Investimenti sostenibili

Svizzera, le foto delle banche “occupate” dagli ambientalisti

A sorpresa, decine di attivisti hanno organizzato un sit-in davanti alle più grandi banche della Svizzera, che si ostinano a finanziare carbone e petrolio.

Nella mattinata di un lunedì come tanti altri, chi si presenta alla filiale della propria banca di fiducia si aspetta, nella peggiore delle ipotesi, di dover attendere in coda qualche minuto. Non certo di trovare l’ingresso sbarrato da una pila di carbone, biciclette, piante in vaso o rami secchi. Possiamo quindi immaginare l’effetto-sorpresa scatenato dall’originale sit-in di protesta organizzato in Svizzera dalle organizzazioni ambientaliste Collective Climate Justice e Greenpeace Svizzera l’8 luglio. Le sedi di Credit Suisse e Ubs, che si trovano rispettivamente a Zurigo e Basilea, sono rimaste bloccate per circa un’ora, fino a quando le forze dell’ordine non sono intervenute per sgomberarle e arrestare una ventina di attivisti.

Credit Suisse, Svizzera
Gli ambientalisti di fronte alla sede di Credit Suisse a Basilea © Collective Climate Justice

L’appello alle banche svizzere: “Mai più soldi ai combustibili fossili”

Con questa manifestazione non violenta, gli ambientalisti chiedono a gran voce alle banche di tagliare i fondi ai combustibili fossili. “La Svizzera non ha miniere di carbone o pozzi petroliferi, ma le loro attività sono finanziate da qui”, ha dichiarato a Reuters Frida Kohlmann, portavoce di Collective Climate Justice.

Nello specifico, continua Kohlmann, Credit Suisse ha sostenuto finanziariamente le attività di numerosi operatori energetici che si affidano ancora ai combustibili fossili. In questo gruppo c’è anche la tedesca Rwe, che da circa un anno è nell’occhio del ciclone. La società infatti ha intenzione di radere al suolo la foresta di Hambach pur di espandere un’immensa miniera di lignite a cielo aperto, la più grande del Vecchio Continente. Dopo innumerevoli proteste, il progetto è stato bloccato fino alla fine del 2020. Ma non è ancora detta la parola “fine” sulla vicenda.

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Per il momento, riporta Reuters, sia Credit Suisse sia Ubs hanno preferito non commentare le motivazioni della protesta. Entrambi gli istituti di credito hanno pubblicato le loro strategie per il contrasto ai cambiamenti climatici, che prevedono per esempio di incentivare i clienti che vogliono investire i loro risparmi nelle energie rinnovabili, o ancora di fare ricorso il meno possibile ai voli aerei per le trasferte dei dipendenti.

1.700 miliardi di euro per i combustibili fossili, in tre anni

Le due banche prese di mira fanno parte della lista dei 33 colossi globali che continuano come se niente fosse a erogare denaro a pioggia a petrolio, carbone, gas naturale e sabbie bituminose. Insomma, a quelle fonti di energia che stanno distruggendo il nostro Pianeta. Secondo la più recente edizione del rapporto Banking on climate change (pubblicata a fine marzo da Rainforest action network, Banktrack, Indigenous environmental network, Oil change international, Honor the earth e Sierra club), a partire dal 2016 gli investimenti nei combustibili fossili hanno raggiunto un totale di 1.700 miliardi di euro. Nemmeno la firma dell’Accordo di Parigi è riuscita a invertire questa tendenza: se infatti nel 2016 le 33 banche esaminate avevano investito 546 miliardi di euro, nel 2017 il totale è salito a 576 e nel 2018 a 583.

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Qua e là si intravedono dei segnali positivi, e sembrano esserci sempre più remore soprattutto a stanziare soldi per il carbone e le sabbie bituminose. Ma ancora non basta. Perché i flussi finanziari sono quelli che spostano gli equilibri industriali, risultando quindi determinanti per il futuro di tutti. E non possiamo più permetterci di procedere a passi piccoli e incerti, se speriamo di arginare la catastrofe climatica.

 

Foto in apertura © Collective Climate Justice

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