Covid-19

Così il coronavirus minaccia anche la libertà di stampa. Il nuovo rapporto di Reporter senza frontiere

La crisi del coronavirus sta incrementando la pressione sulla libertà di stampa, soprattutto in alcune nazioni, secondo il rapporto 2020 di Reporter senza frontiere.

“Stiamo entrando in un decennio decisivo per il giornalismo. Anche a causa della crisi del coronavirus”. Christophe Deloire, segretario generale di Reporter senza frontiere (Rsf), ha commentato con queste parole la pubblicazione di un nuovo rapporto sulla libertà di stampa. Documento che contiene la classifica mondiale aggiornata delle nazioni più virtuose dal punto di vista del diritto ad informare e ad essere informati: il World Press Freedom Index 2020. Presentato a ridosso della Giornata mondiale della libertà di stampa, che si celebra oggi, 3 maggio, in tutto il mondo.

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L’indice della libertà di stampa 2020: in nero le nazioni che hanno ottenuto i risultati peggiori, in bianco le più virtuose © Reporter senza frontiere

Gli anni Venti saranno il “decennio del giornalismo”

L’edizione 2020 del rapporto suggerisce infatti che i prossimi dieci anni saranno fondamentali per la libertà di stampa, per via di una serie di crisi convergenti. Una crisi geopolitica, dovuta all’aggressività di regimi autoritari nei confronti dei giornalisti. Una crisi tecnologica, per cui l’assenza di una regolamentazione adeguata nell’era della comunicazione digitale ha creato il caos delle informazioni. Propaganda, pubblicità e giornalismo sono infatti in diretta concorrenza. E infine una crisi economica che ha causato l’impoverimento del giornalismo di qualità.

Concause di una situazione a cui si è aggiunta l’emergenza sanitaria mondiale. Infatti “alcuni aspetti della pandemia minacciano il diritto delle persone di avere a disposizione informazioni affidabili. Il che rappresenta un fattore aggravante”, ha aggiunto Deloire.

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Il grafico, contenuto nel rapporto World Press Freedom Index 2020, rappresenta l’evoluzione della libertà di stampa, dal 2013 a oggi, in alcuni Paesi © reporters without borders, World Press Freedom Index 2020

Il coronavirus, una “scusa” per limitare la libertà di stampa

Troppe nazioni, infatti, hanno preferito censurare le informazioni riguardanti il coronavirus. È il caso, specifica Rsf, della Cina (al 177esimo posto su 180) e dell’Iran (173esimo) che hanno preferito “gestire” le informazioni riguardanti i loro principali focolai dell’epidemia. Allo stesso modo, in Iraq (162esimo) le autorità hanno revocato la licenza all’agenzia di stampa Reuters per tre mesi. Rea di aver pubblicato un articolo interrogandosi sulla veridicità delle informazioni ufficiali fornite sui contagi.

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L’emergenza sanitaria ha offerto ai governi autoritari l’opportunità di attuare quella che Rsf chiama “dottrina dello shock”. Per sfruttare il disorientamento dei cittadini, al fine di imporre misure che sarebbe impossibile attuare in tempi normali. Come quelle volte ad impedire ai giornalisti di svolgere il loro ruolo di “quarto potere”. È proprio per tutelare il lavoro dei reporter, a maggior ragione vista la mole di informazioni che servono per leggere l’oggi, che il vicedirettore generale della divisione Comunicazione e informazione dell’Unesco, Moez Chakchouk, ha sottolineato l’importanza di garantire loro sicurezza durante la pandemia. “Sono gli stati – ha spiegato il dirigente – a dover porre i giornalisti in condizioni tali da poter lavorare sulla crisi sanitaria e sulle sue implicazioni sociali senza correre rischi, in conformità con le norme internazionali sulla libertà di espressione”.

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Una persona su due nel mondo non ha accesso a un’informazione libera © Reporter senza frontiere, World Press Freedom Index 2020

Paesi scandinavi in testa, Turkmenistan e Corea del Nord i peggiori

Passando invece ai casi virtuosi, la Norvegia, per il quarto anno consecutivo, è in testa all’indice, mentre la Finlandia è in seconda posizione. Segue la Danimarca al terzo posto. Anche l’altro estremo ha visto pochi cambiamenti. La Corea del Nord ha preso l’ultima posizione al Turkmenistan, mentre l’Eritrea continua ad essere il paese con il peggior ranking dell’Africa. Il World Press Freedom Index riporta inoltre che il livello di libertà dei media in tutto il mondo è migliorato dello 0,9 per cento nell’ultimo anno. Tuttavia, si è deteriorato del 12 per cento dal 2013. Complici situazioni come quella del Messico (143esimo), nel quale dal 2000 ad oggi sono stati uccisi oltre 140 i giornalisti.

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Un bavaglio fatto prima di minacce e poi, per chi non si è fermato nella ricerca della verità, di morte. Cynthia Rodriguez ora vive esule in Italia ma racconta il suo paese di origine, il Messico appunto, costantemente in calo nella classifica di Rsf. “Le cose che succedono ai giornalisti, accadono perché parole come silenzio e omertà ci sono sembrate sempre più normali. Una volta accettate quelle, sono diventate naturali anche violenza e corruzione”.

tributo su muro a giornalista uccisa nel 2017
Un tributo alla giornalista Daphne Caruana Galizia uccisa in un attentato dinamitardo nel 2017 © Dan Kitwood / Getty Images

Europa baluardo, ma cresce la retorica contro i media

Più in generale, Rsf sottolinea che una persona su due nel mondo non ha accesso ad una libera informazione. Nonostante quest’ultima “garantisca l’esistenza di tutte le altre libertà”, osserva Deloire. L’Europa continua ad essere, invece, il continente nel quale è più facile esercitare il mestiere di operatore dell’informazione. Anche il Vecchio Continente, però, ha le sue ombre: “A Malta (81esima), diventata un’isola strategica per i traffici transnazionali delle mafie, Daphne Caruana Galizia è stata uccisa per aver descritto un sistema di riciclaggio di denaro sporco. In Slovacchia (nonostante il 33esimo posto) Ján Kuciak è stato assassinato per le sue inchieste che hanno fatto emergere sia le infiltrazioni della ‘ndrangheta che gli interessi criminali legati ai fondi europei per l’agricoltura”, ricorda Lorenzo Frigerio, coordinatore di Libera Informazione.

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Si tratta di delitti sintomo di un problema di fondo. Ovvero il fatto che in Europa si assiste ad un indebolimento del giornalismo, figlio di ad una retorica contro i media propugnata da alcuni poteri politici. Come nel caso del primo ministro ungherese Viktor Orbán, che spesso strumentalizza i mezzi d’informazione anche durante la pandemia da coronavirus. Un comportamento del tutto simile a quello tenuto in America Latina dal presidente del Brasile Jair Bolsonaro, che continua a denigrare la stampa e istigare l’odio nei confronti dei giornalisti accusandoli, dall’inizio della pandemia, di “isteria”.

Lo stato di salute della libertà di stampa in Italia

Per quanto riguarda l’Italia, il nostro paese passa dalla 43esima alla 41esima posizione. Nell’analisi di Reporter senza frontiere viene però posto l’accento sugli oltre 20 giornalisti costretti a vivere sotto la protezione delle forze dell’ordine a causa delle minacce ricevute. Inoltre, nel novembre del 2019, in Campania, il giornalista Mario De Michele ha rischiato di essere ucciso in un attentato di matrice camorristica a seguito di un’inchiesta che stava conducendo. E “ci sono stati anche casi di violenza fisica e verbale nei confronti di giornalisti da parte di gruppi appartenenti all’ala neofascista”, sottolinea Rsf.

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Il livello di violenza contro i giornalisti in Italia è cresciuto soprattutto a Roma e nel sud del Paese. Tuttavia, i politici italiani “sono meno aggressivi del passato verso gli organi di stampa”, conclude l’analisi. Che però menziona gli attacchi agli operatori dell’informazione arrivati da esponenti di governo del Movimento 5 Stelle.

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