici, le donne sono arrivate sempre più numerose. Nel 2003 abbiamo assistito a poco più di cento parti, ma già dopo tre anni, nel 2006, erano più di mille. Oggi, in media, assistiamo a venti parti al giorno e per la fine dell’anno dovremmo arrivare intorno ai 7.500.

L’Afghanistan registra un elevato tasso di mortalità materna, tanto che la gravidanza e il parto sono una delle principali cause di morte tra le donne – una donna su 14 muore per questi motivi. Lavora nel centro maternità Emergency di Anabah da più di dieci anni, è possibile delineare le principali cause che sono alla base di questi dati?
Le cause sono molteplici e complesse, ma se dovessimo riassumerle parlerei della serie dei “troppo”. Le donne hanno “troppe” gravidanze: non è raro che, tra gravidanze portate a termine e aborti, ognuna ne abbia avute più di dieci. “Troppo” ravvicinate: iniziano “troppo” presto ad avere figli, anche prima dei 18 anni di età e finiscono “troppo” tardi, vicino all’età della menopausa. Tutto questo le debilita, consuma le riserve energetiche e crea disfunzioni all’apparato riproduttivo, sottoposto a stress eccessivo. Vediamo tante complicazioni della gravidanza e problemi al parto che in Occidente leggiamo solo sui libri. Inoltre, arrivano spesso in ospedale troppo” tardi: a fine gravidanza o in travaglio. In questo modo, diventa molto difficile fare prevenzione e trattare in tempo condizioni patologiche che potrebbero sfociare in gravi complicanze sia per la madre che per il bambino. Infatti, la morte in utero, così come l’elevata morte neonatale, sono in buona parte la conseguenza di questi stessi fattori.

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Una mamma al centro di maternità di Anabah © Carlotta Marucci/Emergency

Nell’arco di questi anni ha potuto constatare un cambiamento nell’approccio che le donne afgane hanno con la maternità e con l’intero periodo della gravidanza?
Senz’altro c’è una maggiore consapevolezza: una buona assistenza sanitaria, sia prima che durante il parto, può cambiare le cose in meglio. Sempre più donne vengono a fare visite prenatali con regolarità: le più assidue e puntuali sono soprattutto le donne a cui è stato diagnosticato un problema, anche quelle provenienti da lontano e per le quali la distanza e i costi di trasporto potrebbero essere un deterrente. La maternità intesa come capacità di generare figli è sempre il fulcro attorno a cui ruotano vita e aspettative della maggior parte delle donne afgane. E di questo è consapevole anche “il mercato” che, nell’ansia procreativa delle coppie, ha trovato margini fiorenti di profitto. Da qualche anno, riceviamo sempre più frequentemente donne con complicazioni derivanti da un uso inappropriato di farmaci – dagli ormoni per stimolare la fertilità all’ossitocina – e tecnologie sanitarie, a partire dall’induzione del travaglio al taglio cesareo, a cui si accede facilmente dietro pagamento e su semplice richiesta, senza il filtro della valutazione professionale da parte di uno specialista.

Oggi, il centro di maternità Emergency ad Anabah è un ospedale gestito dalle donne, per le donne. Lei ha potuto vedere da vicino il processo che, in questi anni, ha trasformato la struttura di Emergency in un luogo di formazione e crescita professionale per le stesse donne afgane. Quali sono stati i principali cambiamenti che ha potuto riscontrare nel rapporto che le donne hanno con il mondo del lavoro?
Dalla mia prima missione, nel 2007, la situazione è profondamente cambiata: all’epoca era difficilissimo trovare personale qualificato. Ci si “accontentava” di assumere ragazze con buona volontà, un’infarinatura di lingua inglese e, soprattutto, il permesso di venire a lavorare in ospedale, specie di notte. Negli anni, la situazione si è ribaltata: ormai assumiamo solo ragazze diplomate e le famiglie si oppongono molto raramente. Il lavoro non è solo una fonte di reddito: la crescita professionale e il riscontro nei risultati clinici sono una motivazione molto forte per il nostro staff. La possibilità di proseguire nel lavoro, inoltre, è una delle questioni più rilevanti nelle trattative prematrimoniali. La maggior parte delle ragazze che lavorano nel nostro centro continua a farlo anche dopo il matrimonio, al contrario di quanto avveniva all’inizio, quando il matrimonio spesso era sinonimo di dimissioni. Le donne che lavorano con noi sono un punto di riferimento per la famiglia e la comunità di provenienza, specie se in aree rurali: una fonte cruciale di sostentamento per la prima e un esempio che genera emulazione per la seconda. Il risultato è che sempre più ragazze possono studiare e ambire, attraverso il proprio lavoro e la conseguente indipendenza economica, ad avere un ruolo decisionista nel proprio nucleo familiare, al pari degli altri membri.

Il reparto maternità al centro di Anabah, Afghanistan © Carlotta Marucci/Emergency
Il reparto maternità al centro di Anabah, Afghanistan © Carlotta Marucci/Emergency

Per far fronte alla crescente domanda della popolazione, nel 2016 Emergency ha deciso di ampliare il centro di maternità, con nuove sale parto, una terapia intensiva e due sale operatorie. Quali sono le prospettive future del centro?
Il centro è un posto dove le donne salvano le donne. E non solo fisicamente, attraverso una medicina d’eccellenza. Salvano la loro dignità, la loro centralità, il ruolo sociale. Ne salvano la dignità perché le cure offerte sono di alta qualità: ciò che offriamo non è solo competenza ma anche gentilezza ed empatia, soprattutto nei confronti dei pazienti che si trovano in maggiore difficoltà. Lo staff femminile salva la centralità della donna perché la struttura nella quale viene curata è bellissima, efficiente, pulita ed è dedicata esclusivamente a lei e ai suoi neonati. Anche il ruolo sociale della donna è preservato perché le cure sono gestite esclusivamente da personale femminile.

È a loro che i mariti, i padri e i fratelli affidano le proprie mogli, figlie e sorelle. Sono le nostre donne che spiegano, propongono terapie, danno buone e cattive notizie agli uomini che attendono fuori. Nonostante le cose non vadano sempre come tutti spereremmo, è rarissimo avere reazioni aggressive o contestazioni. Questo, invece, succede spesso in altri ospedali. È il segno di una grande fiducia e un profondo rispetto per il nostro lavoro. Quello che vedo, e spero, in prospettiva è che Emergency superi il confine delle proprie mura e venga riconosciuta come un modello riproducibile, sostenibile ed efficace a cui ispirare la riorganizzazione delle strutture sanitarie circostanti, a iniziare proprio dalle maternità. Questo, a mio avviso, il servizio più grande da rendere al genere femminile di questo Paese: elevare la qualità delle cure per quante più donne possibili, attraverso la formazione di una nuova generazione di operatrici sanitarie per le quali il lavoro al servizio delle altre donne sia una delle espressioni della propria realizzazione personale.

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