Rilassiamo la vista attraverso il palming

Si chiama palming il metodo coniato da Bates a indicare un procedimento di rilassamento che capacita la mente a ritrovare il suo stato naturale rilassamento

Uno dei maggiori contributi del grande W.H. Bates, M.D.,
è quello di aver inventato la parola “palming” – che noi
abbiamo reso in italiano coniando il termine “palmeggiamento”, un
metodo molto semplice, e come viene spiegato nel capitolo ad esso
dedicato dallo stesso Bates nel suo libro originario si basa
essenzialmente sulla capacità della mente di ritrovare il
suo stato naturale di rilassamento e di assenza di sforzo
“regolandosi” sullo sfondo nero che si dovrebbe vedere quando si
chiudono gli occhi e li si coprono con le mani senza toccarli,
escludendo tutta la luce.
Quando questo succede nel giro di pochi istanti, una volta
applicate le mani, il paziente, può tranquillizzarsi e
sapere che la guarigione è a portata di mano, e si tratta
solo di abituarsi a riprodurre automaticamente questa condizione di
rilassamento anche ad occhi aperti, quando si esercita normalmente
il senso della vista, in tutte le condizioni, interiori ed
esteriori.

Sia il Dott. Bates che la sua assistente Emily confermano questa
verità raccontando innumerevoli casi più o meno gravi
guariti dopo poche sedute di palmeggiamento ben riuscito:
cataratta, maculopatie, strabismo, e i più comuni errori di
rifrazione, subito vengono alleviati se il paziente è in
grado di vedere nero quando ha gli occhi coperti e la luce viene
esclusa totalmente grazie alle mani che fanno da schermo.

Sfortunatamente ai nostri tempi ciò non accade così
spesso come accadeva allora: probabilmente su dieci persone che si
cimentano con il palmeggiamento, solo una o due saranno in grado di
applicarlo positivamente e con successo sin da subito. Il resto, la
grande maggioranza, si accorge di vedere, non ostante il buio, ogni
sorta di colore e di macchia, di striature, di lampeggiamenti, di
rumori di fondo. Persone malate seriamente di glaucoma, di
cataratta, vedranno sfondi bianchi anziché neri, nuvole
dense, macchie iridescenti e cangianti molto fastidiose. Chi soffre
di astenopia di solito vede una specie di nebbia, tutta instillata
di puntini fosforescenti più o meno luminosi, e quando si
sforza di vedere al buio, ad esempio in una stanza illuminata solo
dalla luce dei lampioni cittadini che filtrano dalle gelosie o
dalle tapparelle, in genere vede sagome indistinte annegate in
questa nebbiolina pulsante che è fonte di ulteriore
nervosismo. In certi casi, è possibile che questo sfondo non
nero sia ancora meno nero ad occhi chiusi che ad occhi aperti, il
che appare del tutto antiscientifico (come fa l’occhio a vedere la
luce ad occhi chiusi e a non vederla ad occhi aperti?). È
indubbio che l’origine di questa non-nerezza è nel cervello,
nella mente, in uno sforzo mentale che si compie per vedere. In
certi casi peculiari, questo sforzo è maggiore ad occhi
chiusi, e accorgersi di questo porta ad una rapida guarigione,
perché il paziente capisce che è il suo “fare” che
è sbagliato, non l’occhio che è fuori fuoco.

Rishi Giovanni Gatti

 

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