Cosa sono, davvero, le cure palliative? In questo articolo, Vidas fa chiarezza e spiega in cosa consiste la campagna OGGI.
Questo sapere medico millenario, arrivato dal Tibet, è ancora vivo. I rimedi naturali vengono prodotti in un piccolo paese alle pendici dell’Himalaya.
Nella medicina tibetana, la pressione di tre dita su entrambi i polsi del paziente, è in grado di leggere lo stato di salute di dodici organi interni. Il medico, premendo l’indice della mano sinistra sull’arteria radiale di una donna, può capire se il cuore e l’intestino tenue sono in equilibrio e quindi sani.
La diagnosi del polso è uno dei metodi usati nella medicina tibetana, insieme all’esame visivo della lingua, delle urine e al colloquio approfondito con la persona malata. In questo sistema di cura, i cui testi fondamentali vengono fatti risalire all’ottavo secolo, i rimedi più utilizzati sono a base di erbe e minerali. Vengono prodotti a Mcleod Ganj, nell’Himachal Pradesh, nell’India del nord, attuale residenza del quindicesimo Dalai Lama Tenzin Gyatzo e sede del Governo tibetano in esilio dal 1959.
Siamo entrati nel museo e nel laboratorio di farmacia del Men-Tsee-Khang, l’istituto di medicina e di astrologia tibetana, per conoscere meglio questa tradizione medica e capire come, non solo, sia riuscita ad adattarsi ai profondi cambiamenti che il popolo tibetano ha attraversato, ma anche a diffondersi, nonostante l’esilio in atto da quasi settant’anni.
Nell’ottobre del 1950 l’esercito di liberazione cinese entrò in Tibet attraverso il fiume Jinsha. Dopo anni di soprusi e trattative politiche fallite, nel marzo 1959 il popolo tibetano insorse ribellandosi all’invasione con miseri mezzi a disposizione.
La rivolta fu repressa nel sangue dall’esercito cinese, causando in pochi mesi la morte di 87mila tibetani.
Dopo la fuga in India del Dalai Lama, migliaia di tibetani lo seguirono, scegliendo di intraprendere lo stesso estenuante e pericoloso viaggio attraversando a piedi la catena dell’Himalaya.
Il Governo indiano di Jawaharlal Nehru, permise al giovane Tenzin Gyatso e alla prima comunità di rifugiati di stabilirsi a Mcleod Ganj, un angolo di mondo lontano da tutto, dove non esistevano nemmeno le strade.
Come racconta Jetsun Pema, la sorella del Dalai Lama, nella sua biografia “Amala” scritta da Piero Verni, sono stati proprio i rifugiati tibetani a costruire le strade della regione, nei campi di lavoro organizzati dal governo indiano. Era l’unica possibilità di guadagno, l’unica fonte di reddito minimo che impegnava anche le donne che trasportavano pietre, scavavano o cucinavano nei cantieri.
Per il 50 per cento, la salute è nelle nostre mani, perché dipende dal nostro comportamento e dall’alimentazione.
Con la diffusione del buddhismo tibetano nel mondo, questa area prima sperduta alle pendici della catena montuosa del Dhauladar, ha attratto persone da tutte le latitudini. Oggi, le strade per raggiungerlo sono rimaste le stesse, strette e malmesse, ma le attività commerciali i ristoranti e le guest house si sono moltiplicate e la piazzetta centrale, un tempo solo destinata all’inversione di marcia dei pochi autobus, è ora un tripudio di insegne luminose, musica ad alto volume e negozi.
A rimanere intatta, però, è la volontà dei tibetani di preservare ogni aspetto della loro cultura, e la medicina tradizionale è una delle sue espressioni fondamentali.
Cerchiamo e coltiviamo le materie prime in luoghi incontaminati, com’era il Tibet, prima dell’invasione cinese.
Per raggiungere il Men Tsee Khang bisogna spostarsi nella parte più bassa del paese. Oggi, nell’istituto di medicina e astrologia tibetana, fondato nel 1961, solo due anni dopo l’arrivo dei tibetani in India, sono impiegati circa 250 dipendenti.
“Produciamo quasi 180 tipi di rimedi, che vengono distribuiti in 59 centri in tutta l’India. Non abbiamo i permessi di esportare all’estero, ma sono tante le persone, anche occidentali, che arrivano per farsi prescrivere la cura”. A parlare è il dottor Dorjee Tsering, del dipartimento di farmacia. “Ogni singolo rimedio può contenere da 25 a cento tipi di erbe e piante, che vengono raccolte prevalentemente ad alta quota nelle regioni himalayane, come il Ladakh. Cerchiamo e coltiviamo le materie prime in luoghi incontaminati, com’era il Tibet, prima dell’invasione cinese”.
Il nome in tibetano è Sowa Rigpa, ovvero “ scienza della guarigione” ed è fondata su quattro testi, i tantra, chiamati rGyud bzhi, da cui sono derivati diversi commentari. Una copia del Gyud bzhi è conservata nel museo del Men Tsee Khang, dove incontriamo la dottoressa Kalsang Youdon, una giovane donna con voce flebile e dai gesti aggraziati.
“Per il 50 per cento, la salute è nelle nostre mani, perché dipende dal nostro comportamento e dall’alimentazione”. Ci spiega. “Se un paziente non è disposto a modificare le proprie abitudini, l’assunzione dei rimedi può aiutare ma non è risolutiva”.
La dottoressa Youdon ha studiato al Men-Tsee-Khang, che accoglie circa quindici studenti ogni anno, dopo il superamento di un test d’ingresso. “Sono sei anni di studio, a cui si aggiungono altri otto mesi di corsi aggiuntivi. La formazione comprende un intenso periodo di praticantato durante il quale si affiancano i medici con maggior esperienza. Lo studio invece si basa sulla memorizzazione dei testi e dei commentari”.
“Nel museo sono esposte ottanta thangkha, i dipinti tradizionali su stoffa che illustrano il contenuto dei quattro tantra, proprio per favorirne la comprensione”. Aggiunge Khelsang Choedon, curatrice del museo, che ci accoglie con un sorriso aperto e la serietà di chi conosce molto bene l’istituto, lavorandoci da oltre 25 anni. “79 riguardano i 156 capitoli del testo fondamentale, con i thangka dedicati all’embriologia e alle diverse fasi dello sviluppo del feto e del parto. Un thangka invece illustra gli strumenti terapeutici ad uso esterno, come le coppettazione, il martelletto e l’ago d’oro ”.
A guardarlo sotto la teca, l’ago d’oro sembra piuttosto invasivo. Niente a che vedere con quelli sottili usati nella moderna agopuntura.
Probabilmente Khelsang Choedon coglie il nostro sguardo interrogativo e commenta sorridendo: “Personalmente, curo ormai da anni la mia emicrania con la tecnica dell’ago d’oro, che viene riscaldato e inserito nella sommità del capo. È decisamente efficace”.
La salute coincide con uno stato di equilibrio tra i cinque elementi, di cui noi e tutto l’universo siamo composti, e i tre umori, ovvero i tre tipi di energia che scorrono all’interno del corpo.
Il museo espone anche alcuni dei rimedi prodotti all’interno dell’istituto. I più comuni sono pillole di colorazione tra il marrone e il rossastro, di due dimensioni, a seconda del dosaggio prescritto.
“Secondo la medicina tibetana – prosegue la dottoressa Kalsang Youdon- la salute coincide con uno stato di equilibrio tra i cinque elementi, di cui noi e tutto l’universo siamo composti, e i tre umori, ovvero i tre tipi di energia che scorrono all’interno del corpo. I cinque elementi sono terra, aria, acqua, fuoco e spazio. I tre umori sono il vento, rLung, la bile mKhris-pa e il flemma Bad-kan. Quando a causa di cattive abitudini o di influenze esterne, come ad esempio le condizioni atmosferiche, l’equilibrio si rompe, un umore prevale sugli altri causando la malattia. Il medico ha quindi la responsabilità di indagare la natura del malanno e di approfondirne le cause. Il fine è ripristinare lo stato di equilibrio.
Avvolte singolarmente nella stoffa colorata ci sono poi le pillole preziose, rinchen rilbu in tibetano. Ne esistono otto tipi e vengono prescritte, ad esempio, per trattare infiammazioni, gli effetti dell’avvelenamento e le patologie neurologiche.
La loro produzione è tutt’altro che semplice, come ci spiega il dottor Dorjee Tsering: “Oltre alle erbe, le pillole preziose contengono anche minerali come oro, ferro, il corallo, il turchese e anche il mercurio. Il processo per eliminare la tossicità dei minerali è molto complesso. È una fase estremamente delicata che seguiamo con il massimo rigore. Ogni minerale passa attraverso un lungo e specifico procedimento, e può prevedere diversi tipi di cottura, come la lunga bollitura, l’immersione in soluzioni particolari e in alcuni casi i minerali vengono anche fritti. Queste pillole vengono prodotte in precisi momenti dell’anno e in questo momento è ferma. Anche la medicina tibetana è strettamente connessa con le energie astrali”, aggiunge Dorjee Tsering. “Quindi pianifichiamo la produzione delle varie medicine seguendo le indicazioni del dipartimento di astrologia. Ogni giorno, a seguito di calcoli matematici e astrologici, ci viene comunicano quali formulazioni è bene produrre e quali sono sconsigliate”.
Tutte le medicine che escono dal Men-Tsee- Khang hanno ricevuto la forza della benedizioni. Questo aspetto promuove e migliora la loro efficacia sui pazienti.
Nel pensiero buddhista ogni cosa è interdipendente, così come interconnessi sono il corpo, la mente e quelle energie sottili e grossolane che lo attraversano.
In questa visione, i principi terapeutici di erbe e minerali vengono potenziati da rituali di benedizione e preghiere. “Ogni cinque anni si svolge una cerimonia di benedizione delle medicine”- precisa Dorjee Tsering. “Successivamente, una piccola parte dei rimedi benedetti viene usata per produrre quelli nuovi. In questo modo, tutte le medicine che escono dal Men-Tsee- Khang hanno ricevuto la forza della benedizioni. Questo aspetto promuove e migliora la loro efficacia sui pazienti.”
“Nei testi vengono descritte circa 3mila erbe e piante, molte di queste sono ormai scomparse da tempo e ne conosciamo solo il nome”- spiega ancora Dorjee Tsering. “Al Men-Tsee-Khang ne utilizziamo circa 200. In Ladakh abbiamo delle coltivazioni, ma essendo ormai lontani dalla terra tibetana, diverse erbe sono diventate difficilmente reperibili. Per sopperire a questo, siamo stati costretti a sostituirle con altre dagli effetti simili”.
Anche l’inquinamento dell’acqua è un problema e la prassi prevede che tutto ciò che viene raccolto ad alta quota venga lavato con l’acqua del luogo.
Il clima indiano è poi molto differente da quello dell’altopiano del Tibet, a risentirne è soprattutto il processo di essiccazione naturale che, tempo permettendo, avviene su ampie reti disposte sul tetto dell’edificio. “Nella stagione migliore, la completa essiccazione delle pillole può avvenire in una settimana”. Prosegue Dorjee Tsering: “In inverno e durante la stagione delle piogge è molto più complicato e può durare anche un mese. Per un periodo abbiamo sperimentato gli essiccatoi elettrici, ma abbiamo constatato che riducono l’efficacia delle medicine e siamo così tornati al metodo naturale”.
Chiediamo al dottor Dorjee quale sia, a suo parere, un contributo importante della medicina tibetana che può essere uno spunto di riflessione per altri sistemi di cura.
“Credo sia il concetto di salute come equilibrio dell’intero sistema corpo, mente e ambiente. Nella medicina tibetana, ad esempio, le malattie cosiddette psichiatriche sono causate da uno squilibrio dell’umore vento ed esiste quindi una base fisiologica ed energetica. Deve esserci poi l’ equilibrio tra la dimensione interna e quella esterna, perché condividono la stessa natura dei cinque elementi. Molti tibetani, soprattutto quelli più anziani, credono inoltre che molte delle loro malattie siano state causate dal cambiamento di clima e di alimentazione che c’è in India, oltre che dalla sofferenza di aver dovuto lasciare la propria terra”.
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