Chi sono gli italiani di Ocean Cleanup, la macchina che pulisce gli oceani dalla plastica

Una conversazione con i due italiani che lavorano per Ocean Cleanup, la visionaria quanto concreta organizzazione di Boyan Slat che ripulisce gli oceani dalla plastica.

Probabilmente il progetto più grande e avveniristico che sia stato messo in atto fino ad oggi per ripulire gli oceani dalla plastica è Ocean Cleanup, frutto della mente visionaria e della determinazione di Boyan Slat, imprenditore olandese, classe 1994, che ha saputo perseverare nella realizzazione di un obiettivo ambizioso, con quella voglia di cambiare il mondo e quel volerci credere tipico di chi è giovane. A settembre è stata messa in opera la prima versione di un meccanismo scalabile, chiamato System 001, per ripulire la plastica dall’oceano. L’obiettivo è, stimando una flotta di 60 di questi sistemi, dimezzare in cinque anni il Pacific trash vortex, un’enorme zuppa di plastica accumulatasi nell’oceano Pacifico. Dopo i risultati positivi ottenuti per i test a fine settembre, il rimorchio ha trasportato Ocean Cleanup a destinazione, circa 2.200 chilometri al largo della costa nordamericana.

Leggi: Vai Ocean Cleanup! È finalmente partita la macchina che pulirà gli oceani

System 001 lascia San Francisco, California, l'8 settembre 2018 © Pierre Augier/The Ocean Cleanup
System 001 lascia San Francisco, California, l’8 settembre 2018 © Pierre Augier/The Ocean Cleanup

Boyan non ha fatto tutto da solo. Nel team multidisciplinare e multiculturale che oggi è composto da più di 80 persone, ci sono anche due italiani, l’ingegnere Roberto Brambini e il biologo marino Francesco Ferrari. Proprio quest’ultimo ha evidenziato che come Roma non è stata costruita in un giorno, così Ocean Cleanup ha avuto un’evoluzione importante. Da organizzazione principalmente fatta di volontari, è cresciuta grazie all’apporto di professionalità diverse. Ma lo spirito di ottimismo non è cambiato.

5 anni di sfide continue

Soprattutto all’inizio, in una startup dalle ambizioni enormi quale Ocean Cleanup, in cui l’idea genera tante domande e poche risposte, il dubbio e l’ottimismo si alternavano come giorno e notte, racconta Ferrari. “Ogni giorno c’è una sfida nuova alla quale sai di dover trovare una soluzione. A volte la risposta arriva alle 4 del mattino grazie al confronto con un collega che ha un background differente che ti permette di pensare out of the box, di affrontare il problema da un altro punto di vista”. E aggiunge: “Ci sono stati alti e bassi ma non ho mai dubitato del fatto che il sistema potesse essere realizzato. Più che altro pensi a quanta energia e quanto tempo dovranno essere impiegati per arrivare all’obiettivo”. Fino al momento cruciale, quello del lancio: “Il 16 settembre poi, quando abbiamo messo in acqua il sistema, allora sì abbiamo capito che Ocean Cleanup era finalmente realtà”.


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Five years ago, cleaning the oceans was an idea deemed impossible. This year, we will launch the world’s first operational ocean cleanup system.

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Il fatto di non avere alcun riferimento precedente ha reso le cose più difficili: questo progetto si basa su un concetto così innovativo che non c’erano linee guida da seguire. Quello che sicuramente ha fatto in modo che tutto decollasse, spiega Brambini, è stato l’aumento della consapevolezza del grande pubblico, dei governi e delle organizzazioni internazionali sul tema dell’inquinamento da plastica nei mari e il supporto economico che ne è derivato. “Sono contento perché se c’è stata questa crescita è anche grazie a The Ocean Cleanup”, ammette Brambini.

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Preoccupazioni per l’impatto sull’ambiente marino

Il team multidisciplinare ha lavorato moltissimo prima con modelli teorici poi con sistemi di prova in laboratorio e in mare per realizzare un sistema che avesse il minimo impatto sulla vita marina e che non costituisse un pericolo in fase di galleggiamento, grazie al design di un unico elemento continuo che impedisce alla fauna marina di impigliarsi, né in fase di raccolta dei rifiuti, grazie alla presenza di operatori sul posto durante il processo.

Ovviamente è all’atto pratico che si scoprono i problemi. Ora che il sistema è stato implementato con successo, si guarda al futuro e ogni aspetto sarà studiato a fondo, così da farlo evolvere nel migliore dei modi. Ferrari spiega che saranno rilevate informazioni per quel che riguarda la struttura tecnica, così da migliorarne il design, ma sarà anche studiato l’ecosistema marino e l’impatto che System 001 ha su di esso, così da minimizzarlo. Ad esempio vengono rilevati l’accumulo di microplancton e l’aggregazione della fauna marina intorno al sistema, in particolare viene effettuato un monitoraggio visivo e acustico dell’attività di specifiche classi di animali (mammiferi, squali, tartarughe e uccelli marini). La presenza di System 001 in un luogo tanto remoto offrirà un’occasione anche per rilevare dati oceanografici come correnti, venti e onde e per conoscere meglio l’oceano.

Il segreto del successo? Le risorse umane

A regime il sistema è progettato per operare senza uomini sul posto ed essere monitorato dalla sede di Rotterdam, nei Paesi Bassi, ma la raccolta dei detriti sarà realizzata da operatori che raggiungeranno il Pacific trash vortex con una barca e torneranno a terra a pieno carico, così da assicurarsi che il processo si svolga senza intoppi e non venga compromessa la fauna. Tra i compiti di Ferrari, che è biologo marino, c’è proprio quello di garantire che il personale sia adeguatamente equipaggiato e formato per trattare animali eventualmente coinvolti.

Durante i primi mesi comunque una nave rimarrà sul posto, per garantire una maggiore sicurezza al sistema, raccogliere più informazioni possibili e prevenire situazioni inaspettate. “Su questa nave si contano dodici nazionalità, tutte persone unite dal desiderio di avere un impatto positivo sull’ambiente”, spiega Brambini. Proprio questa ricchezza culturale e professionale secondo lui è stata cruciale nell’evoluzione del progetto in così poco tempo.

Visto l’entusiasmo, il successo e la determinazione con cui è stato portato avanti la domanda nasce spontanea: The Ocean Cleanup sarebbe potuto nascere anche in Italia? A parte essere il luogo di origine del fondatore Boyan Slat, l’Olanda è un Paese dove in generale c’è un ambiente fertile che permette alle idee di svilupparsi e prendere forma, spiega Brambini.

L’Olanda ha una grande cultura del mare e dell’offshore, e secondo Ferrari questo ha fatto in modo che già all’inizio, quando l’organizzazione era ancora fatta di volontari e aveva poco budget a disposizione, si potessero trovare talenti sul posto. “Ma la crescita vera è avvenuta quando l’organizzazione ha potuto accedere a risorse internazionali e mettere insieme talenti vecchi e nuovi”, aggiunge. Sa di cosa parla, essendo entrato lui stesso nell’organizzazione cinque anni fa come volontario, e ci tiene a precisare: “Mi piace pensare che contribuisco a mantenere vivo questo spirito di ottimismo infinito che The Ocean Cleanup ha sempre avuto e che rimane un fattore fondamentale per permettere a qualsiasi sogno di realizzarsi”.

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