Covid-19

Ilaria Capua. Usiamo l’intelligenza perché per il coronavirus siamo solo un altro animale

Il suo telefono in queste ore è incandescente, ma Ilaria Capua continua a dare il suo contributo per la corretta informazione sul nuovo coronavirus. In questa intervista ci ha parlato dell’importanza della sostenibilità.

Ascolta “07. Coronavirus, quando una pandemia apre il decennio più importante per il clima” su Spreaker.
“Si sta facendo il possibile. Non abbiamo numeri reali, non sappiamo se in Italia ci sono cinquemila, cinquantamila, centomila, un milione di infetti. Quindi quello che bisogna fare è limitare il contagio rispettando le norme igieniche e di distanziamento sociale. Punto. Bisogna comportarsi in modo intelligente. Se si sta male, si sta a casa. Usiamo questo tempo in modo utile, non viviamolo come un’ossessione, come un incubo, viviamolo come un momento di riflessione. Ad esempio sulla forza della globalizzazione nel bene e nel male”.

Queste solo le parole pronunciate a LifeGate da Ilaria Capua, virologa, veterinaria, professoressa dell’Università della Florida diventata nota al mondo per gli studi sui virus influenzali, come l’aviaria.

Capua – il cui telefono, incandescente, squilla ormai ininterrottamente da giorni – lo scorso anno ha scritto un libro dal titolo “Salute circolare. Una rivoluzione necessaria”, edito da Egea. Una pubblicazione incentrata sulla necessità di “ripensare alcuni percorsi e di proporne di nuovi e rivoluzionari, per arrivare a un maggior equilibrio con gli animali, con le piante e con l’ambiente che ci accoglie nel suo complesso”. Temi quanto mai attuali visto che proprio il virus Sars-CoV-2 che può portare all’influenza Covid-19 sembra essere scaturito da un “salto di specie” dovuto allo sfruttamento, alla mancanza di rispetto con cui trattiamo la fauna e la flora selvatica. Queste le parole che ci ha detto, quando le abbiamo chiesto dell’importanza dell’ecologia, della sostenibilità per affrontare crisi come quella che stiamo vivendo.

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Ilaria Capua, virologa
Ilaria Capua, virologa

Partiamo da una domanda che ci riguarda tutti. Quando si raggiungerà il picco e perché si parla di una possibilità di contagio pari al 60 per cento della popolazione?
La popolazione umana non ha anticorpi nei confronti di questo virus. È vergine, è una prateria di semafori verdi sul quale il virus galoppa passando da individuo a individuo. Quindi è verosimile – considerato che forse l’infezione sta circolando da molto più tempo di quanto non si creda – che la percentuale di popolazione infetta sia molto più alta, ma questo è anche un bene perché vuol dire che potrebbero esserci più semafori rossi, più persone che hanno sviluppato l’immunità.

Cos’è l’immunità di gregge?
Una persona che ha sviluppato un’infezione in forma clinica o asintomatica ed è entrata in contatto con il virus, un organismo sconosciuto al nostro corpo, reagisce sviluppando degli “acchiappavirus”, delle retine da pesca che servono per acchiappare i virus. E quindi se questa persona è immunizzata non permette al virus, quando arriva, di entrare nelle sue cellule. Trova un semaforo rosso. Immaginiamoci uno sciame virale la cui corsa sarà rallentata e poi fermata da questi semafori rossi.

Come ne uscirà il nostro servizio sanitario?
Il servizio sanitario nazionale siamo noi. Quindi ora c’è bisogno che tutte le parti della società si attivino e facciano il loro pezzo, ad esempio nell’essere più tolleranti, più elastici, nel non mettere le proprie priorità davanti a tutti e nell’essere consapevoli che si lavora per il bene collettivo. Io non so come ne uscirà il servizio sanitario nazionale, di sicuro è un grosso stress test che porterà a grandi cambiamenti. Quando una situazione viene scossa in questo modo è chiaro che alcune cose cambiano, i rami secchi cadono.

Ma ne uscirà rafforzato o indebolito?
Questo dipende dalle risorse che verranno date al servizio sanitario nazionale e dall’oculatezza del governo, del ministero nel potenziare le strutture che ne hanno bisogno creando circoli virtuosi e razionalizzare la spesa a parità di servizi.

Un uomo siede da solo su un autobus in Cina durante l'epidemia del nuovo coronavirus
Il nuovo coronavirus è l’epidemia più costosa mai registrata prima © Kevin Frayer / Getty Images

Cerchiamo ora di entrare nel campo della sostenibilità. Da dove arriva questo virus?
Il virus più “parente” al nuovo coronavirus si trova nei pipistrelli. E questo virus, che prima si trovava bello tranquillo dentro i pipistrelli nella giungla, all’improvviso si è ritrovato dentro un mercato di animali vivi, mercati rudimentali, sporchi di feci, urina, macellazioni, un po’ come i mercati italiani degli anni Quaranta e Cinquanta, però con tantissimi animali diversi perché nei mercati cinesi ci sono pangolini, serpenti, rane e quindi si è creata una situazione del tutto innaturale nella quale il pipistrello della foresta si è trovato esposto ad altri ospiti che hanno amplificato il virus, lo hanno modificato consentendogli di trovare un altro animale da infettare: l’essere umano. Perché noi per il virus siamo solo un altro animale.

Cosa pensa della scelta della Cina di vietare il mercato legale e illegale di fauna selvatica? È una scelta che può funzionare?
Non lo so (sospira, ndr) perché bisogna vedere la differenza tra annuncio e implementazione. E poi la Cina non è l’unico paese. Problemi simili si verificano in Medio Oriente, in Africa con ebola, si verificano in continuazione.

A proposito di ebola, venerdì è arrivata la notizia che l’ultimo malato di ebola in Congo è guarito. Come commenta questa notizia?
Si guarisce anche di ebola. E questo è un miracolo.

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Il reportage di Daniele Bellocchio e Marco Gualazzini sull’epidemia di ebola a Beni, nella Repubblica Democratica del Congo realizzato a luglio 2019 © Marco Gualazzini

È corretto dire che contro queste epidemie e potenziali pandemie servirebbe più ecologia?
Sarebbe meglio, ma non è solo questa la soluzione perché il problema è il displacement degli animali dal loro habitat naturale, correlato anche ad altri fattori come la crescita delle megalopoli e della sporcizia, lo sfruttamento del lavoro e la disuguaglianza. Questo evento ha portato tutti i nodi al pettine. Un evento che considero un “cigno nero”.

Spesso si sente mettere a confronto la mortalità del nuovo coronavirus ai morti per inquinamento e smog, per crisi climatica. Questo per evidenziare come due problemi globali vengano affrontati in modo diverso. Ha senso?
Questa non è una malattia trasmessa da vettori, ma le malattie trasmesse da vettori sono molto influenzate dai cambiamenti climatici. Il concetto di “salute circolare” riconosce che anche il riscaldamento globale è uno dei driver principali di situazioni insostenibili. E quando due situazioni convergono insieme verso l’insostenibilità, scontrandosi, succedono disastri come questo.

Il nuovo coronavirus può, quindi, essere inserito sotto il macro-tema del riscaldamento globale?
La risposta è sì perché le megalopoli si creano svuotando le periferie e le periferie si svuotano perché non si riesce più a coltivare i terreni per la scarsità idrica dovuta al riscaldamento globale e a tutta una serie di fattori. Bisogna entrare nell’ordine di idee che i problemi sono molto complessi, più di prima, e questa complessità va studiata grazie ai big data. Non dobbiamo più cercare interazioni lineari, bensì multiple, che si verificano in contemporanea e su traiettorie differenti. Tornando alla domanda iniziale, può essere che il riscaldamento globale abbia portato i pipistrelli dalla foresta alla periferia urbana. Quindi questo per dire che tutto ciò che influenza i movimenti degli animali e delle persone influenza anche le malattie.

Quindi non si sbaglia a rispettare la natura?
No, non si sbaglia e, anzi, bisogna rispettarla sempre più.

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La copertina del libro “Salute circolare. Una rivoluzione necessaria” di Ilaria Capua

Il suo libro si chiama “Salute circolare”. “Circolare” è un termine spesso accostato alla parola “economia”. Perché in questo caso ha deciso di accostarlo alla parola “salute”?
Perché così come si pensa all’economia come un sistema chiuso, dove le risorse devono essere reinvestite nel sistema, così deve valere per la salute. La circolarità è il tema del futuro. Io credo che nel nuovo concetto di salute, noi dobbiamo essere aperti e pronti ad includere nuove prospettive che possano farci vivere in equilibrio nel nostro acquario. Perché noi viviamo in un sistema chiuso, proprio come in un acquario.

Per questa intervista si ringrazia la preziosa collaborazione di Daniele Folini

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